Storicamente questa minoranza (il 10% della popolazione) è sempre stata oppressa dal regime del Ba’ath, unico partito al governo dal 1963. Da allora i curdi sono vittime di una dura campagna di arabizzazione, caratterizzata da espropri forzati e deportazioni che hanno colpito notevolmente la comunità.
Alla politica di arabizzazione, per certi versi molto simile a quella condotta da Saddam Hussein in Iraq negli anni ’80, si è aggiunta un’altra strategia per così dire di ‘contenimento’, contraddistinta dalla negazione di qualsiasi riconoscimento di cittadinanza.
Sul piano strategico regionale va invece ricordato che nel 1979, a un anno esatto dalla sua fondazione in Turchia, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) creava una sua rappresentanza in Siria. E questa non fu solo una mossa politica, ma anche militare.
Proprio in quegli anni le relazioni tra i due paesi erano ai minimi storici, e in funzione anti-turca Damasco poteva foraggiare diversi movimenti guerriglieri, come il Pkk e l’Armenian secret army for the liberation of Armenia (ASALA).
In molte occasioni gli uomini di Hafez al Assad hanno effettivamente aiutato i militanti curdi a pianificare e poi attuare piani d’attacco contro lo Stato turco, e per tutti gli anni ’80 sono stati creati campi di addestramento e scuole per la formazione dei futuri combattenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan.
Le cose sono cambiate nel 1998, con la firma dell’accordo di Adana tra Turchia e Siria. Alla base dell’intesa, due elementi che di fatto disinnescavano le micce di un possibile conflitto armato tra i due paesi:
– la concessione di maggiori quote d’acqua dalla Turchia alla Siria (molte dighe turche, come quella di Halfeti, furono utilizzate come strumento di ritorsione nei confronti della Siria, soggetta a una cronica penuria idrica);
– la fine di ogni sostegno al gruppo armato del Pkk da parte siriana, decisione che l’anno successivo costrinse il leader curdo Abdullah Ocalan a lasciare il paese.
In seguito furono stretti molti legami soprattutto di natura economica e commerciale, come la liberalizzazione dei visti e l’abolizione dei dazi per il transito di merci.
Esistono diversi movimenti politici in rappresentanza della minoranza curda in Siria, tra i più rilevanti:
– il PYD, partito politico siriano legato al Pkk, il cui leader è Salih Muhammed; Yekiti, propaggine politica del partito iracheno del PUK di Jalal Talabani;
– l’Azadi, il partito per la libertà del Kurdistan;
– il KDPS, partito politico legato a doppio filo al KDP iracheno, il cui leader è il presidente della regione autonoma del Kurdistan Massoud Barzani;
– il Future Movement, il cui leader e fondatore Mashaal Tammo è stato assassinato l’ottobre scorso mentre si stava recando in Turchia per un incontro tra dissidenti politici siriani.
Questa variegata formazione di partiti politici non permette l’individuazione di un’unica strategia politica curda, per via dei tanti interessi divergenti.
Nell’ultimo periodo, il Pkk ha aumentato il numero di attacchi sul versante turco, ma questa non può essere considerata la prova di una chiara alleanza con Damasco.
La Turchia, nel silenzio generale dei media, sta invece approfittando degli sconvolgimenti politici e sociali nella regione per ‘risolvere’ definitivamente i suoi problemi con la rappresentanza politica curda del paese.
Quasi a cadenza giornaliera, sui quotidiani turchi si legge di operazioni e arresti di diverse personalità politiche e della società civile curda. E questo non può lasciare indifferente il Pkk.
Inoltre, un elemento da non prendere sotto gamba quando si tratta del Partito dei lavoratori è il fattore numerico: i guerriglieri di origine siriana, in proporzione rispetto a quelli turchi, sono molti di più ed è lapalissiano come alcune cellule del gruppo armato siano maggiormente coinvolte dalle cronache siriane. Molto probabilmente – però – in queste ore le decisioni importanti si prendono a Qandil, in Iraq, e non in Siria.
Dall’inizio delle prime rivolte del 2011, cominciate nella città meridionale di Daraa, il regime siriano ha avuto inizialmente l’appoggio turco nel tentativo di sedare le proteste degli oppositori e frenare qualsiasi pressione dall’esterno.
Con il passare del tempo quest’appoggio è però venuto meno, per via del cambio di strategia del governo di Ankara nei confronti di Bashar al Assad. Una rottura che ha implicitamente condizionato la politica siriana anche verso la sua minoranza curda.
Lo scorso aprile, infatti, il governo di Damasco ha concesso la cittadinanza a circa 250 mila curdi siriani, in risposta alla crescente domanda di democrazia da parte della popolazione.
Questa decisione risponde però solo in parte alle richieste di riforme politiche e investe solo un ristretto gruppo, quello curdo. Perché?
Assad potrebbe vedere nella minoranza curda un deterrente da usare contro la minaccia di un intervento armato turco a guida Nato.
In questi giorni molti analisti sostengono l’ipotesi di un appoggio armato siriano alla formazione curda del Pkk in funzione anti-turca, ma questa interpretazione potrebbe peccare di un errore di valutazione che molto spesso viene fatto quando si parla di Pkk.
Dopo anni di soprusi e tradimenti nei confronti della popolazione curda sembra molto lontana l’idea di una ‘sincera’ alleanza tra Damasco e il Pkk, anche alla luce di elementi congiunturali che ne potrebbero avallare l’ipotesi.
Da trent’anni il Pkk combatte una guerra per la liberazione della popolazione curda, e ora gli equilibri regionali in un Medio Oriente in pieno sconvolgimento stanno per essere riscritti.
Ciò potrebbe creare le condizioni per un reset geopolitico che favorisca in qualche modo anche la popolazione curda. Il Kurdistan iracheno, o “Kurdistan del sud”, è ormai una realtà politica e il ritiro americano potrebbe portare all’accelerazione dell’iter per una formale richiesta d’indipendenza, forse appoggiata in certa misura anche dall’Iran.
La situazione siriana appare invece di più difficile interpretazione, vista la contraddittorietà delle informazioni e il veloce susseguirsi degli eventi. Nei mesi scorsi Damasco ha fatto diverse concessioni, dall’apertura di scuole in lingua curda (prima vietata) al riconoscimento di alcuni partiti politici curdi.
Sull’altro versante, la Turchia continua invece la sua politica di repressione, e ciò non fa altro che esasperare la rabbia della società civile curda.
Perciò, alla luce di quanto detto sinora, è difficile pensare a un Pkk al ‘servizio’ di Damasco, mentre si potrebbe avanzare l’idea di una ‘tregua’ strategica in vista dei futuri cambiamenti politici.
December 21, 2011
Iran,Iraq,Siria,Turchia,Articoli Correlati:
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