L’omicidio del deputato dell’opposizione Mohamed Brahmi il 25 luglio, festa della Repubblica, ha riportato i tunisini di tutto il paese in strada: Gafsa, Kasserine, Tataouine, El Kef, Sidi Bouzid, città natale di Brahmi. E, ovviamente, Tunisi.
Si protesta contro Ennahda, colpevole agli occhi dei manifestanti di una deludente esperienza di governo e incapace di garantire la sicurezza di politici e cittadini; i suoi leader sono addirittura ritenuti da alcuni i mandanti degli omicidi di Brahmi e Choukri Belaid.
“Non hanno fatto niente per il paese, vogliono solo il potere e se uno non fa come dicono loro muore”, è il duro commento di Hella, insegnante venuta a vedere cosa stava succedendo nella centralissima avenue Bourguiba la sera dell’omicidio di Brahmi.
Si protesta contro le Leghe per la protezione della rivoluzione, che dietro il nobile obiettivo di difendere gli obiettivi della thawra si è resa protagonista di numerosi episodi di violenza ai danni dell’opposizione al governo guidato da Ennahda, di cui è spesso considerata il braccio armato.
“Ormai è una milizia, molte di queste persone sono delinquenti, gente che stava in prigione. Ennhada pensava di riuscire a controllare la Lega e usarla per i suoi interessi, ma non è così. Secondo me la situazione è sfuggita loro di mano”, racconta Khalil, artista, durante l’iftar, il pasto di rottura del digiuno di Ramadan.
“Che siano di Ennahda o delle Leghe, fa differenza? Sono tutti responsabili di questa violenza”, interviene Mongi, impiegato.
Si protesta contro il governo ad interim – frutto di una coalizione tra Ennahda e i due partiti di sinistra Congrès pour la République (CPR) e Ettakatol (la cosiddetta troika) – , al potere dal dicembre 2011.
La quarta bozza del testo costituzionale è ancora in discussione e non è chiaro quando saranno indette le elezioni legislative; la settimana scorsa si è parlato di un terzo “incontro di dialogo nazionale” tra rappresentanti delle varie parti politiche e sociali per preparare un calendario elettorale, ma nessuna data è stata finora annunciata.
Asshaabiuridisqat al-nizam – “il popolo vuole la caduta del regime” – di fronte a un potere ormai giudicato fallimentare e non più legittimato dalle elezioni vinte nell’ottobre 2011, si invoca lo scioglimento dell’Assemblea nazionale costituente, la nomina di un governo di salute pubblica e l’organizzazione di nuove consultazioni.
Queste sono state le richieste portate avanti dai sit-in e dalle mobilitazioni avvenute a Tunisi nei giorni scorsi.
La sera stessa dell’omicidio di Brahmi (25 luglio) c’è stato un primo raduno di fronte al ministero degli Interni, seguito da un corteo che ha sfilato per la centralissima avenue Bourguiba, con una piccola deviazione verso la sede dell’UGTT, la centrale sindacale molto vicina alle posizioni delle due coalizioni di opposizione (Front Populaire, a cui apparteneva Brahmi, e Nidaa Tounes).
C’erano molti giovani, qualche bandiera dell’Egitto: Asshaabiuridisqat al-nizam , frequenti i cori contro Rachid Ghannouchi, leader di Ennahda. La mattina del 26 luglio un’altra manifestazione – numerosi gli avvocati presenti –si è svolta sempre tra la sede dell’UGTT e avenue Bourguiba, per poi proseguire verso la sede dell’Assemblea costituente.
Poco prima delle due del pomeriggio di venerdì anche i sostenitori di Ennahda sono scesi in strada, riversandosi in avenue Bourguiba dopo la preghiera del thuhr per lanciare un appello all’unità nazionale.
Asshaabiuridwahdawataniyya, “il popolo vuole un’unica nazione“, frase ripetuta per tutta la durata della manifestazione. I partecipanti erano prevalentemente persone di mezza età, diversi esibivano fotografie di Brahmi come segno di solidarietà e di indignazione per il suo omicidio, molti i cartelli che richiamavano all’unità nazionale: “La Tunisia sopra ogni cosa”, “Siamo tutti figli della Tunisia”.
Asshaabiuridwahdawataniyya, perché quanto avvenuto sarebbe un tentativo della “contro-rivoluzione” (lobby di potere che apparterrebbero all’entourage del deposto Ben Ali) di far cadere il governo –risultato di libere elezioni – e spazzare via tutte le conquiste della thawra per re-instaurare il vecchio regime.
“È la contro-rivoluzione che l’ha ucciso” hanno ribadito con insistenza i manifestanti, alcuni dei quali hanno addirittura parlato di complotto, sulla scia delle dichiarazioni rilasciate da Ghannouchi.
