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Siria. La vita sotto assedio

Una voce dal quartiere di Moaddamia, a Damasco, dove da mesi l’esercito governativo impedisce i rifornimenti alimentari, umanitari e di medicinali. Intervista a Qusay Zakarya*, attivista di 28 anni, che ha deciso di lanciare lo sciopero della fame per protestare in modo nonviolento contro l’uso della fame come arma.

 

di Fouad Roueiha

 

Oltre un milione e mezzo di siriani vive sotto assedio. Undici aree del paese sono circondate dall’esercito di Asad che non lascia passare nulla, né cibo, né medicinali, né combustibili o alcun bene di prima necessità. Si tratta di sobborghi di Damasco e di Homs, del campo profughi palestinese di Yarmouk e di altre zone che il regime siriano non riesce a controllare e quindi cerca di piegare con la fame ed il logoramento dell’intera popolazione. 

Solo nel sobborgo di Moaddamia, sottoposto ad assedio da oltre un anno, e con le riserve alimentari esaurite da quattro mesi, i morti per fame sono già undici. Sono gli anziani ed i bambini a cedere prima, ma l’intera popolazione soffre i sintomi della carenza alimentare, e a causa della debilitazione è esposta a patologie banali che la mancanza di farmaci può trasformare in malattie mortali.

Con l’arrivo del freddo cresce il fabbisogno di calorie e l’assedio diventa ancora più duro – tanto più che ormai tutto il verde pubblico è stato bruciato lo scorso inverno. Il costo in termini di vite umane della tattica spietata di Asad rischia di impennarsi e per questo la società civile siriana ha lanciato varie iniziative per raccogliere aiuti e per non lasciare che questo dramma si consumi nel silenzio e nell’indifferenza.

Il giornalista Qusai Zakarya, membro del Comitato di coordinamento locale di Moaddamia, ha deciso di portare all’estremo la sua protesta ed ha annunciato uno sciopero della fame che ha avviato il 26 novembre e che già al terzo giorno lo ha portato ad avere svenimenti e non riuscire più a camminare.

“Ho iniziato uno sciopero della fame per cercare di rompere l’assedio di Moaddamia, sobborgo di Damasco, oltre a quello delle altre città e villaggi siriani che sono nella stessa situazione a causa della folle tattica basata sull’affamare la popolazione, messa in campo da qualche mese dal regime”, racconta Zakarya. “Ormai nella maggior parte delle aree assediate il cibo manca completamente o quasi, solo a Moaddamia sono già morte di fame 11 persone tra donne e bambini, un altra decina è morta in altre zone della Siria a causa di questo assedio mostruoso imposto dalle forze di Bashar al Asad”.

“In queste zone – prosegue – viene impedito l’accesso a qualunque tipo di aiuti. Il mio sciopero vuole essere un’arma civile e nonviolenta con cui cerco di accendere i riflettori sull’utilizzo della fame come arma di guerra, un’arma più ignobile di quella chimica”.

“Sui check point del regime sono apparsi cartelli con scritto Inginocchiatevi o morite di fame (in arabo fa rima, ndr). Il mondo deve conoscere questi fatti inaccettabili, che non possono accadere nel XXI secolo. Noi moriamo mentre il cibo, l’acqua e le medicine sono a cinque minuti da noi dietro i check point di Bashar al Asad. Mi auguro che le persone di buona volontà in tutto il mondo ci siano vicine e facciano proprie le nostre voci per far pressione sui loro governi perché intervengano su Bashar al Asad e per far entrare subito i convogli di aiuti. Quando i sobborghi di Moaddamia e della Ghouta Orientale sono stati attaccati con armi chimiche, il 21 agosto, le Nazioni Unite e i paesi europei hanno costretto il regime a far entrare una missione investigativa, nonostante Asad sapesse che la missione avrebbe raccolto prove dell’accaduto”.

“La differenza tra quel che avviene ora e quello che è successo con le armi chimiche è nell’attenzione dei paesi occidentali, che si sono interessati di quelle armi più che del destino di milioni di civili siriani. In questo modo hanno dimostrato che a guidare le loro azioni non è certo lo spirito umanitario, ma i loro interessi e la loro agenda e quindi non esitano a contraddirsi e a smentire tutti i loro slogan sui diritti dell’uomo o la democrazia”.

 

Lo scorso 29 novembre Fouad Roueiha ha raggiunto telefonicamente Qusay Zakarya e lo ha intervistato per Osservatorio Iraq. 

 

E’ evidente che l’uso della fame come arma non può mai essere giustificato, ma ci può spiegare chi è colpito da questa pratica, sono forse guerriglieri o terroristi quelli rinchiusi nelle aree assediate del paese?

