L’Algeria al voto tra scetticismo, proteste e violazioni

Oggi gli algerini sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Il risultato appare scontato, con Abdelaziz Bouteflika che succederà a se stesso. Intanto si è chiusa una campagna sterile, segnata dallo strapotere dello staff presidenziale, dalla retorica populista dei candidati e dall’indifferenza di un elettorato che ha espresso ripetutamente il suo dissenso nei confronti di quello che considera ‘un gioco delle parti’. Sul paese restano le ombre pesanti di un sistema politico chiuso e di un futuro economico ancora interamente legato alla rendita petrolifera, destinata ad estinguersi.

 

E’ evidente, gli algerini non credono che lo scrutinio di oggi potrà cambiare gran ché nella gestione del potere politico – opaco, sfuggente – né in quella dei lauti introiti petroliferi che alimentano il gioco della rappresentanza e servono ad acquistare la pace sociale nei momenti in cui la rabbia e la hogra prendono il sopravvento (come nei primi mesi, caldi, del 2011 con lo sbocciare delle “primavere”).

Infatti, quella chiusa domenica scorsa, è stata una campagna incolore, monotona e poco partecipata, come ormai succede ad ogni votazione da oltre un decennio a questa parte.

Del resto, l’idea di un cambiamento possibile per vie elettorali era tramontata già negli anni novanta, con il colpo di Stato militare anti-Fis, le violenze/regolamenti di conti che ne sono conseguiti (oltre 200 mila morti) e la salda tenuta delle alte sfere dell’esercito dietro alla ripresa del paravento democratico.

 

La “campagna dello struzzo”

Nessuno stupore, dunque, di fronte al generale disinteresse mostrato dalla popolazione in queste settimane di comizi, meeting e conferenze. A parte le manifestazioni di protesta contro il quarto mandato Bouteflika e gli inviti al boicottaggio della consultazione ad opera di gruppi dissidenti, tra cui il sempre più attivo movimento Barakat (“Basta!”).

La campagna elettorale è semmai servita a ribadire il sentimento di impotenza dei cittadini e la percezione che i giochi siano chiusi in partenza.

Nessuno tra gli sfidanti del Presidente in carica ha osato evocare problematiche scomode, sebbene di primaria importanza per il paese, come la corruzione – che ha segnato i quindici anni di “regno Bouteflika” con picchi considerevoli durante l’ultimo mandato – il ruolo dell’esercito, con i suoi condizionamenti e le sue interferenze nella vita politica e istituzionale, e la necessità di una riconversione economica che faccia uscire le casse dello Stato dalla (quasi) totale dipendenza dalle esportazioni di idrocarburi.

Una “campagna dello struzzo”, insomma, durante la quale “l’Algeria sembra essere tutt’altro paese rispetto alla realtà”, afferma il giornalista Amel Berkam. Realtà che vede la disoccupazione giovanile stabilmente sopra al 30%, larghe frange della popolazione toccate dall’emergenza casa e dalla mancanza di infrastrutture primarie.

Per sopperire allo scarso entusiasmo suscitato dai dibattiti pre-elettorali, negli ultimi giorni i candidati hanno alzato i toni del confronto lanciandosi in reciproche accuse e invettive.

Qualche esempio. Ali Benfils, un prodotto dello stesso apparato (Fln, ex partito unico e prima forza in Parlamento) che oggi sostiene incondizionatamente Bouteflika, e suo principale concorrente, ha messo in guardia da possibili irregolarità durante lo scrutinio, minacciando di scendere in strada se i risultati verranno ritoccati. Il presidente – che ha disertato la campagna a causa della malattia, limitandosi a fugaci apparizioni in tv – gli ha risposto senza mezzi termini accusandolo di “terrorismo”.

Uno scambio di “cortesie” creato ad arte per dare una parvenza di credibilità alla consultazione. E’ questa l’opinione più diffusa tra i cittadini, riporta Le Quotidien d’Oran, che invece sottolineano l’effettiva convergenza tra i vari attori in scena, tutti debitori – a vario titolo (ex premier, capi di partito) – di un sistema sull’orlo dell’implosione.

“Tra i candidati c’è chi ammette che il 17 aprile vi saranno frodi – definite candidamente ‘sport nazionale’ – e ciò nonostante invita gli elettori a non disertare le urne […]. Si tratta di un messaggio contraddittorio, che rafforza il pensiero in voga secondo cui queste persone avrebbero accettato di presentarsi ad un’elezione pur sapendo che il risultato è già confezionato, poiché deciso dal sistema di cui fanno parte”.

Il risultato in questione, ovviamente, è la riconduzione alla presidenza di Abdelaziz Bouteflika – malgrado l’età e le pessime condizioni di salute – come male minore per gestire i conflitti di potere dietro le quinte e per dare un segnale di continuità, elevata a sinonimo di stabilità.

 

Censura e chkara

A prescindere da quello che potrà accadere nella giornata di oggi, quanto a ritocchi e irregolarità, già il periodo della campagna è stato caratterizzato da abusi e violazioni, segnalate – tra gli altri – da un duro comunicato dell’ong Amnesty International.

“La repressione condotta in questa fase preelettorale rivela le ‘enormi lacune’ che gravano sul bilancio del rispetto dei diritti umani in Algeria – si legge nel testo -. La libertà di espressione, di associazione e di riunione è costantemente minacciata, il diritto a manifestare è limitato e le ong restano immerse in un limbo giuridico. Inoltre, i gruppi di difesa dei diritti umani e gli inviati delle Nazioni Unite non sono i benvenuti, mentre gli attivisti e i sindacalisti indipendenti subiscono attacchi continui, per stemperare tensioni e malcontento di piazza”.