I funerali di Mohammed Brahmi hanno avuto luogo la mattina di sabato 27 luglio a Tunisi. Il corteo è partito dalla sua abitazione nella zona di Ariana, per poi passare per Avenue Bourguiba e proseguire verso il cimitero di El Djellaz, lo stesso dove è sepolto Belaid. I partecipanti erano migliaia, radunatisi per rendere omaggio a Brahmi, ma anche per chiedere a gran voce la caduta del governo, anzi, del governo di Ennahda, vero obiettivo delle proteste.
Una folla dalla composizione molto eterogenea: uomini e donne, giovani e adulti, musulmani praticanti e laici, tutti hanno affrontato un caldo particolarmente feroce, sfilando fra le vie di Tunisi e poi fra i sentieri piuttosto impervi di El Djellaz. Per giunta di Ramadan.
YaBrahmi, yaBelaidthawrathawraminjadid: una nuova rivoluzione contro il governo a interim troppo geloso di preservare le prerogative acquisite, contro Ennahda – accusata di nascondere la mano repressiva e le mire egemoniche dietro i discorsi concilianti delle ultime ore-, contro un’Assemblea costituente che doveva aver concluso il suo lavoro già diversi mesi fa e su cui ora non c’è più fiducia.
Dopo una preghiera per il defunto è proprio di fronte alla sua sede, nel quartiere del Bardo, che molti dei presenti alle esequie si sono diretti.
Obiettivo, l’organizzazione di un sit-in per lo scioglimento dell’Assemblea. Sullo stesso luogo erano però presenti sin dal mattino alcuni simpatizzanti di Ennahda per ribadire la legittimità del governo e richiamare nuovamente all’unità nazionale.
Nel primo pomeriggio le forze dell’ordine hanno fatto largo uso di lacrimogeni per disperdere i manifestanti.
Molti abitanti del quartiere residenziale hanno dato il loro contributo, regalando bottiglie d’acqua, rinfrescando i manifestanti o semplicemente lasciandoli riposare nei loro giardini nell’attesa che il bruciore agli occhi causato dai lacrimogeni passasse. Grande la confusione, perché i partecipanti alla dimostrazione sono arrivati sul posto a gruppi sparsi e i ripetuti lanci di lacrimogeni hanno reso la situazione ancora più complicata, facendo desistere alcuni, che hanno preferito tornare verso il tramonto.
“Non possiamo andarcene, ci vuole una presenza rispettabile. Se no non serve a niente. Facciamo come con la rivoluzione: avanziamo e arretriamo, avanziamo e arretriamo”, diceva un ragazzo di circa trent’anni ai suoi compagni. “Stiamo nelle ultime file, se cominciano a picchiare riusciamo a scappare”, rispondeva un altro, più prudente.
In serata la gente è tornata al Bardo e finalmente il sit-in ha avuto luogo (da allora la mobilitazione sta continuando in maniera pressoché ininterrotta).
Tutto si è svolto in maniera pacifica, tanti giovani, ma anche famiglie e anziani. Cori slogan inni si sono susseguiti per diverse ore, nessun episodio di violenza è stato riportato, non ci sono stati scontri né con la polizia né con i simpatizzanti di Ennahda presenti.
Molti hanno deciso di trascorrere la notte sul posto, ma sono stati allontanati con la forza e i lacrimogeni della polizia verso le tre e mezza del mattino; si è detto che l’intervento fosse stato reso necessario da dei tafferugli tra pro-Ennahda e oppositori, ma sui social network si è invece evidenziato la responsabilità della Lega per la protezione della rivoluzione.
Il 28 luglio Basma Belaid, vedova di Chokri, ha invitato i tunisini alla rottura del digiuno al Bardo.
All’evento erano presenti alcune centinaia di persone, ma nel corso della serata sono giunti sul posto altri manifestanti. In migliaia hanno di nuovo intonato senza sosta canti per la caduta di Ennahda e del suo leader Ghannouchi e per una nuova rivoluzione. Pochi metri più n là, separati da transenne e da una sorta di spazio cuscinetto, i sostenitori di Ennahda – qualche centinaio – hanno pregato e cantato in risposta all’opposizione.
È difficile fare delle previsioni su ciò che accadrà nei prossimi giorni in Tunisia, è chiaro però che le proteste proseguiranno.
I tunisini e i loro politici si trovano dinnanzi a un bivio: il paese ha bisogno di un nuovo slancio verso un effettivo processo di transizione che porti a una nuova costituzione condivisa e ad elezioni trasparenti. Il sistema deve cambiare. E la Tunisia deve trovare una nuova wahda (unità).
July 29, 2013di: testo e foto di Clara Capelli da Tunisi Tunisia,