Quella di affamare un nemico è una tattica militare sperimentata. Già durante la prima guerra mondiale alcuni Stati hanno assediato le città che non riuscivano a controllare lasciando una sola via d’uscita e chiamandola ‘corridoio umanitario’, mentre nei fatti si trattava e si tratta di un modo per imporre la fuga alla popolazione. Il regime siriano, con l’aiuto della Russia, sta usando quest’arma sporca che colpisce in maniera principale i civili.

Colpisce le donne, i bambini, gli anziani e anche tutta quella parte della popolazione che rifiuta ogni coinvolgimento militare. I combattenti dell’esercito libero hanno la forza fisica e la volontà per resistere più degli altri all’assedio e continuare a combattere. Quindi ad essere colpiti sono sopratutto i civili che hanno l’unica colpa di aver detto ‘no’ al regime di Asad.

 

A confermare l’uso della fame come arma ci sono anche le notizie di attacchi sistematici ed incendi ai terreni agricoli delle aree fuori dal controllo del regime. Ci può confermare queste notizie?

Sì, il regime sta bruciando i campi e sradicando gli alberi, sta attaccando i depositi di grano e di sementi, qualunque fonte di cibo che si trovi nelle aree liberate è presa particolarmente di mira, in maniera scientifica. Qui a Moaddamia la principale risorsa che ci è rimasta sono gli uliveti, mangiamo anche le foglie degli alberi oltre alle erbe spontanee come la valeriana e la menta. I campi e gli uliveti sono attaccati quotidianamente dall’artiglieria della IV brigata, quella gidata da Maher al Asad (fratello di Bashar, ndr), con il chiaro obiettivo di eliminare anche l’ultima speranza di sopravvivere qui, dove siamo sotto assedio ormai da più di un anno.

In molte altre aree del paese viene usata la stessa tecnica per massimizzare i danni a carico dei civili, le popolazioni delle zone liberate del paese.

 

Ci diceva che il regime non consente il passaggio degli aiuti umanitari, quali sono le contromosse dei rivoluzionari?

Ci sono singole persone e organizzazioni che hanno raccolto aiuti, ma al momento non riusciamo a farli entrare. Stiamo cercando di immagazzinarli in depositi vicini a Moaddamia, nella speranza che si riesca ad aprire un corridoio, grazie alle pressioni internazionali o attraverso un’operazione militare. In tal caso saremo pronti a trasferire una buona quantità di cibo, medicine e gli aiuti necessari per affrontare la stagione invernale.

L’inverno è diventato per noi un nuovo nemico che ogni anno cerchiamo di combattere con armi spuntate, visto che non abbiamo elettricità né combustibili per riscaldarci. Insomma tanti aiuti ci sono già e sono in attesa di essere consegnati: ora speriamo che l’opinione pubblica internazionale ci sostenga rilanciando la nostra richiesta di interruzione dell’assedio più che inviandoci altri aiuti umanitari che non sapremmo come far arrivare lì dove ce ne sarebbe bisogno.

Non si deve parlare del diffondersi della fame in Siria, ma del fatto che il regime ci sta affamando in maniera premeditata. La comunità internazionale deve alzare la voce contro l’uso della fame come arma da parte di Bashar al Asad, cercando di fare ogni tipo di pressione possibile.

 

Lei si trova a Moaddamia, quindi presumibilmente stava già soffrendo la fame prima di iniziare la sua protesta. Quanto pensa di poter andare avanti con il suo sciopero e in che caso lo interromperebbe?

Negli ultimi quattro mesi, cioè da quando il cibo è praticamente finito qui a Moaddamia, ho già perso più di 17 chili. Possiamo dire che in realtà sono in uno sciopero della fame forzato già da quattro mesi, la novità è nel fatto che ora lo sto facendo in maniera organizzata e volontaria. Qualcuno deve pur sacrificarsi, provare a fare qualcosa prima che questa tragedia cresca ancora e colpisca tutti. A Moaddamia e nelle zone assediate basta guardarsi intorno per leggere i segni della denutrizione sui corpi ed i volti di tutti gli abitanti, sono evidenti.

Qualcuno deve fare qualcosa, deve alzare la voce. Non smetterò di digiunare finché non vedrò entrare il cibo a Moaddamia e nelle altre zone assediate in tutta la Siria.

*Qusai Zakarya è un mediattivista di 28 anni. Aveva già rischiato la vita nell’attacco chimico del 21agosto scorso. In quell’occasione Qusai aveva repirato il sarin ed ha avuto un arresto cardiaco. Ora tiene un blog per raccontare giorno per giorno il suo sciopero della fame e in cui mostra video e diffonde informazioni su quello che avviene nelle zone della Siria sotto assedio.

December 03, 2013di: Fouad RoueihaSiria,Articoli Correlati: 

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