Libano. Qana, il massacro dimenticato

La memoria è un esercizio di fondamentale importanza solo quando non si limita a ricordare gli eventi in modo parziale, altrimenti diviene mistificazione della realtà. La testimonianza di una bambina di appena sei anni.

traduzione da “A separate State of Mind” a cura di Marco Di Donato Nel silenzio della stampa internazionale, il Libano ha ricordato lo scorso 18 aprile il massacro di Qana*. Avvenuto nel 1996, nel pieno dello scontro fra Hezbollah e l’esercito israeliano, questa tragedia rappresenta una delle pagine più buie della storia contemporanea del paese dei cedri. Per ricordarla, il blog libanese “A separate State of Mind” ha pubblicato la testimonianza di chi a Qana ha vissuto e che fu testimone di quell’orrenda carneficina. La traduzione che qui riportiamo ha una duplice valenza. In primo luogo è un necessario esercizio di memoria affinché eventi del genere non si ripetano, ma soprattutto è un monito al mondo intero per riflettere sul terrorismo e sulle sue definizioni. Sono gli occhi di una bambina di appena 6 anni (ora una giovane donna) a raccontarci di quell’aprile del 1996.

La testimonianza

Ero una bambina di 6 anni che cresceva con sempre maggiore paura per via di quei razzi sparati ogni giorno dai carri armati presenti sulle vicine colline e dagli aerei da guerra che costantemente violentavano il cielo sopra la mia casa. L’Operation Grapes of Wrath stava diventando sempre più spaventosa, letale e inquietante di minuto in minuto. Solo un altro giorno normale per un abitante del sud del Libano. Memorie sparse# 1: Zaven, che attualmente gestisce un programma presso Future TV, era un reporter d’assalto che, insieme alla suo collega dai capelli corti Zahira Harb (non so dove sia adesso o quello che faccia), sono figure importanti nella mia memoria di bambina. Memorie sparse # 2: un uomo seduto su una sedia di plastica, la testa a penzoloni da un lato, sangue e vetri rotti ovunque. Il mio ricordo di quella primavera è estremamente vivido, come se stesse accadendo ora. Ricordo ancora tutti i dettagli di quel giovedì 18 aprile e le immagini cristalline che mostrano la morte e l’orrore in ogni momento. Ricordo i volti dei soldati dell’Unifil che piangevano e gridavano, sopraffatti dallo shock, dal disorientamento e dal fuoco. La notizia fu scioccante. Un raid israeliano mirato, senza alcuna esitazione, verso un compound delle forze Unifil nel villaggio di Qana. Un compund nel quale le famiglie avevano cercato rifugio. La maggior parte di esse erano persone anziane, bambini e donne. Sì, fu un massacro, un crimine contro l’umanità: la carne e il sangue fusi con l’acciaio, le macchie di tessuti epidermici e fluidi corporali sparsi sui muri, corpi sfigurati e deturpati, bambini decapitati, piscine di carni umane fuse fra di loro dove era impossibile differenziare un individuo dall’altro. Quella crudeltà è stata catturata e messa su nastro e registrato nella mente, rafforzata dal dolore di chi è sopravvissuto allo shock. Tutto il paese era sotto shock. Non ci sarebbe state nessuna scusa per quell’attacco e del resto nessuna scusa sarebbe stata accettata e non lo sarà mai. Non ho visto funerale più grande di quello che trasportò le vittime di Qana alla loro ultima dimora. Un mare di nero, di braccia che ondeggiavano nel loro dolore sotto le bare ognuna delle quali ospitava intere famiglie ed i corpi dei loro cari bruciati insieme. Più di un centinaio di anime sono state prese in una frazione di secondo. I loro sogni sono stati distrutti in piccoli pezzi che oggi giacciono insieme in fosse comuni. Mi ci sono voluti nove anni per far la pace con i giornali. Per anni mia sorella maggiore era solita utilizzare le immagini dei quotidiani che raffiguravano il massacro di Qana per spaventarmi. Ecco come ho vissuto la mia infanzia nel sud del Libano. Invidio i ragazzi che sono cresciuti con la sola paura dell’uomo nero. So che massacri avvengono ogni giorno in tutto il mondo, oggi più che mai, in paesi vicini come di quelli lontani. Guerre civili o attacchi terroristici, il mio rispetto va ad ogni anima innocente in questo mondo uccisa intenzionalmente o come danno collaterale nel corso di conflitti dei quali non vorrebbero essere parte. Tutto sembra più intenso e più importante quando si tratta di un qualcosa di personale, come Qana è senza dubbio per me. Tuttavia il vero punto nodale del discorso è un altro: il terrorismo non ha nazionalità, nessun colore e nessuna etnia. Riconoscere i terroristi. In questo non si è mai troppo tardi per essere equi. *Si fa riferimento al primo dei due massacri avvenuti a Qana. Il secondo attacco contro la popolazione civile nella medesima cittadina libanese avvenne nel 2006, durante la guerra dei 34 giorni tra Israele ed Hezbollah. In quell’occasione morirono oltre 25 civili. April 23, 2013

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