Pittore e poeta, Khawam è stato accusato di vandalismo in seguito all’arresto per aver realizzato un graffito raffigurante un soldato armato, su un muro del quartiere di Quarantina, nella periferia est di Beirut.
di Giacomo Galeno e Elisa Piccioni
Semaan Khawam è un artista di origine siriana che con la famiglia si è trasferito da Damasco a Beirut all’età di 16 anni.
Nel febbraio del 2012 è stato arrestato per aver realizzato un graffito e accusato di vandalismo.
Il 22 novembre scorso è stata inaugurata la sua mostra “Chair, Table a Birdman” presso la Joanna Seikaly Art Gallery, nel quartiere Gemmayzeh, a Beirut.
Nell’intervista l’artista ci parla del suo lavoro, del suo impegno politico e della situazione attuale in Libano e Medio Oriente.
Quando ha iniziato a dipingere?
Quando avevo 18 anni ho avuto un incidente, ho camminato su una mina e ho perso una gamba. Anni dopo ho iniziato. In realtà non ero mai stato interessato alla pittura, ero più portato alla filosofia, alle scienza. Ma è stata una reazione fisica. Sono un autodidatta. Ho lasciato la scuola presto, a 16 anni. Non credo nell’educazione nel senso tradizionale del termine anche se adesso faccio dei seminari per la American University of Beirut.
Per quale motivo utilizza l’arte come strumento politico?
Sono un attivista solo quando realizzo i miei graffiti. I graffiti, la strada, sono il terreno dove esprimo le mie idee politiche. Sono impegnato nella difesa e nella diffusione dei diritti umani e dei diritti sociali. Non sono membro di nessun partito politico, voglio rimanere indipendente. Non credo in nessun dogma, sono ateo, e questo mi garantisce libertà e indipendenza. Partecipo ai movimenti della società civile, come il Laique Pride (movimento per l’adozione di una legge per il matrimonio civile, ndr), ma in ogni caso ci tengo a rimanere indipendente, a rappresentare nient’altro che me stesso.
Qual è la motivazione che la porta ad impegnarsi per i diritti umani e sociali?
Credo sia un dovere civico, ogni cittadino dovrebbe conoscere i propri doveri e i propri diritti. Spero che il Libano diventi uno stato laico, spero che il paese riesca a liberarsi dall’influenza della religione, delle comunità confessionali. Servirà del tempo, magari non un’altra guerra, ma spero che il Libano possa progredire.
Oggi non c’è libertà nel paese, la legge dovrebbe essere una garanzia a difesa dei diritti del cittadino, ma qui ogni partito la manipola secondo la propria agenda politica ed è proprio quello che è successo a me quando sono stato arrestato per aver disegnato un soldato.
L’ho fatto per ricordare alla gente le violenze della guerra civile. Il governo attuale, filo-Hezbollah, evidentemente non ha gradito e mi hanno portato in tribunale.
In Libano non esiste una legge contro la realizzazione di graffiti, quindi di cosa è stato accusato?
Ufficialmente di vandalismo, anche se sto ancora aspettando la sentenza, che era prevista per giugno ma è stata rimandata. Sono in attesa da sette mesi.
Aveva già realizzato graffiti prima? Le era mai capitato di essere arrestato e processato per questo?
Faccio graffiti dagli anni ’90, insieme ad altri amici, ma non mi era mai capitato di essere arrestato. Probabilmente, fino ad ora, a nessuno importava ciò che disegnavo. Quest’ultimo graffito invece deve essere stato interpretato come puramente politico.
Per un governo debole anche il disegno di un militare armato su un muro può essere una minaccia.
Ci può raccontare del suo arresto?
Ero a Quarantine. Quando ho iniziato a disegnare due individui della polizia militare mi hanno fermato. Ho spiegato loro che non si trattava di qualcosa né contro l’esercito, né contro Hezbollah, ma mi hanno portato in commissariato dove ho dovuto firmare una dichiarazione nella quale affermavo che non avrei fatto più graffiti. L’ho firmata perché era l’unico modo per essere immediatamente rilasciato, ma mentre firmavo ho detto all’ufficiale che appena uscito dal commissariato sarei tornato a terminare il mio graffito e che potevano arrestarmi di nuovo. Mi hanno chiamato per farmi presentare in tre differenti commissariati. La quarta volta non mi sono presentato: è per questo che ora sono sotto processo.
Cosa ha fatto una volta che ha saputo di essere stato accusato di vandalismo?
Ho usato tutte le mie conoscenze nei media, nella società civile, nell’ambiente artistico di Beirut, per fare di questa vicenda un caso pubblico. Se dovessi vincere la causa saranno obbligati a fare una legge chiara sui graffiti che impedisca arresti arbitrari. Tuttavia, anche se dovessi perderla, cambierà poco: continuerò a fare i miei graffiti.
Perché ha scelto i graffiti come strumento di espressione politica?
Perché i graffiti sono per strada, sono pubblici. Le mie opere sono nel mio atelier, i graffiti no. Inoltre non posso esprimere il mio punto di vista politico attraverso i media: sono tutti legati ai partiti. Non credo in nessuno di loro. Credo piuttosto nella società civile: è da questo che prendo la mia ispirazione per esprimere la mia posizione politica.
