Cosa c’entra lo sport con il rock di cui scriviamo spesso su questo blog?
Niente se parliamo di business e solite porcherie, molto se lo associamo alla voglia di libertà, di condivisione e di sana e divertente competizione, come dovrebbe essere nello spirito originario delle Olimpiadi.
Sadaf Rahimi, diciottenne afghana, ne è un esempio.
La ragazza, infatti, ha sfidato le convenzioni sociali, e i pesanti pregiudizi religiosi del suo paese per cimentarsi in quello che è considerato (sì, pure da noi) lo “sport per uomini” per antonomasia: la boxe.
Già solo questo è stato un trionfo, un nuovo importante passo in avanti per le donne afghane che poco più di dieci anni fa non avevano il permesso di andare a scuola o di lavorare, neppure di praticare sport… figuriamoci il pugilato!
Il sogno però si è interrotto bruscamente appena una settimana prima dell’inizio delle Olimpiadi.
L’International Boxing Association (AIBA) ha infatti deciso che Sadaf non avrebbe potuto più competere, temendo che non fosse ancora pronta e che incontri contro sfidanti di peso molto superiore le avrebbero potuto causare seri danni alla salute.
Una grande delusione per la ragazza, che aveva pure frequentato il campo preparatorio di due settimane in Inghilterra, dove ha avuto un primo assaggio di quella che è la box a livello olimpionico.
Al Time aveva raccontato che all’inizio veniva messa “k.o. 2 o 3 volte al giorno”. Alla fine dei 14 giorni di programma, però, stava iniziando a farsi valere, e su Londra era fiduciosa.
“Sono sicura che sarò gonfiata di pugni come un sacco – aveva commentato ad aprile – Ma medaglia o no, sarò comunque un simbolo di coraggio nel momento stesso in cui salirò sul ring”.
Invece, alla fine è dovuta rimanere a casa, tornata nel suo appartamento diroccato di Kabul che condivide con altre atlete. Di nuovo ad affrontare gli sguardi torvi e la disapprovazione degli uomini e dei talebani, tanto che quando era stata ammessa alle Olimpiadi il Comitato nazionale afghano aveva deciso di non pubblicizzare troppo la cosa per proteggerla da eventuali aggressioni o violenze.
Molti, però, iniziano a fare meno resistenza a questi progressi, ormai (e per fortuna) difficili da bloccare.
“All’inizio era strano pensare alla boxe femminile – afferma ad esempio Sayed Haroon, allenatore in una palestra maschile – ma tutte le cose nuove sono strane all’inizio. Se poi le rivedi abbastanza volte, ti puoi abituare a tutto”.
Ecco perchè Sadaf ha deciso di proseguire allenamenti e incontri anche nel suo paese.
La ragazza non si certo è persa d’animo, e la sua speranza è che, con un altro paio d’anni di allenamento, avrà la sua rivincita e sarà più che pronta per Rio 2016.
E allora nessun Comitato le potrà più sbarrare la strada.
Intanto, l’Afghanistan si è dovuto presentare a Londra con una sola donna tra le atlete, invece che due. L’altra è Tahmina Kohistani, che gareggia nell’atletica leggera. (Perfino l’Arabia Saudita, riluttante fino all’ultimo, ha mandato due ragazze).
Gli altri atleti afghani sono Massoud Azizi (atletica leggera), Ajmal Faisal (Boxing), Ajmal Faizzada (Judo), Nesar Ahmad Bahawi e Rohullah Nikpai (Taekwondo). Quest’ultimo è l’unico atleta afghano ad aver mai vinto una medaglia, storico bronzo a Pechino 2008.
In tutto, il paese ha partecipato a 12 Olimpiadi estive, a partire da Berlino 1936.
Nel 1999 all’Afghanistan fu vietato di partecipare ai giochi a causa della discriminazione contro le donne ad opera dei Talebani. Fu riammesso nel 2002, dopo la caduta del regime, e ad Atene 2004 mandò cinque rappresentanti, tra cui due donne, Robina Muqim Yaar e Friba Razayeele. Loro sono state le primissime afghane a competere alle olimpiadi.
July 29, 2012
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