Dopo aver riconosciuto il Parlamento di Tobruk come l’unico rappresentante del popolo libico nell’agosto 2014, l’Occidente vuole adesso applicare l’accordo di Skhirat del 17 dicembre 2015 che prevede un governo di unità nazionale a Tripoli, suscettibile di fare appello alla comunità internazionale per condurre la guerra contro il terrorismo e l’organizzazione dello Stato Islamico a Sirte. Molti osservatori temono che questi accordi approfondiranno le divisioni tra la Cirenaica e la Tripolitania, con il rischio di aprire il vaso di Pandora di una nuova guerra civile.
Un detto popolare diffuso in Libia afferma che la Cirenaica è sempre stata al centro degli avvenimenti politici e militari decisivi per la storia del paese.
E’ in particolare in questa regione, infatti, che si è affermata in maniera decisiva la resistenza contro la potenza occupante italiana sotto l’influenza della confraternita senussita, cui apparteneva quello che divenne il futuro fondatore della monarchia libica nel 1951.
E’ sempre in Cirenaica che il Colonnello Muhammar Gheddafi e i suoi compagni hanno proclamato la rivoluzione il 1° settembre 1969 e in cui nel 2011 è iniziato il processo insurrezionale che ha messo fine al regime dopo otto mesi di guerra civile.
La storia sembra ripetersi di nuovo nel 2016. E’ a partire da questa regione che si stanno profilando degli eventi che, nelle prossime settimane, potrebbero nuovamente sconvolgere i piani delle Nazioni Unite e degli Stati occidentali che prevedono l’istallazione a Tripoli di un governo di unità nazionale frutto degli accordi firmati a Skhirat lo scorso 17 dicembre.
Eppure, tutto sembrava essere cominciato nel migliore dei modi, con lo sbarco a Tripoli, la mattina del 31 marzo, di Fayez Serraj, accompagnato da 6 degli 8 membri del suo Consiglio Presidenziale (1). La maggioranza delle grandi milizie di Tripoli e di Misurata hanno accettato il ritorno di Serraj in seguito alla conclusione dei negoziati, permettendo al neo eletto premier di poter beneficiare della loro protezione.
Di fatto, i gruppi armati contrari al suo ritorno, raggruppati in un fronte di rifiuto sotto l’autorità del misuratino Salah Badi hanno evitato il confronto dislocandosi nelle loro caserme nel sud della capitale.
Questo ritorno, salutato immediatamente dagli Stati europei (con visite dei ministri degli Esteri italiano, inglese, francese e spagnolo in meno di una settimana) e dalle Nazioni Unite, ha permesso la creazione di un circolo virtuoso in Tripolitania.
Nel giro di qualche giorno, le due uniche istituzioni sopravvissute alla caduta del regime di Gheddafi, la Banca Centrale Libica e la Compagnia Petrolifera Nazionale (National Oil Company, NOC), hanno riconosciuto l’autorità di Serraj, così come un gran numero di municipalità della Tripolitania.
La popolazione della capitale, esausta e stanca dei cinque anni di rivalità, di frammentazione e di una situazione economica sempre più difficile, hanno accolto questa nuova dinamica con grande entusiasmo.
Una parte dei membri del vecchio Congresso Generale del Popolo eletto nel 2012 ha deciso di sostenere il nuovo governo piuttosto che opporglisi, procedendo alla realizzazione del Consiglio di Stato, organo consultivo previsto dagli accordi di Skhirat.
Secondo i termini di questo accordo, l’organismo non avrebbe dovuto neanche essere designato se non dopo la ratifica da parte del Parlamento di Tobruk del nuovo governo di unità nazionale, in quanto unica istituzione ufficialmente riconosciuta dalla comunità internazionale.
Oltre a questa nomina precipitosa, l’identità di chi ne ha preso il comando, Abderrahman Sewehli – personalità di Misurata nota per essere stata all’origine della spedizione militare di rappresaglia contro la città di Beni Walid (a lungo sostenitrice del vecchio regime durante la guerra del 2011 e storica rivale di Misurata) e della legge di esclusione del 2013 contro tutti gli ex funzionari del regime di Gheddafi – ha legittimamente rinvigorito i sospetti del Parlamento di Tobruk riguardo il processo politico in corso.
