S’intitola “Ya Nass”, ed è il primo disco solista di una delle cantanti libanesi moderne più apprezzate: il viaggio onirico, tra folk ed electro-pop, è assicurato.
L’abbiamo conosciuta per le sue collaborazioni passate, in particolare quella con il produttore e musicista Zeid Hamdan nel gruppo Soapkills. Dopo varie esperienze musicali, sempre di qualità (tra cui ricordiamo “Arabology”, album elettropop del 2009 registrato con il produttore afghano-italiano – e collaboratore, tra gli altri, di Madonna – Mirwais) Yasmine ha intrapreso una strada tutta sua, e il primo album uscito interamente a suo nome la consacra come una delle artiste di riferimento dell’attuale universo musicale arabo, e non solo.
Lei stessa, infatti, alla fine ha scelto Parigi come città in cui stabilirsi, senza però tagliare i ponti con le proprie radici: anche in quest’ultimo lavoro continua a cantare, con la sua tipica voce sensuale e vellutata, nei vari dialetti arabi, immergendoli su trame sonore e atmosfere incantate fatte di chitarre acustiche e sinth vintage, in uno stile che più volte ha portato numerosi critici a definirla come un mix tra PJ Harvey e la leggendaria cantante siriano-egiziana Asmahan.
Ma è proprio questa sua capacità di collegare generi diversi e svariati orizzonti regionali, che le ha permesso di farsi apprezzare sia in patria sia all’estero, occidente compreso, tanto da guadagnarsi la copertina di Rolling Stone in Germania e vari servizi su Vogue in Francia.
Non a caso, l’album “Ya Nass”, riedito il mese scorso dalla Crammed Discs ma che circola in varie edizioni almeno dal 2012, è stato prodotto da Marc Collin, musicista francese più conosciuto come uno dei fondatori di Nouvelle Vague, innovativo progetto che si proponeva di reinterpretare i classici della new wave e del punk anni ottanta, in stile bossanova.
Che le parole siano in una lingua non universale non sembra essere un problema per Yasmine: “Se puoi sentire l’emozione, allora è per te – ha detto in un’intervista al Telegraph prima dell’uscita dell’album – Non posso censurare me stessa. Seguo i miei desideri, e sono pronta a pagarne le conseguenze”.
Anche perché la voglia di sperimentare in modo giocoso e temerario con l’arabo, ad un certo punto è diventata quasi una necessità: “Era quasi come se lo stessi scolpendo”.
E infatti, ancora una volta questo disco non ha nulla a che fare con la semplice miscelazione di vecchie canzoni arabe con le sonorità moderne.
Non si tratta, insomma, né di world music né di pop mainstream, quanto di un lavoro più intimo, in cui la cantante definisce se stessa, e fa i conti con una vita in perenne spostamento, frantumata tra Libano, Kuwait, Abu Dhabi, Grecia e infine Parigi.
Il suo brano La Mouch, ad esempio, è una rielaborazione in chiave dark e tutt’altro che scontata di Laa Mech Ana Elli Abki, un tango classico del grande Mohammed Abdel Wahab, artista che Yasmine ha definito come “l’amore della sua vita”.
Mentre Beirut è il suo adattamento personale di una poesia scritta nel 1940 dal poeta Omar El Zenni: “E’ una canzone tenera e satirica che cantava spesso mia nonna – racconta l’artista – E’ ancora molto rilevante. Parla del karma della città”.
Le sonorità a tratti taglienti a tratti rilassanti e oniriche di Shouei, Samar e Deny, riportano a un’atmosfera avventurosa e cosmopolita, mentre Enta Fen, Again, soprattutto nella seconda parte, strizza l’occhio ai sempre amati elementi trip hop e al suo passato con i Soapkills.
Forse l’unica canzone dell’album che conserva un certo “esotismo” mediorientale è Hal, scandita al ritmo delle tradizionali qaraqib, sorta di nacchere in ottone, usate soprattutto in Marocco e Algeria, e considerate uno strumento ipnotico e capace di indurre a uno stato di trance.
Proprio con questa canzone Yasmine è apparsa nel nuovo film del regista Jim Jarmusch, Solo gli amanti sopravvivono (“Only Lovers Left Alive”), presentato alla 66ª edizione del Festival di Cannes, la cui uscita nelle sale italiane è prevista per il mese prossimo.
Domenica, Aprile 6, 2014 – 12:15di: Anna ToroLibano,