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La Siria e la ‘partita’ dei profughi iracheni

Con la Siria sempre più destabilizzata dal rischio di una guerra civile e di una escalation di violenza legata alla presenza di milizie jihadiste sul territorio, la situazione per i profughi iracheni intrappolati nel paese diventa sempre più pericolosa e precaria.

 

 

 

di Nino Orto

 

 

Secondo un recente studio condotto dall’Osservatorio dei diritti dell’uomo, la repressione attuata dal regime degli Assad non sembra avere intaccato le fondamenta del regime né fomentato, fino ad ora, dei reali scontri confessionali tra le varie comunità del paese.

In appoggio a Damasco, oltre gli alleati storici russi e iraniani, si è distinto negli ultimi tempi l’Iraq di Nouri al-Maliki, al punto che alcuni analisti considerano la nazione tra il Tigri e l’Eufrate come il nuovo anello della cintura sciita nella regione.

L’Iraq è rimasto uno dei pochi Stati arabi a sostenere il regime di Assad, come dimostra la decisione del governo di Baghdad di non votare le sanzioni economiche e finanziarie imposte dalla Lega Araba qualche mese fa.

La leadership irachena teme fortemente che le rivolte siriane possano estendersi anche al di fuori dei confini nazionali, aggravando così la già precaria situazione di sicurezza nel paese.  

Ma c’è anche il problema dei profughi iracheni presenti in Siria, e che secondo stime recenti sarebbero circa 300 mila, la maggior parte dei quali sunniti scappati dalle violenze interconfessionali che hanno insaguinato l’Iraq tra il 2006 e il 2008.

Alcuni di loro sono esponenti delle vecchie famiglie di Baghdad che formavano l’élite cosmopolita prima del conflitto, e che hanno trovato nel regime laico degli Assad una sponda sicura in cui rifugiarsi dopo l’invasione americana e la guerra civile.

Gli altri provengono dai quartieri più poveri della capitale, fuggiti dal paese dopo le intimidazioni subite dalle milizie sciite.

Ma la comunità irachena in Siria annovera anche cristiani, mandei e yazidi, scappati a partire dal 2004, dopo essere stati travolti dalla furia fondamentalista di al-Qaeda.

Un’incredibile varietà di culture e culti che fino a ieri animavano i sobborghi di Damasco e gli eleganti palazzi di Aleppo, e che ora rischia di essere distrutta dalla violenza estremista.

La questione profughi era stata affrontata già nel 2007, quando il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki aveva avviato delle trattative con il governo di Bashar al-Assad per la gestione del loro rientro, anche coatto, all’interno del paese.

Fino ad oggi però, nonostante la stabilità dell’Iraq sia stata più volte ostentata come uno dei ‘successi’ del suo governo, il considerevole numero di profughi ancora presenti in Siria è fonte di notevole imbarazzo per l’esecutivo di Maliki.  

In passato, il governo iracheno aveva offerto ottocento dollari e un biglietto di ritorno gratuito per ogni iracheno che intendeva rientrare in patria ma, la violenza e i sistematici abusi su coloro che ritornavano, hanno scoraggiato gran parte dei porfughi.

Per loro sono davvero troppe le incognite legate al ritorno: la mancanza di sicurezza, l’esclusione dei sunniti dal potere, il rischio dell’imposizione della legge islamica, la divisione confessionale della nazione.

Ma, nonostante fino a poco tempo fa il regime di Damasco sia riuscito a non cedere alle pressioni irachene per accelerare il rientro dei profughi, negli ultimi tempi si è assistito ad un incremento esponenziale di rimpatri tra le fila dei rifugiati, ottenuto da Maliki come contropartita all’appoggio fornito da Baghdad.

Secondo le cifre fornite dal governo iracheno, nel 2011 almeno 67 mila iracheni sono stati rimpatriati dalla Siria, il doppio rispetto a quelli rientrati tra il 2009 e il 2010, e con un tasso medio mensile superiore nel solo primo trimestre del 2012 a tutti quelli dell’anno precedente.

Il loro rientro solleva più di un quesito riguardo il futuro dell’Iraq e la sua graduale ‘normalizzazione’, e potrebbe diventare il primo vero banco di prova per un nuovo Iraq capace di accettare le proprie diversità e di avviare una riconciliazione nazionale che ponga le basi per uno sviluppo sostenibile del paese. 

 

 

4 giungo 2012

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