di Alberto Senante per Periodismo Humano – traduzione a cura della redazione E’ impossibile capire e spiegare davvero cosa significhi per un saharawi abbandonare gli accampamenti dei rifugiati di Tindouf, in Algeria, per addentrarsi nel deserto in direzione Tifariti. Dopo 16 anni di guerra contro il Marocco e 22 dal momento in cui venne raggiunto l’accordo per il cessate il fuoco – con l’obiettivo della tenuta di un referendum nel Sahara Occidentale (per decidere l’indipendenza o la sovranità marocchina, ma non ancora effettuato, ndt) – il Fronte Polisario ha scelto la città di Tifariti, simbolo del territorio che è riuscito a mantenere sotto il suo controllo durante il periodo di combattimenti (circa il 20% del totale, il resto è amministrato da Rabat, ndt), per celebrare l’inizio dell’insurrezione armata nel maggio del 1973 (quando il Sahara Occidentale era ancora una colonia spagnola, ndt). La commemorazione ha riunito delegati saharawi provenienti da vari paesi (…). Dopo una parata militare piuttosto discreta, senza altro equipaggiamento che vecchi fucili logori, è intervenuto il presidente della Repubblica araba saharawi democratica (Rasd), Mohammed Abdelaziz, che ha passato in rassegna i 40 anni di lotta per l’indipendenza. Il leader del Polisario ha ribadito la sua fiducia nel processo di pace patrocinato dall’ONU, ma non ha escluso “il diritto legale di tornare alle armi” se la comunità internazionale non spingerà in modo più deciso per la tenuta del referendum sull’autodeterminazione. L’importanza del discorso, tuttavia, non va attribuita al suo contenuto ma al luogo dove è stato pronunciato. Avvicinandosi a Tifariti, 300 km a sud-est di Tindouf, comincia ad apparire una timida vegetazione e l’aria sembra più fresca. Alcuni dei delegati non sono mai stati così vicini alle città costiere della vecchia colonia spagnola, dove vivevano la maggioranza dei saharawi prima del 1975 (e della “discesa marocchina” sui territori lanciata dall’allora sovrano Hassan II con la “marcia verde”, ndt). “A noi vecchi sale un sentimento di nostalgia, ai giovani invece soltanto rabbia”, riassume un membro del Polisario. Lemira Ahmed, cittadina di Tifariti, è felice che la celebrazione si tenga in questa località. “E’ la dimostrazione del perché abbiamo resistito, del perché sono morti i nostri genitori e i nostri fratelli e del perché non abbiamo mai ceduto in 40 anni”. Lemira ne ha vissuti 34 nei campi di rifugiati a Tindouf, ma adesso non ha più intenzione di muoversi. “Voglio che i miei figli conoscano il loro paese e da qui mi sembra che il recupero delle zone occupate sia più vicino”. “Il lato migliore di questo evento è che ci dà la possibilità di rientrare nella nostra terra”, spiega ugualmente Azman, 52 anni, mentre attraversa con la jeep la frontiera invisibile tra l’Algeria e la zona del Sahara Occidentale controllata dal Polisario. Questo ex combattente non sembra avere dubbi, i giovani riprenderanno le armi contro la presenza marocchina come fece la sua generazione nel 1975. “E’ l’unico modo per ottenere l’indipendenza”. Il copilota Mohammed, smette di scherzare solo quando i discorsi affrontano il tema del conflitto armato. Anche lui ex soldato, si dice però più ottimista rispetto ad Azman e ad altri compagni. Ha fiducia in una risoluzione pacifica, nel lavoro dell’inviato Onu Christopher Ross e in una maggior implicazione dell’amministrazione Obama. “Riprendere la guerra sarebbe penoso, come del resto lo è questa situazione”. La posizione dei combattenti del Fronte riuniti per la celebrazione, tuttavia, è pressoché unanime e si può riassumere con le parole del veterano Mohammed Salin: “Se il Marocco non ha intenzione di lasciare la presa sul Sahara la resistenza continuerà, e non in modo pacifico (…) Prima, però, speriamo che il mondo faccia il possibile per evitarlo”. I saharawi lo ripetono da 40 anni, ma le loro parole sembrano infrangersi nel deserto. Per la versione originale, clicca qui. May 22, 2013 Marocco,Articoli Correlati:
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