Sahara. Una nuova generazione di attivisti

Stretti tra governi che li discriminano e vecchi movimenti nei quali non si riconoscono più, i giovani sahrawi stanno emergendo con nuove forme di rivendicazione. Una giovane generazione di attivisti si sta facendo spazio. 

 

 

Classificato come un “territorio non autonomo” dalle Nazioni Unite, il Sahara occidentale è un’ex colonia spagnola di 266mila chilometri quadrati, amministrata con pugno di ferro dal Marocco sin dal 1975, ma la cui indipendenza è tuttora reclamata dal Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria.

E’ un territorio abitato da circa 540mila persone, di cui oltre la metà ha meno di 30 anni. 

Per imporre la propria autorità, lo Stato marocchino ha deciso sin dai primi anni di fare leva sui notabili tribali del Sahara occidentale. Per assicurarsi la loro alleanza, ai membri delle famiglie più influenti sono state concesse licenze per la pesca in alto mare, accordi in differenti ambiti (specialmente quello dei trasporti), incarichi di prestigio nelle amministrazioni.

Ma verso gli attivisti indipendentisti più intransigenti Rabat ha risposto in modo del tutto repressivo tra il 1975 e il 1999: carcere, sparizioni, torture. 

Il cessate-il-fuoco siglato nel 1991 tra il Marocco e il Fronte Polisario è intervenuto in un contesto interno di relativa distensione dei rapporti tra la monarchia e i partiti dell’opposizione. Il Sahara occidentale non è sfuggito a questa ‘pacificazione’, che si è sviluppata in un contesto internazionale caratterizzato dalla caduta del Muro di Berlino, dal declino del totalitarismo in Europa dell’Est e dalla fine della Guerra fredda.

In questo territorio dominato da strutture tribali è emerso un nuovo attore, sia dal punto di vista dei comportamenti individuali che delle dinamiche sociali: i giovani. 

Un attore sociale che, a distanza di qualche anno, è oggi concorrenziale rispetto all’assetto tribale, e capace di alternare ai meccanismi classici delle rivendicazioni sociali l’espressione di un dissenso politico ed economico. Avendo avuto accesso nella maggior parte dei casi alle Università marocchine (1), questa gioventù si è resa rapidamente autonoma sia nei riguardi delle élite tribali che verso la potenza “amministrativa” (il Marocco), dopo aver preso coscienza della vastità del sistema clientelare e dei rapporti non paritari che la monarchia ha stabilito nel corso dei decenni. 

 

La “grande rottura”

Nel maggio del 2005 scontri sociali di particolare violenza hanno visto opporsi i giovani sahrawi alle forze dell’ordine nelle maggiori città del Sahara occidentale, principalmente el-Aaiùn. 

Quattordici attivisti – per la maggior parte indipendentisti tra cui Aminatou Haidar, Mohamed Moutawakil e Mohamed Salem Tamek – sono stati arrestati e condannati a pene detentive importanti, divenendo nel giro di qualche mese le figure emblematiche della nuova contestazione sahrawi.

Eventi che hanno rappresentato un profondo momento di rottura nella storia regionale. 

Nel marzo del 2006, meno di un anno dopo questi fatti, il Re Mohammed VI ha svolto un viaggio ufficiale in pompa magna nella città, considerata insieme a Smara come uno dei luoghi simbolo della contestazione indipendentista.

Nel suo discorso, ha fatto appello alla “instaurazione di una buona governance, basata sull’ampliamento degli spazi di partecipazione per la gestione degli affari locali, e alla creazione di una nuova élite capace di assumersi responsabilità”. I toni e le formule utilizzati hanno suscitato molte speranze di cambiamento, dando l’impressione che i meccanismi della rappresentanza locale sarebbero evoluti verso una più ampia democratizzazione.

Eppure, il primo passo è stata la creazione di un Consiglio reale consultivo per gli affari del Sahara (Corcas), i cui membri non sono stati eletti ma tutti nominati dal Palazzo. 

La tanto attesa rottura con la strategia clientelare, che ha favorito i notabili delle tribù a discapito di una gioventù marginalizzata da disuguaglianze sociali e disoccupazione (che secondo le stime ufficiali interessa circa il 30% della popolazione giovanile) non ha avuto luogo.

Allontanare questi “signori del deserto” o tentare di ridimensionarne sensibilmente il potere, vorrebbe dire mettere completamente in discussione un’intera economia basata sulla rendita, le relazioni sociali, i meccanismi dell’ascensione sociale. 

Da quel momento, il Corcas è divenuto il sinonimo dell’inefficacia e dell’immobilismo dello Stato: un guscio vuoto. “Il Consiglio è ancora oggi in uno stato di paralisi, soffre di una sostanziale mancanza di credibilità” raccontava nel gennaio del 2013 uno dei suoi membri più anziani, il politologo Mustapha Naimi (3). In un discorso tenuto nel novembre 2010, anche il Re ha fatto appello ad una “profonda ristrutturazione del Corcas”. Senza tuttavia darvi seguito. 

