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Marocco. La vendetta delle autorità contro il rapper del dissenso

Preso di mira dallo Stato per le sue idee politiche e per la sua partecipazione al movimento del 20 febbraio, il cantante marocchino El Haqed è di nuovo sotto arresto: è la terza volta, dal 2011.

 

 

Sono passati infatti più di tre anni da quando l’artista hip-hop Mouad Belghouat, noto anche come El Haqed (o L7a9ed, nella scrittura in stile web/sms tanto in voga tra i rapper) aveva lanciato il suo rap diventato l’inno della rivolta in Marocco nel periodo delle “primavere arabe”.

Si tratta di Baraka Min Elskate (“Stop the Silence”), canzone che aveva accompagnato e spronato i connazionali a scendere in piazza e ad opporsi alla corruzione imperante, agli abusi da parte dello stato, alla brutalità della polizia, all’inuguaglianza e all’ingiustizia, in quella che per la maggior parte degli occidentali rimane una delle monarchie arabe più “moderne” e “moderate”.

Da sempre critico del sistema, “l’arrabbiato” El Haqed è stato infatti uno dei protagonisti delle proteste pro-democrazia a Casablanca, con concerti e canzoni, di cui poi condivideva i video su Youtube.

Denunciato da un sostenitore della monarchia nel 2011, è stato accusato e condannato per aggressione, subendo in realtà numerosi interrogatori soprattutto sulla sua connessione ai movimenti di piazza e alle rivolte.

Nel 2012 è finito nuovamente in carcere per aver insultato un agente di polizia e le forze di sicurezza nazionali, accusa che gli è costata una pena detentiva di un anno.

Tra le prove presentate dai pubblici ministeri, il video musicale della sua canzone Klab Dawla (“Cani dello Stato”), che mostrava un cartone animato di un poliziotto con la testa d’asino, immagine che accompagnava, come si può immaginare, rime ben poco lusinghiere nei confronti della polizia.

Trascinato dentro e fuori dalle aule di tribunale per mesi, anche dopo la sua liberazione la presentazione per l’uscita del suo album è stata vietata, così come numerosi concerti pubblici.

L’ultimo arresto risale invece a due settimane fa, quando Belghouat, insieme a suo fratello minore e ad alcuni amici, si trovavano fuori dallo stadio Mohamed V di Casablanca, in procinto di entrare a vedere una partita di calcio.

Secondo i testimoni, ad un certo punto la polizia si è avvicinata prendendo subito di mira il rapper. L’accusa: acquisto di biglietti falsi e aggressione ai danni di un agente.

“Sembrava tutto premeditato – racconta il fratello minore Hamza, l’unico ad essere stato portato in centrale insieme all’artista – hanno ferito Mouad alle mani, ho visto i segni. Poi ci hanno trascinato in uno di quei furgoni blu della polizia e hanno continuato a picchiarci. Durante l’interrogatorio ci hanno insultato e attaccato per cinque ore”.

Alla fine, l’unico ad essere rimasto in custodia cautelare è stato proprio El Haqed, che sarebbe dovuto comparire di fronte al giudice il 29 maggio, udienza poi rimandata al 5 giugno (una pratica, questa di rimandare e allungare la custodia, non nuova per quanto riguarda gli attivisti).

 

IL NUOVO DISCO E IL SOSTEGNO INTERNAZIONALE

 

Ma perché colpirlo proprio ora? Il problema è che, nonostante gli arresti e gli abusi, il rapper non ha affatto ammorbidito la sua linea.

Lo dimostra anche l’ultimo album, la cui presentazione e diffusione è stata nuovamente vietata dal governo: il disco s’intitola “Walou”, parola che significa “Niente”, e la canzone omonima non fa che ripetere come nel paese, appunto, nulla sia cambiato in settori come giustizia e istruzione, mentre permangono le stesse piaghe di sempre: corruzione, dittatura, tortura e repressione.

Secondo gli attivisti, infatti, il regime ha continuato a fare marcia indietro da tutte le promesse di riforma fatte in seguito alle rivolte arabe, e la gente ancora parla della mancanza di opportunità economiche e di servizi sociali, del furto dei salari, degli espropri delle terre da parte di imprese di proprietà statale, dell’inefficacia delle leggi per tutelare i diritti dei singoli cittadini. Per non parlare, come dimostra l’arresto di El Haqed, della libertà di espressione.

E se le detenzioni precedenti avevano risvegliato l’indignazione internazionale, con interventi di ong importanti come Amnesty International, nemmeno questa volta i sostenitori del rapper hanno intenzione di stare con le mani in mano.

Già su Twitter è partito il tam tam con gli hashag #FreeL7a9ed e #Musicisnotacrime, che è anche il titolo del sito web dove si possono leggere gli aggiornamenti sul caso e firmare la petizione per il suo rilascio.

Gli attivisti hanno anche creato un messaggio video in cui chiedono agli artisti che si esibiranno al grande festival marocchino Mawazine di questi giorni – soprattutto a quelli conosciuti a livello internazionale come Robert Plant, Ricky Martin, Alicia Keys, Justin Timberlake – di sensibilizzare il pubblico sulla vicenda del rapper.

“El Haqed, come i suoi colleghi in Tunisia, è una sorta di “reporter musicale”, che scrive dalla strada ed esprime le frustrazioni di molte persone – afferma tra gli altri Ole Reitov, direttore di FreeMuse, organizzazione internazionale per la difesa dei diritti di opinione ed espressione – il Marocco deve aderire alle convenzioni internazionali che garantiscono la libertà di parola”. 

 

June 01, 2014di: Anna ToroMarocco,

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