La situazione poteva quindi sembrare promettente sotto alcuni aspetti. Sfortunatamente, questa dinamica sviluppatasi nell’ovest del paese ha inevitabilmente contribuito ad accrescere la frattura con la parte orientale.
L’arrivo di Fayez Sarraj e del suo Consiglio Presidenziale, vede tra le sue fila la persona di Ahmed Maetig, originario di Misurata e primo vice di Serraj, che appariva come sempre più predominante e che ha avuto come effetto diretto il rafforzamento delle posizioni dei più radicali all’interno del Parlamento di Tobruk nel loro rigetto del nuovo governo.
Al di là del rifiuto di vedere il Generale Haftar deposto dal suo ruolo di comandante in capo delle forze armate, confermato attraverso il rifiuto di ratificare la nomina del nuovo governo di unità nazionale, l’impasse attuale riflette una frattura molto più profonda tra le due regioni.
Come già successo, un focus eccessivo sui singoli individui – che si è tradotto nell’imposizione di sanzioni da parte dell’Unione Europea contro il Presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Salah Issa – distoglie l’attenzione da cause più strutturali.
I dirigenti della regione orientale e i media che li sostengono in Egitto e negli Emirati Arabi Uniti, hanno strumentalizzato il risentimento delle tribù della Cirenaica nei confronti dell’ovest del Paese, accusato di sostenere i jihadisti di Bengasi e di Derna; fatto che ha contribuito a rinforzare il settarismo regionale della Cirenaica.
In Tripolitania, si è assistito al ritorno (ampiamente mediatizzato), dei membri degli alti ranghi del vecchio regime (2), l’invito rivolto alla vedova del colonnello Gheddafi di fare ritorno alla sua città (comunicato rilasciato il 27 aprile) da parte del Consiglio Municipale e dalle tribù di Al-Baida, e dell’arruolamento di ex funzionari e di soldati dei battaglioni di sicurezza del vecchio regime – nello specifico, la potente “Brigata 32” comandata da Khamis Gheddafi – nei ranghi dell’Esercito Nazionale Libico.
Tutte queste questioni hanno fornito dei validi argomenti alle élites di Tripoli maggiormente post-rivoluzionarie per sottolineare il carattere “contro-rivoluzionario” delle autorità di Tobruk.
Forte dei suoi recenti successi militari sui fronti di Bengasi e di Ajdabiya, l’Esercito Nazionale Libico del Generale Haftar, con il sostengo dell’Egitto e degli Emirati Arabi (3), nei prossimi giorni dovrebbero lanciarsi in un’operazione militare contro l’organizzazione dello Stato Islamico nella città di Sirte (offensiva avviata dalle truppe di Haftar il 4 maggio, in violazione dell’ultimatum governativo di Serraj che aveva intimato lo stop a ogni operazione militare nella regione in attesa della formazione di un comando unificato, ndr).
Questa operazione, che porta già il nome di “Gardabiya 2” sarà diretta, al di là dell’obiettivo proclamato di liberare Sirte, la conquista dei giacimenti petroliferi attualmente controllati dalle Guardie petrolifere, fino ad oggi riunite intorno al nuovo governo di unità nazionale.
Questo rischio non è sfuggito a Serraj che il 28 aprile, durante una conferenza stampa, ha sottolineato come un’operazione “prematura” diretta contro Sirte da qualsiasi dei due blocchi coinvolti, non era assolutamente auspicabile.
Le milizie di Misurata, da parte loro, hanno ugualmente avviato i preparativi per un’offensiva contro Sirte, riposizionando le truppe ad ovest e sud della città (sempre il 4 maggio, in occasione dell’offensiva dell’esercito guidato da Haftar, si sono verificati violenti scontri tra le due armate nell’area di Jufra, a sud di Sirte, ndr).
La liberazione di Sirte, trascurata da più di un anno, diventa quindi una partita essenziale per i due blocchi rivali che mirano, attraverso una vittoria militare, ad aumentare le loro probabilità di prevalere politicamente sull’avversario.