E’ in questo contesto che i giovani sahrawi hanno costruito la propria identità e il loro discorso politico di contestazione e mobilitazione.

Un contesto caratterizzato dal potere assoluto dei notabili sahrawi da un lato, che continuano a monetizzare la propria sottomissione alla monarchia; e dall’altro dalla retorica reale che fa (vuoti) appelli alla partecipazione giovanile per lo sviluppo dell’area. 

 

Cavalcare l’onda del fallimento economico 

Il discorso politico dei giovani attivisti sahrawi oscilla tra due parametri abilmente interconessi. Sul piano interno, l’assetto sociale dominato da rapporti di disuguaglianza conferisce al discorso contestatario una capacità di mobilitazione considerevole, ed una conseguente legittimazione.

Cavalcare l’onda di una realtà sociale ed economica al fallimento, e della quasi totale assenza di una strategia di sviluppo basata su logiche democratiche, permette agli ideali indipendentisti di guadagnare credibilità.

Denunciare le ingiustizie sociali per mettere in discussione l’utilità della “potenza amministrativa”, e pertanto la sua legittimità politica, è poi un tema che attraversa tutte le rivendicazioni giovanili. L’esempio più significativo si è avuto con gli scontri nel campo Gdeim Izik nel novembre 2010. 

Tutto era cominciato un mese prima, quando alcuni attivisti avevano piantato le loro tende a Gdeim Izik, 12 chilometri a est di el-Aaiùn, per protestare pacificamente contro le loro condizioni di vita. Nel giro di pochi giorni i manifestanti erano oltre 15mila.

All’inizio di novembre le autorità hanno quindi deciso di sgomberare l’insediamento con la forza: l’8 novembre, all’alba, la gendarmeria reale e le forze ausiliarie hanno fatto irruzione nel campo. Gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e sfollagente sono stati abbondantemente utilizzati (anche se non armi da fuoco). Gli scontri tra polizia e attivisti hanno provocato la morte di 13 persone (di cui 11 poliziotti) e di 159 feriti. In meno di un’ora, 6mila persone hanno lasciato il campo.

La violenza contro i sahrawi ha raggiunto le strade e le case di el-Aaiùn, dove i manifestanti avevano cercato rifugio. Nel pomeriggio le forze dell’ordine dichiaravano la situazione “sotto controllo”. 

Per contestare la presenza dello Stato marocchino, gli indipendentisti fanno riferimento all’illegalità della presenza marocchina – a livello amministrativo, istituzionale e politico – e, inoltre, alla miseria in cui è costretta gran parte della popolazione sahrawi.

Questa combinazione tra rivendicazioni politiche e denuncia delle condizioni economiche è una costante del discorso politico della nuova generazione di attivisti sahrawi, che trova fondamento ideologico nelle disparità sociali e sulla mancanza di futuro di gran parte della gioventù locale, oltre che sull’inefficacia delle politiche pubbliche portate avanti dal Marocco sin dal 2005. 

La retorica reale si ripete 

Nel suo discorso del 6 novembre 2014, Mohammed VI ha riconosciuto questa sconfitta. “La nuova politica dovrà rompere con i malfunzionamenti che hanno prevalso nel corso degli anni in Sahara e che hanno incoraggiato l’economia di rendita e un sistema di privilegi”, e ha fatto appello ad una “rottura con il modello di governo precedente, per permettere ai figli della regione di partecipare alla gestione degli affari locali in un quadro di trasparenza, responsabilità e pari opportunità”. 

Eppure, nessuna misura è stata presa per realizzare la “rottura” e permettere ai “figli della regione di partecipare”, ne’ da parte del sovrano ne’ del governo. Parole che stranamente assomigliano a quelle pronunciate dal monarca 8 anni prima a el-Aaiùn per annunciare la creazione del Corcas (…). 

Sul piano esterno, di fronte alle organizzazioni internazionali e alle diplomazie, i militanti sahrawi portano avanti un discorso universalista, con concetti legittimanti che sono ispirati dalla legalità internazionale: diritto dei popoli all’autodeterminazione, referendum, decolonizzazione, proclamazione di libertà collettive, rifiuto della violenza e del terrorismo, rispetto dei diritti umani. 

Su questo piano del discorso politico la priorità non viene data alle difficili condizioni sociali in cui versa la popolazione sahrawi: gli attivisti denunciano piuttosto la violazione dei diritti umani nel territorio, la violenza poliziesca contro i civili, la sistematica repressione di qualsiasi forma di espressione pacifica (manifestazioni, riunioni, sit-in), che contraddicono la posizione ufficiale dello Stato marocchino.

Rivendichiamo il rispetto dei nostri diritti elementari come, ad esempio, la libertà di riunirci e di autodeterminarci”, ha dichiarato Aminatou Haidar. “Le nostre rivendicazioni, che compongono la nostra identità politica, sono chiaramente basate sulla cultura dei Diritti Umani. Il diritto all’autodeterminazione ne fa parte. In sua assenza, il nostro popolo non potrà avere alcuna esistenza politica. Ed il posto che le donne occupano nella nostra società conferma che siamo perfettamente adeguati ai principi universali”, ci ha detto Mohammed El Maoutawakil (4). 

