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Marocco. ‘Guerrilla’ al regime sul grande schermo

‘Basta, il film che non doveva mai essere fatto’. Un cortometraggio racconta la prima esperienza di cinema indipendente marocchino. Quella di Guerrilla Cinema, un collettivo di attivisti, professionisti dell’audiovisivo e studenti pronti a sfidare la censura imposta dalle istituzioni “per democratizzare la settima arte e lottare contro l’atrofia culturale che imprigiona il paese”.

 

di Jacopo Granci da Rabat

 

“L’idea ci è venuta mentre stavamo girando un altro documentario, il lungometraggio ‘475‘ sul caso Amina Filali”, spiega Youness Belghazi, regista di ‘Basta assieme a Hamza Mahfoudi.

“Abbiamo pensato di restituire i retroscena di quell’avventura; le difficoltà, i limiti e i rischi con cui si è confrontata un’equipe a budget limitatissimo e sprovvista di autorizzazioni”.

Youness, 22 anni e una folta chioma riccioluta, vive con la famiglia nella medina di Salé (a pochi passi da Rabat) e ha terminato da un paio d’anni gli studi nel settore audiovisivo (a Casablanca, in una scuola italo-marocchina convenzionata con Cinecittà).

Per lui, tecnico del suono di formazione reinventato produttore all’interno di Guerrilla, si tratta della prima esperienza alla regia.

(In foto/ Nadir BouchMouch, a sinistra, e Younes Belghazi)

Non è stato facile gestire i problemi e gli imprevisti, anche considerati i mezzi di bordo a disposizione.

Per avviare le riprese, nel luglio scorso, Youness, Nadir, Houda e gli altri hanno fatto una colletta raccogliendo circa 5 mila dirhams (più o meno 500 euro).

“Una somma con cui abbiamo noleggiato una macchina e ci siamo trasferiti a Larache (dove vive la famiglia di Amina). Un attivista della zona ci ha ospitato permettendoci di risparmiare su vitto e alloggio”.

Passare al montaggio ha significato poi dividersi i compiti in base alle competenze e migrare da un appartamento all’altro, in cerca dei materiali più adatti. Talvolta, ha significato ricorrere ad espedienti ‘artigianali’ ma efficaci.

“Abbiamo lavorato di notte, dalle otto di sera alle otto di mattina, prendendo in prestito le strumentazioni professionali di alcuni amici tra un turno e l’altro. Ricordo che per insonorizzare la stanza, al momento di registrare la voce fuori campo, ci siamo portati dietro i materassi e li abbiamo schiacciati alle pareti…come musicisti alle prime armi”.

(In foto/ Houda Lamqaddam, voce narrante del film)

Per completare la post-produzione di ‘Basta’ e ‘475′ il collettivo Guerrilla Cinema ha fatto ricorso al crowdfunding (appello a donazione su internet), un sistema di finanziamento sempre più utilizzato dai film makers indipendenti costretti a sfuggire alle maglie della censura o intenzionati ad aggirare i canali ufficiali. 

Settemila dollari il tetto di spesa fissato, raggiunto in poche settimane.

“Se avessimo promosso la campagna prima delle riprese saremmo stati facilmente intercettati e neutralizzati. Qualche rischio l’abbiamo corso comunque, ma tutto il girato ormai era al sicuro. Alla fine abbiamo realizzato due film con un budget che una ‘normale’ produzione spende in una sola mattinata”.

(In foto/ La troupe a lavoro)

Combattere l’idea che il cinema sia un’arte di lusso ed elitaria – di esclusiva competenza degli istituti privati di Marrakech o Tangeri – e riavvicinarla alla popolazione. Farne uno strumento di resistenza sociale e politica.

“La Guerrilla è un’opera di disobbedienza civile e artistica. Opporsi alle cosiddette istituzioni culturali del paese non è sufficiente, bisogna proporre un’alternativa, sperimentare altre forme di espressione. Il nostro è un esempio, con le sue lacune e i suoi handicap. L’obiettivo è spingere altri a seguirlo e a migliorarlo”.

