A più di un anno dalla rivoluzione dei gelsomini, il paese ha ancora “fame”. Nonostante la transizione politica in corso, le sfide sociali ed economiche rischiano di indebolire e addirittura fermare il progresso tunisino.
di Nicolò Perazzo
L’ultima relazione dell’International Crisis Group punta i riflettori sui problemi economici, che in larga misura furono alla base di quella mobilitazione che ha portato in piazza gran parte della popolazione tunisina, e che oggi stanno continuando ad avere conseguenze disastrose sulla situazione sociale della nazione.
L’aumento della disoccupazione, le forti disparità regionali, il contrabbando e la corruzione, sono solo alcune delle criticità sottolineate dal rapporto.
Problemi che erano presenti già da tempo, e che adesso, con la transizione, si sono accentuati a causa del vuoto lasciato dalla politica.
Ora che l’euforia rivoluzionaria si è affievolita, i lavoratori frustrati e i giovani disoccupati sono sempre più desiderosi di prendere in mano il proprio futuro.
Quanto fatto dalla nuova classe dirigente non è infatti sufficiente ad evitare un vero e proprio collasso: le misure economiche d’emergenza non possono risanare una società che ha bisogno di interventi ben più drastici.
Serve un’azione immediata, prima che il malcontento e il risentimento portino al disgregamento sociale.
Il governo ha però un margine di manovra molto limitato e la sua legittimità politica viene messa continuamente in discussione, mentre la corruzione appare dilagante. Ciononostante l’unica via d’uscita è provare ad affrontare le richieste popolari, alla ricerca della fiducia perduta negli ultimi mesi.
June 13, 2012
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