Questo discorso trova terreno fertile presso le organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani in Marocco. Nell’aprile del 2013 il Consiglio di Sicurezza Onu ha deciso per la prima volta di pronunciarsi sull’ampliamento del ruolo della Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara occidentale (Minurso) verso il rispetto dei diritti umani nella regione amministrata dal Marocco.

Senza il sostegno della Francia al Marocco però – che vi si oppone ferocemente –  questo ampliamento sarebbe stato senza dubbio approvato dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Le diplomazie e le principali organizzazioni internazionali continuano a chiedere che questo meccanismo venga implementato.

Ma fin quando il Marocco non farà seguire alle parole i fatti, anche la Minurso continuerà a servire i suoi interessi. 

I giovani e il panorama regionale 

A partire dal 2005 tuttavia, anno della “grande rottura”, i modelli di rivendicazione sono cambiati. La giovane generazione del Sahara è stata influenzata dai cambiamenti che ha conosciuto il Marocco alla fine degli anni Novanta, con una relativa apertura del sistema politico.

Se i giovani non si riconoscono nel potere marocchino, non si riconoscono più neanche nel Fronte Polisario, e le loro rivendicazioni hanno un carattere cittadino e moderno, anche se si muovono nel solco del diritto all’autodeterminazione. 

Per questo motivo gli attivisti utilizzano come quadro di riferimento quello del rispetto dei diritti umani, delle libertà individuali e politiche e della legalità internazionale. Ben prima del 2011 hanno manifestato e rivendicato lavoro, accesso alle risorse, equa redistribuzione delle ricchezze del Sahara. Malgrado il carattere sociale ed economico delle loro proteste, le questioni politiche restano centrali.

Rivendicazioni che, nel quadro della legalità internazionale, hanno preceduto i sollevamenti osservati nella regione nel 2011, ma si sono allo stesso tempo nutrite delle “primavere” arabe. 

L’effetto contagioso ha investito sia le popolazioni del Sahara amministrato dal Marocco che i sahrawi di Tindouf.

Nel marzo del 2011 l’appello lanciato proprio a Tindouf dai collettivi dei Giovani Rivoluzionari esigeva riforme e cambiamenti in seno all’amministrazione dello Stato e del potere giudiziario, la fine della corruzione, la riforma del sistema elettorale e una maggiore partecipazione giovanile alla vita politica.

Manifestazioni e rivendicazioni che all’epoca furono promosse dal movimento Khat al-Chahid, costituito dai dissidenti del Fronte Polisario in Spagna. 

Un esempio che si aggiunge ad altri movimenti di disobbedienza, e che rivela quanto i dispositivi e le istituzioni messi in atto per rappresentare i sahrawi siano sempre più inadeguati.

Sia l’offerta politica del Marocco che del Polisario non corrispondono più alle richieste del popolo, che non si riconosce neanche nel Corcas. Ecco allora che si cercano vie diverse.

Come a Tunisi, l’azione politica dei sahrawi è ormai vissuta e pensata su un modello completamente nuovo dai militanti politici e dai cittadini, in un contesto in cui si conquista sempre maggiore libertà di espressione.

L’opinione pubblica ormai ha un peso sulle decisioni politiche: nel Sahara come altrove, assistiamo ad una nuova concezione della politica, che consacra la nascita del cittadino. 

La comunità internazionale non può più chiudere gi occhi su quello che sta accadendo in questo territorio, anche alla luce dei cambiamenti che si stanno consumando e dell’evoluzione regionale e internazionale, per la quale si impone un nuovo corso delle cose. 

 

1) Per evitare il rischio di ulteriori problemi le autorità marocchine non hanno costruito università nelle città del Sahara occidentale. Gli studenti sahrawi quindi seguono principalmente il loro percorso di studi a Marrakesh o a Settat. 

2) Soprannominati “signori del deserto”, questi notabili “beneficiano (…) di importanti licenze per l’estrazione di sabbia e la pesca in alto mare. Tra loro figurano anche vecchi dirigenti del Polisario che si sono uniti al Marocco, come Guejmoula bent Ebbi, Hibatou Mae Elainine, Hassan Derhem o ancora la potente famiglia degli Ould Errachid” (Omar Brouksy, “Mohammed VI derrière les masques. Le fils de notre ami”, 2014). 

3) Dichiarazione al sito di informazione lakome.com, 7 gennaio 2013. 

4) Omar Brouksy, “La redéfinition de l’identité politique sahraouie”, in “L’Annuaire del la Méditerranée”, Institut européen de la Méditerranée, 2007. 

 

*La versione originale di questo articolo, pubblicato su OrientXXI, è disponibile qui. L’ultimo paragrafo è tratto da un altro articolo a cura di Khadija Mohsen-Finan, ed è disponibile qui. La traduzione dal francese è a cura di Cecilia Dalla Negra. Foto by ecemaml. Con licenza CC BY 2.0 tramite Wikimedia Commons. 

May 03, 2015di: Omar Brouksy per OrientXXI*Algeria,Marocco,

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