(In foto/ Un momento delle riprese)

Basta – accessibile on-line a partire dal 12 marzo – ripercorre la storia del collettivo e dei suoi membri.

Dai primi filmati realizzati durante le manifestazioni del ’20 febbraio’ alle video-campagne prodotte a sostegno del movimento, fino alle riprese di ‘My Makhzen & Me. Momento che segna l’inizio della collaborazione tra Youness e il regista Nadir Bouhmouch.

“Alcuni di noi già si conoscevano, ma è stato grazie al ’20 febbraio’ che abbiamo intessuto le maglie della nostra rete, consolidatasi nel tempo. Guerrilla è una naturale prosecuzione del movimento e della sua ragion d’essere: riappropriarsi dei diritti senza aspettare che qualcuno li ‘conceda’ dall'<o”.

(In foto/ La troupe a lavoro durante le riprese)

Difficile individuare una data di costituzione, il collettivo è informale e a geometria variabile: oltre al nocciolo duro – formato da attivisti di differente profilo, allievi ed ex allievi delle scuole di cinema – ci sono volontari e collaboratori esterni, professionisti che a volte preferiscono l’anonimato per evitare ritorsioni sui luoghi di lavoro.

“Questo perché siamo considerati fuorilegge e i nostri film illegali”. Nelle parole di Youness sembra riecheggiare lo spirito dei vecchi corsari che popolavano Salé nei secoli scorsi.

La sua, però, non è un’esagerazione. In Marocco infatti la regolamentazione del settore è notevolmente restrittiva.

Solo il Centre cinematographique marocain (CCM), previo consenso dei ministeri della Cultura e soprattutto dell’Interno, può rilasciare permessi per le riprese e agevolare finanziamenti. Non è un caso se ‘Basta’ “è dedicato a tutti i film che non hanno mai visto la luce a causa dell’intervento del CCM”.

Ma la censura, continuano i giovani cineasti, va al di là della sfera giuridica ed economica. Con il tempo si trasforma in censura sociale.

“Durante le riprese a Larache, in alcune occasioni, sono stati gli stessi abitanti ad impedirci di riprendere o fare interviste. La gente ormai associa la telecamera alle bugie e alla propaganda diffusa dalle radio e dalle televisioni. Ecco allora che censura e propaganda diventano due facce della stessa medaglia, due azioni condotte dalle istituzioni che controllano i circuiti di espressione ufficiali e bloccano l’emergere della contro-cultura. ‘Basta’ parla anche di questo..”.

Un esempio citato nel documentario: la chiusura a ripetizione delle sale di proiezione di epoca coloniale, ridotte a ruderi fatiscenti.

“La qualità delle scuole è in caduta libera, i muri delle città sono bianchi e i cinema stanno scomparendo. Sono tre immagini che testimoniano il vuoto intellettuale e culturale che ci sta imprigionando”, è il commento laconico di Youness.

(In foto/ Un cinema abbandonato)

Ma l’amara constatazione non lascia spazio all’arrendevolezza nelle menti dei giovani cineasti. E’ solo il punto da cui ripartire. Nadir Bouhmouch, regista di ‘475′ e ‘My Makhzen and Me’, non ha dubbi in proposito.

“I film e l’arte più in generale sono indispensabili alla crescita di una società, sfidano lo status quo e si interrogano sulle vie da improntare per il suo cambiamento. Quando l’arte non sfida, non la considero arte ma un prodotto di consumo o di intrattenimento”.

Questo era il panorama, secondo Nadir e Youness, fino all’esplosione della ‘primavera’ e allo sbocciare di un nuovo fermento culturale dal basso.

“Le cose ora stanno cambiando, grazie anche al progresso tecnologico. Telecamere ad alta definizione diventano ogni giorno più economiche e più piccole. I supporti digitali stanno democratizzando le opportunità di espressione”.

Ora serve una nuova generazione di artisti, la nostra, che si impadronisca con consapevolezza di questa ‘rivoluzione’ e che rilanci la sfida..”.

 

*Si ringrazia il collettivo ‘Guerrilla’ per aver messo a disposizione di Osservatorio Iraq le foto pubblicate.  

 

10 marzo 2013 

 

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