La piazza protesta, i manifestanti si scontrano con le forze di polizia: ci sono feriti e morti. El Baradei, Moussa e Sabbahi formano il National Salvation Front e portano avanti un progetto politico, mentre Ayman Nour si defila e preferisce il dialogo con il presidente Morsi. L’opposizione non è mai stata così divisa.
di Marco Di Donato
Appare ormai chiaro che il National Salvation Front non ha il controllo delle piazze egiziane, non ne determina le tempistiche né tantomeno si propone come sua emanazione politica.
I manifestanti agiscono come forza indipendente, scendono in piazza i lavoratori, i rappresentanti sindacali, i giovani che hanno riempito Tahrir: lo spirito è lo stesso. E come quel 25 gennaio 2011 il rischio è che i loro sforzi siano vanificati.
I calcoli che spingono i tre politici egiziani ad agire sono invece di tutt’altra natura. Ce lo spiega la blogger egiziana Baheyya, che con un fantasioso nome d’arte, critica apertamente il National Salvation Front e i suoi rappresentanti.
Partiamo da ‘Amr Moussa, che sarebbe nuovamente in campo perché, in quando membro dell’ancien regime, non può accettare che un nuovo gruppo di potere si installi all’interno del sistema escludendolo dai giochi di palazzo.
Poi vengono El Baradei e Sabbahi, ma il vero punto su cui insiste Baheyya è che questa forma di opposizione ‘dura e pura’, che non intende dialogare e che vuole prolungare la situazione di conflitto, sia principalmente rappresentante dei propri interessi.
Una critica simile viene fatta da Shadi Hamid del Brookings Doha Centre, che accusa i tre di personalizzare la politica utilizzando delle logiche di contrapposizione care al vecchio regime.
La piazza è altro. La piazza non ha mai voluto lo scontro ad oltranza e la degenerazione del confronto in violenza. Come ricordava Fady Salah in un’intervista, la piazza mette pressione ma la soluzione deve essere politica.
Sarà per questo che Ayman Nour, leader di Ghad Al-Thawra e uno dei protagonisti di Piazza Tahrir, ha accettato di dialogare con Morsi?
L’Egitto non è diviso in due, ma in tre: la piazza, il National Salvation Front e gli islamisti. O forse no, in quattro. Ed anche nel panorama dell’Islam politico ci sono voci dissidenti che tuttavia, almeno nella componente salafita, sembrano avere richieste diametralmente opposte.
Per Omar Halawa anche i gruppi salatiti si stanno interrogando rispetto alla decisione di appoggiare o meno le mosse di Morsi. Infatti, sebbene il Partito al-Nour voterà in favore della nuova Costituzione insieme ad al-Dawa’a, il Safali front e molti altri shaykh hanno contrastato l’azione del presidente.
Chi si oppone alla nuova Costituzione sostiene che la carta non è adatta a realizzare il progetto di uno Stato islamico dove la shari’a diventi la principale, se non unica, fonte di legislazione.
Divisioni – da una parte e dall’altra – che rafforzano ovviamente il progetto della Fratellanza e permettono che il fronte delle opposizioni sia facilmente attaccabile e dunque attaccato: la strategia del divide et impera si dimostra sempre valida.
E i problemi dell’Egitto di oggi assomigliano a quelli di ieri, quando la popolazione si sollevava contro il regime di Mubarak per chiedere giustizia, libertà e pane.
La mobilitazione egiziana è legata certamente al rifiuto del decreto-Morsi di novembre, ma nasce in realtà dal malcontento per una situazione sociale ed economica che non è cambiata in positivo dall’insediamento del nuovo presidente egiziano.
I sindacati hanno chiesto più volte che il governo intervenisse per aumentare i bassissimi salari dei lavoratori, così come hanno chiesto di bilanciare il sistema di tassazione, invocando una riforma del sistema pensionistico e un’implementazione della protezione sociale per le classi maggiormente disagiate.
I sindacati, come sottolineano ricercatori ed analisti, sembrano essere l’unico fronte realmente unito in questo momento di crisi.
Un fronte compattato dinnanzi ai continui attacchi del presidente Morsi e che ha ben chiaro quali sono i suoi obiettivi e le sue richieste. Un fronte che ha spinto la cittadina di Mahalla, principale centro di produzione tessile del paese, a dichiarare la propria indipendenza dal resto della nazione.
La piazza si muove, dunque, per le sue rivendicazioni politiche e sociali, per protestare contro il decreto, ma anche contro condizioni economiche che non migliorano.
Il rischio è lo stesso del 25 gennaio 2011: che la politica, quella dell’ancien regime, quella che non vuole il cambiamento, sfrutti la sua mancanza di unità e di leadership per mantenere il potere.
Secondo la professoressa Dina el-Khawaga della Cairo University “non si tratta né di uno scontro tra poteri rivoluzionari e contro-rivoluzionari, né di un conflitto tra misure democratiche ed autoritarie: è piuttosto un confuso mix di entrambi”.
La confusione degli osservatori e dei mass media che guardano alla piazza come emanazione del National Salvation Front, che ignorano le motivazioni di un malessere sociale che ha ragioni profonde, che trattano il panorama islamista come un mondo unito e compatto.
Così come non è del tutto unito e compatto il mondo dell’opposizione al presidente Morsi. Ancora una volta, “l’assenza di soggettività politiche di massa, in grado di farsi portavoce delle rivendicazioni politiche e sociali della popolazione egiziana scesa per le strade*” in seguito al decreto del 22 novembre 2012 sta mostrando tutto il suo peso.
December 16, 2012
* La citazione in corsivo è tratta da Osservatorioiraq.it (acura di), Cronache di una controrivoluzione, Roma, Edizioni dell’Asino, 2012.
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