Nelle ultime settimane la televisione privata Al Atlas TV, colpevole di aver criticato le autorità, è stata costretta alla chiusura. Djazair TV ha subito, per lo stesso motivo, una limitazione delle frequenze, mentre i giornali Algérie News e Djazair News, per aver ospitato la conferenza stampa del movimento Barakat, si sono visti privare degli introiti pubblicitari gestiti dall’agenzia statale di settore.

Stando alla legislazione in vigore infatti, solo i media pubblici – schierati apertamente a favore della rielezione di Bouteflika – possiedono una licenza di diffusione senza restrizioni, mentre ai canali privati vengono concesse licenze temporanee che possono essere revocate in ogni momento e la stampa indipendente sopravvive a stento con lo spettro del boicottaggio pubblicitario.

“Le autorità si sono adoperate per controllare la narrazione della campagna elettorale, facendo valere il loro monopolio sui canali di espressione e limitando fortemente la libertà in questo campo. L’assenza di un vero dibattito pubblico e le restrizioni al diritto di critica e di protesta per esprimere rivendicazioni sociali o esigenze politiche adombrano più di un sospetto sulla regolarità di questa elezione”, afferma Nicola Duckworth, responsabile Amnesty per il paese.

Come se non bastasse, diversi giornalisti e attivisti internazionali per i diritti umani non sono riusciti ad ottenere il visto di ingresso per coprire la chiusura della campagna e lo svolgimento delle operazioni di voto, mentre più di una voce si è levata a denunciare la prassi della chkara, i fondi neri versati da lobby e uomini d’affari che avrebbero finanziato – con circa un milione di euro – la marcia di reinsediamento alla Mouradia di Bouteflika.

 

Dissenso, cittadinanza e futuro

Nonostante le minacce, la stretta sorveglianza e gli arresti preventivi che avevano colpito le frange dissidenti nei giorni scorsi, gli oppositori al quarto mandato del Presidente – e, più in generale, all’intero sistema di potere – non hanno rinunciato ad esibire il loro disappunto nei confronti dell’imminente “mascherata elettorale”.

Ieri pomeriggio gli attivisti del movimento Barakat hanno indetto un sit-in di fronte alla sede dell’università, nel cuore della capitale. La protesta è stata smorzata sul nascere – come sempre succede ad Algeri, dove persiste da oltre vent’anni il divieto di manifestare – dall’intervento violento degli agenti, che ha coinvolto anche alcuni giornalisti (algerini e stranieri) accorsi in loco per documentare l’evento.

Il giorno prima, le principali città della Cabilia – regione berberofona tradizionalmente ostile al governo – avevano ospitato migliaia di dimostranti scesi in strada per commemorare l’anniversario della “primavera berbera” (1980) e per incitare al boicottaggio della consultazione.

Il tasso di affluenza alle urne, in effetti, potrebbe rappresentare l’unica vera sfida di questa tornata elettorale. Una bassa partecipazione al voto sancirebbe in modo definitivo il distacco tra le elite (militari e politiche) al comando e la popolazione, ma anche in questo senso gli oppositori temono un attento maquillage da parte degli influenti servizi di sicurezza (Drs).

“Non recarsi ai seggi significa tradire la memoria dei martiri della liberazione” è la retorica sciorinata a tamburo battente, non a caso, da tutti i candidati. “Voi l’avete già tradita da tempo!”, ribattono a colpi di comunicati i militanti di Barakat. “Votare significa esercitare a pieno il proprio diritto di cittadinanza”, insistono Bouteflika e compagni. “Per loro siamo sudditi, si ricordano di governare dei cittadini solo in queste squallide occasioni”, contrattaccano i dissidenti, che hanno annunciato l’interruzione delle mobilitazioni per questo 17 aprile, giornata di “lutto nazionale”.

Cosa succederà, invece, a partire da domani?

In attesa dei primi risultati, sono in molti a chiederselo. Barakat sembra avere le idee chiare in proposito: “le dimostrazioni pacifiche continueranno, la tornata elettorale è servita ad unire le forze del cambiamento e a condensare malessere e frustrazioni che non spariranno di certo con la chiusura dei seggi”, dichiara a Osservatorioiraq.it Amira Bouraoui, portavoce del movimento.

La prospettiva di un rafforzamento della contestazione, piuttosto che di un suo lento estinguersi a scrutinio avvenuto, si sta ritagliando sempre più spazio tra i pensieri e le inquietudini delle autorità – che già promettono ritorsioni contro i “sabotatori” – e di una parte della popolazione.

“La rivolta è presente negli animi e a tutte le latitudini – ricorda il giornalista Fella Bouredji nell’articolo Cinq façons d’étouffer la révolte algérienne – anche se chi la manifesta in strada lo fa in modo sparso e non coordinato, dando l’impressione di un disordine minoritario”.

Il potenziale esplosivo è enorme, come si era già percepito durante la sollevazione “dell’olio e dello zucchero” nel gennaio 2011, a seguito di un aumento del prezzo delle merci. Così, se al dissenso politico si sommano le migliaia di proteste sociali, di scioperi registrati nel corso degli ultimi anni, l’ipotesi di una nuova “primavera” in versione locale non è da scartare del tutto, nonostante le ferite ancora aperte lasciate da un passato di violenze troppo recente.

 

April 17, 2014di: Jacopo GranciAlgeria,Articoli Correlati: 

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