È da molto tempo però che la società civile libanese non più è solida, dobbiamo lavorare di più. Credo che dipenda dall’individuo, quando sei libero vuol dire che la tua persona non ha bisogno della protezione di una comunità, basta la legge dello stato. Però in Libano ognuno è spaventato dall’altro e trova rifugio nei partiti. Tutti ragionano così, musulmani, cristiani, drusi…
In Libano c’è un tabù che riguarda l’esercito. Generalmente le critiche alle forze armate sono meno tollerate dall’establishment. Questo quanto ha influito nel suo caso?
Questo genere di tabù non mi riguarda: in tutte le trasmissioni televisive a cui ho partecipato, in tutte le interviste che ho rilasciato ai giornali, mi sono sempre sentito libero di poter criticare chiunque, il presidente, il patriarca maronita, ecc. I politici devono servire i cittadini! Per me non esistono tabù, io sono una persona libera.
Qual è la situazione in Libano per quanto riguarda la libertà, in senso lato, e in particolare la libertà di espressione concessa a un artista?
La libertà che c’è in Libano è relativa. Quali sono i criteri per definirsi liberi? La possibilità di andare a bere nei locali, di camminare per strada, di poter prendere una pistola e sparare al tuo vicino di casa?
La scorsa estate ci sono stati diversi casi di artisti che hanno avuto problemi con la censura, ma non è una novità. Questo genere di problema c’è sempre stato, ma con questo governo è ancora peggio anche per quello che sta succedendo in Siria: è tutto collegato.
Quali sono le sue relazioni con la comunità degli artisti di Beirut, soprattutto per quanto riguarda il suo impegno civile?
Per quanto riguarda le mobilitazioni, tutto passa attraverso Facebook. Ad esempio, prima del mio processo ci siamo riuniti ad Hamra – eravamo 200 persone – e abbiamo dipinto ogni muro del quartiere. Abbiamo sfidato il governo, è come se gli avessimo detto: “Ci siamo mobilitati e non ci potete fermare! Arrestateci tutti!”. Pochi giorni dopo era già stato tutto cancellato. Questo è un esempio della debolezza di questo governo.
Qual è stata la reazione della classe politica rispetto al suo processo? Qualcuno le ha espresso solidarietà?
Sì, mi è stata espressa solidarietà, ma privatamente, non pubblicamente. Qualcuno mi ha chiamato, ma preferisco non dire chi. Comunque per me è ininfluente.
Oltre al processo, ha avuto altri problemi, ad esempio ha ricevuto minacce? In Siria ad Ali Farzat, un vignettista oppositore del regime, sono state spezzate le mani. Pensa che questo potrebbe accadere a lei?
Sì, ho ricevuto minacce su Facebook, ma non è un problema. Non sono un politico, non mi occupo di politica in senso stretto. E poi per me sono tutti corrotti, quindi non prendo di mira un partito o un politico in particolare. Sono contro questa classe politica corrotta. Contro tutti quelli che ne fanno parte. Per quanto riguarda il caso di Ali Farzat no, non sono spaventato da una cosa del genere. Che dovrebbero fare, uccidermi perché faccio un graffito?
Per tornare al processo, non so quale sarà la sentenza, in ogni caso non pagherò la multa, preferisco andare in prigione. Pagare significherebbe accettare la sentenza, accettare questo stato di cose. Non so, forse farò appello, comunque non credo che questo processo sia giusto. Inoltre, penso che siano troppo codardi per mettermi in prigione davvero. Se lo facessero rischierebbero di trovarsi tra le mani un caso troppo pericoloso. Ecco perché stanno rinviando ogni volta la sentenza.
Cosa pensa della rivoluzione siriana?
Certamente sono con la rivoluzione, totalmente. I salafiti prenderanno il potere, ma non dureranno molto perché nella loro ideologia la democrazia non esiste. Se la gente è riuscita a far cadere Ben Ali e Mubarak non è stato per farsi poi sottomettere nuovamente. Questo è buon senso. È un lungo, lungo processo: la rivoluzione francese è durata 90 anni.
Ho 40 anni, non so se riuscirò a vederne la fine, ma sono contento perché ne ho visto l’inizio.
Che importanza ha l’arte nel mondo arabo contemporaneo relativamente al cambiamento sociale e culturale?
Dipende da cosa si intende per contemporaneo. Ad esempio adesso si parla tanto di rivoluzione nel mondo arabo, ma quarant’anni fa non avremmo avuto lo stesso bisogno di una rivoluzione? Solo che allora il mondo, anche quello arabo, era diviso in blocchi. C’erano dittature allora come oggi. Cosa hanno fatto gli intellettuali, gli artisti? Chi era liberale o laico, e poteva permetterselo, ha lasciato il paese. Chi è rimasto è stato sottomesso dai vari regimi, non ha fatto la rivoluzione.
È la povera gente che sta facendo la rivoluzione oggi: i salafiti, coloro che hanno lavorato nei precedenti quarant’anni, che sono stati uccisi, imprigionati, perseguitati, torturati.
Cosa pensa del Libano attuale e di Beirut, la città dove ha deciso di vivere?
I libanesi non vivono, sopravvivono. Questo non è vivere. Dopo la guerra Beirut era un cadavere. Non l’hanno sepolta e ricostruita, l’hanno truccata e truccata, hanno operato della chirurgia plastica su un cadavere. Avrebbero dovuto dare a questo cadavere una degna sepoltura e poi ricostruire la città.
E’ questo che voglio fare nel mio prossimo lavoro: voglio seppellire Beirut, per liberarci tutti dal passato e ripartire da dove eravamo arrivati.
*In foto: particolare del graffito di Khawam
2 dicembre 2012
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