Un confronto diretto tra le due fazioni, oltre a significare la fine del processo politico attuale sponsorizzato dalle Nazioni Unite, comporterebbe anche un grave rischio per il futuro del Paese. La presenza di numerosi ufficiali del vecchio regime originari di Sirte e di Bani Walid all’interno dell’esercito guidato da Haftar e il desiderio di vendetta – specialmente da parte di Bani Walid, che non ha dimenticato l’occupazione e gli atti di bullismo subiti nel 2012 da parte delle milizie di Misurata – sono suscettibili di riaprire le ferite della guerra del 2011.
Numerosi sono infatti coloro che, ad est come ad ovest, vorrebbero far pagare a Misurata il prezzo della dominazione politica e militare subita negli ultimi anni.
Ancora una volta, niente va come previsto in Libia.
Dopo aver riconosciuto il Parlamento di Tobruk come unico rappresentate del popolo libico dopo il suo insediamento nell’agosto 2014, nel dicembre 2015 l’Occidente ha imposto la firma di un accordo che conteneva al suo interno i rischi detonatori della situazione attuale a degli attori recalcitranti e non rappresentativi di tutte le forze in campo.
La stessa priorità accordata alla “lotta contro il terrorismo” rispetto alla ricostruzione nazionale che aveva spinto a sostenere in maniera prematura ed esclusiva il Parlamento di Tobruk nel 2014, ha guidato le scelte occidentali nel dicembre 2015.
Questa volta, si è trattato della necessità di disporre al più presto di un governo di unità nazionale che facesse appello alla comunità internazionale per condurre la guerra contro lo Stato Islamico.
Come già annunciato da numerosi osservatori della situazione libica, gli accordi di Skhirat non hanno fatto altro che consolidare le fratture e complicare ulteriormente la soluzione alla crisi in corso. L’ingerenza diretta di attori come l’Egitto e gli Emirati Arabi, che non hanno mai nascosto il loro sostegno alle autorità di Tobruk, è una questione che non è mai stata sollevata, né dalle Nazioni Unite, né dalle potenze occidentali.
Fatto ancora più preoccupante, le informazioni divulgate recentemente dal quotidiano francese Le Monde, facendo riferimento alla presenza di forze speciali francesi sul territorio libico a supporto del blocco di Haftar, hanno dimostrato che nello stesso momento in cui la Francia dichiarava di supportare il governo di unità nazionale di Tripoli, dei soldati francesi erano presenti sul territorio per sostenere il suo avversario, contribuendo ad irrobustirlo nel quadro della scelta di Parigi orientata ad abbandonare la soluzione politica a favore della guerra.
Se i rapporti di forza a Sirte lasciano intravedere una sconfitta dello Stato Islamico, questa battaglia comporta il rischio di aprire il vaso di Pandora di una nuova guerra civile tra le fazioni libiche, che porterebbe le prospettive di ricostruzione nazionale verso uno scenario difficilmente prevedibile.
Note
[1] Due membri del Consiglio Presidenziale hanno uggicialmente boicottato Serraj e il nuovo governo. Si tratta di Ali al-Gatrani, originario della Cirenaica e fedele al Generale Haftar e Oumar al-Aswad, originario della città di Zintan, roccaforte principale alleata di Haftar in Tripolitania.
[2] Il 1° maggio, Tayyib Al-Safi, ex membro dei comitati e dei tribunali rivoluzionari, a capo della sicurezza interna della città di Bengasi negli anni Ottanta e di numerose funzioni di sicurezza e ministeriali fino alla caduta del regime nel 2011, è stato ricevuto trionfalmente a Tobruk da parte dei capi della sua tribù dei Menaffa in compagnia del generale Mohammed Miloud Al-Oujeili, anche lui ex membro dei comitati rivoluzionari e comandante di un’unità di volontari Gheddafiani durante la rivoluzione del 2011.
[3] Il 24 aprile, più di mille veicoli 4×4, di cui circa quattrocento blindati Pantera 6 di fabbricazione emiratina, sono stati consegnati alle truppe di Haftar.
*Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Orient XXI, qui il link all’originale. La traduzione dal francese è a cura di Lamia Ledrisi.
May 15, 2016di: Patrick Haimzadeh per Orient XXI*Libia,Articoli Correlati:
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