La cittadina di Beni Bouayache e i villaggi circostanti vivono momenti di stato d’assedio. Le strade sembrano trasformate in campo di battaglia dopo che alcune manifestazioni sono degenerate in scontri aperti con la polizia. Ad un mese dalla rivolta di Taza, un nuovo sollevamento scuote il regno maghrebino, questa volta nella regione berbera del Rif, dove marginalità sociale e risveglio identitario formano una miscela potenzialmente esplosiva.
testo e foto di Jacopo Granci da Rabat
Da mesi gli abitanti di Beni Bouayache (Ait Bouayache in berbero) avevano intensificato le azioni di protesta contro mancanza di impiego, carenza di infrastrutture e aumento delle bollette per la fornitura elettrica.
Tre fattori comuni, divenuti ormai una costante, all’origine del malessere sociale che si sta diffondendo in tutta la periferia del regno, in quel Marocco definito “inutile” fin dal tempo del protettorato.
Ma non è solo il degrado economico ad aver infiammato il piccolo centro situato tra la costa mediterranea e le montagne del Rif.
Ad Ait Bouayach – come in tutta la zona che circonda Al Hoceima – la contestazione sociale, nell’ultimo anno, si è mescolata alle nuove forme della dissidenza politica.
In questa regione infatti, che fatica a riconciliarsi con il governo di Rabat dopo l’insurrezione soffocata nel sangue nell’immediato post-indipendenza (1958-’59), l’azione dei diplomés-chomeurs (laureati-disoccupati) e quella delle associazioni amazigh (riunite nel collettivo per l’autonomia del Rif) si sono fuse alla coordinazione locale del Movimento 20 febbraio.
Uno scenario ancora inedito nelle grandi città del paese, che ha fatto del territorio di Al Hoceima una roccaforte della “primavera marocchina” e, allo stesso tempo, uno dei bersagli privilegiati della repressione del regime (6 morti dal 20 febbraio 2011).
Nessuna sorpresa o quasi, dunque, quando il 3 marzo scorso l’arresto di un giovane militante del movimento ha trasformato i sit-in permanenti di fronte all’ONE (Office national d’électricité) e alla sede delle autorità locali in manifestazioni di massa.
Gli abitanti di Ait Bouayache hanno bloccato la strada nazionale che collega Tetouan ad Al Hoceima, nel tentativo di marciare verso la prigione del capoluogo per chiedere la liberazione immediata dell’attivista.
Tentativo impedito dall’intervento della polizia a cui sono seguiti gli scontri.
Il confronto, poi, è cresciuto di intensità nei giorni successivi, mano a mano che nella cittadina sono accorsi i rinforzi dei reparti anti-sommossa.
Mentre sulle strade i manifestanti rispondevano alle cariche (idranti, gas lacrimogeno) con il lancio di bottiglie incendiarie, sui tetti delle case sono apparse le bandiere della Repubblica del Rif, simbolo della resistenza condotta da Abdelkrim Khettabi contro gli eserciti coloniali spagnolo e francese (1923-’26), e gesto tuttora ritenuto di grave insubordinazione nei confronti del potere centrale.
Come accaduto durante la rivolta di Taza all’inizio del febbraio scorso, la reazione violenta delle autorità – prodottasi nella notte tra il 7 e l’8 marzo – è sembrata più intenzionata a vendicare dell’affronto subito che al ripristino dell’ordine.
Secondo la testimonianza di Chakib Al Khayari, presidente dell’associazione rifegna per i diritti umani (ARDH) ed ex detenuto politico, gli agenti avrebbero fatto irruzione nei domicili privati e negli esercizi commerciali in cerca degli “agitatori”, procedendo ad arresti sommari, alla distruzione dei beni, a sequestri e percosse anche su donne e minori.
Da allora una parte degli abitanti ha lasciato le proprie case per trovare rifugio nei boschi circostanti. E così da quattro giorni su Ait Bouayache è stato imposto un coprifuoco non dichiarato.
I quartieri e gli ingressi della cittadina sono costantemente pattugliati dai mezzi blindati e dagli idranti, la circolazione è bloccata, mentre le manifestazioni vengono sistematicamente disperse.
Intanto, l’onda del sollevamento si è estesa ai centri circostanti.
Durante il fine settimana nuovi scontri tra la popolazione e le forze dell’ordine hanno interessato i villaggi di Boukidane e Tamassint e la città di Imzouren.
Ancora fuochi appiccati alle staffette di polizia, ancora arresti e violenze, come testimoniano i video e le fotografie che circolano sul web, nonostante alcuni siti di informazione e i blog degli attivisti locali siano stati piratati e nonostante il generale disinteresse dimostrato dalla stampa nazionale.
Al contrario, la repressione ha innescato uno slancio di solidarietà tra le reti degli attivisti, che domenica hanno manifestato a Casablanca, Tangeri e Al Hoceima, oltre agli appelli di sostegno diffusi dalle comunità rifegne all’estero.
Il movimento amazigh ha indetto una nuova tawada (marcia) “per denunciare la marginalizzazione e il disprezzo subito dalle regioni berberofone”, la “gestione irresponsabile” della politica di sicurezza da parte del governo e il suo rifiuto di dare applicazione all’art. 5 della Costituzione, che riconosce la lingua amazigh come idioma ufficiale al fianco dell’arabo.
L’appuntamento è fissato per il 22 aprile a Casablanca.
Resta per il momento impossibile, tuttavia, stilare un bilancio esaustivo dell’accaduto. Dopo l’arrivo nella regione del ministro dell’Interno, l’agenzia stampa di governo (MAP) ha diffuso la notizia del ricovero di alcuni agenti (senza specificare il numero) e di dieci arresti effettuati.
Secondo l’associazione di Al Khayari invece, il numero dei fermati – molti dei quali rilasciati con evidenti segni di tortura nel corpo – sarebbe di gran lunga superiore.
Un cittadino olandese originario della zona in rivolta, di passaggio ad Ait Bouayache, risulta tuttora disperso nonostante le proteste inoltrate dai rappresentanti diplomatici a Rabat.
March 13, 2012
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