di Maria Letizia Perugini
Una bozza della Costituzione tunisina, redatta da sei commissioni dell’Assemblea Nazionale Costituente (ANC), è stata presentata ufficialmente l’8 agosto scorso.
Ora dovrà passare al vaglio di un’ulteriore commissione (di coordinamento), che la preparerà per essere sottoposta al dibattito e al voto della plenaria. Ma sui tempi in cui tali passaggi dovranno essere effettuati c’è ancora confusione, e le voci che si sono rincorse nelle ultime settimane restano discordanti.
Nella prima settimana di settembre, infatti, l’agenzia stampa nazionale (TAP) ha diffuso la notizia che il progetto costituzionale sarebbe stato votato non oltre l’ottobre 2012. Nelle stesse ore il presidente dell’ANC Mustapha Ben Jaafar, intervistato da radio Mosaique, ha indicato il 15 dicembre come data approssimativa per l’approvazione del testo.
Un’ulteriore ipotesi è stata poi presentata dal deputato del Partito Democratico Progressista Iyed Dahmeni – membro della Commissione di coordinamento e di redazione della costituzione – che ha parlato di marzo 2013 come ultima scadenza per i lavori dell’ANC, mentre le prossime elezioni legislative, inizialmente previste per quella data, slitteranno probabilmente al settembre del prossimo anno.
Il disaccordo e la confusione che si ricontrano a livello organizzativo sono di certo il riflesso della complessità dell’elaborazione del testo, che modellerà l’impianto della Tunisia post-rivoluzionaria. Ma anche dei contrasti che oppongono i diversi componenti dell’Assemblea.
Il dibattito, da quando ha iniziato a circolare la bozza presentata in agosto, si è spostato dai banchi dell’emiciclo per investire le strade della repubblica maghrebina.
Molte sono le critiche piovute sul testo, dalla forma di governo che dovrà acquisire il paese, al futuro della libertà di espressione riscoperta dopo il 14 gennaio 2011, fino ai diritti delle donne.
Le valutazioni più allarmanti riguardano proprio il campo dei diritti umani, su cui Human Right Watch ha pubblicato recentemente un rapporto dettagliato.
Si tratta di un buon punto di partenza per un’analisi ragionata degli stralci costituzionali presentati fino ad ora.
Una lettura critica – redatta in forma di lettera pubblica – che l’Ong londinese ha indirizzato ai membri dell’Assemblea nazionale, focalizzata su quattro aree tematiche: la libertà d’espressione, la libertà di pensiero e di religione, i diritti delle donne e la non-discriminazione.
La prima cosa su cui l’Assemblea Costituente dovrà fare chiarezza – riferisce HRW – è la validità dei trattati internazionali firmati dal paese prima della rivoluzione. Aspetto su cui il testo in questione è contraddittorio.
Infatti, se all’art. 38 si afferma che le convenzioni internazionali promulgate dal presidente della Repubblica e ratificate dal Parlamento vengono assimilate alla legge nazionale, nel precedente art. 17 la validità di tali convenzioni viene sottoposta a una condizione: che esse non siano contrarie alle disposizioni del testo costituzionale.
L’art. 17, quindi, si potrebbe tradurre in un alibi per il governo tunisino per non rispettare gli obblighi derivanti dai trattati internazionali già ratificati, come la Convenzione internazionale per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW).
La Tunisia è stata tra i primi paesi del Maghreb a firmare la Convenzione nel 1985 e soprattutto a togliere le riserve sui protocolli facoltativi, nell’agosto 2011. La norma enunciata all’art. 17 consentirebbe al paese di venir meno agli impegni assunti con questa ratifica.
In effetti uno degli articoli del nuovo testo che più ha fatto discutere è l’art. 28, presentato da Ennahda, che riguarda proprio la condizione femminile.
La sua formulazione introduce il concetto di “complementarietà” tra i due sessi e solo successivamente parla di “uguali opportunità”.
Il comitato delle Nazioni Unite che si occupa di vegliare al rispetto della CEDAW ha sottolineato come il concetto di complementarietà sia meno avanzato di quello della piena uguaglianza, che invece è previsto dalla convenzione, e ha invitato l’assemblea tunisina a riformulare questa disposizione.
Il documento di HRW precisa che il concetto di complementrietà rischia di “diluire” il principio di uguaglianza tra uomo e donna, contravvenendo ai dettami dell’art. 2 della CEDAW.
Così, di fronte all’ipotesi di un conflitto legislativo e tenedo presente anche l’art. 17, che pone la Costituzione come limite delle convenzioni internazionali, si potrebbe assistere – in piena legalità costituzionale – alla limitazione dei diritti umani delle donne, informa la Ong.
Un’altra formulazione equivoca, che lascia spazio a interpretazioni ampie e tendenziose, è quella che riguarda il capitolo riservato alla libertà di espressione.
L’art. 26 in effetti riconosce la libertà di espressione, di opinione, di informazione, e specifica che esse possono essere limitate solo nel caso in cui minaccino i diritti, la reputazione, la sicurezza o la salute altrui. Accanto a questo però, rileva HRW, è stato inserito l’art. 3, nel quale oltre alla garanzia della libertà di culto si afferma la “criminalizzazione di tutte le minacce al sacro”.
Si tratta di una affermazione piuttosto vaga. Nel testo costituzionale non viene specificato né cosa si intenda per “sacro”, né cosa debba essere considerata una “minaccia”.
In questo modo, secondo HRW, si corre il rischio che l’articolo in questione possa essere utilizzato per imbavagliare la stampa su tutto ciò che riguarda il dogma e la fede, o per punire la manifestazione di opinioni religiose differenti.
In effetti, sebbene la bozza della Costituzione riconosca sia la libertà di credenza che di pratica religiosa, non sembra un caso l’omissione della libertà di pensiero e di coscienza, non menzionate nello stralcio.
Altro punto critico è quello che riguarda i “rapporti con il sionismo”: anche in questo caso si usano termini che non vengono specificati. Si parla infatti di criminalizzare la “normalizzazione” nei rapporti con il “sionismo e lo stato sionista”, aprendo a una vasta gamma di interpretazioni, tra cui quella che potrebbe portare alla criminalizzazione delle relazioni tra singoli.
Infine, il passaggio in cui si afferma che “solo un musulmano può diventare presidente della Repubblica” è strettamente collegato al tema della libertà di religione e della non-discriminazione.
La bozza, così come appare attualmente, presenta anche aspetti positivi e innovatori. La stessa Ong rileva i progressi contenuti nel testo.
Il diritto a non essere detenuti arbitrariamente, quello al lavoro, alla salute, all’educazione e all’integrità fisica sono riconosciuti per la prima volta al popolo tunisino, accanto al divieto di tortura. Così come alcune libertà fondamentali, tra qui quella di associazione e di riunione in assemblea.
Dalla loro applicazione pratica, però, dipenderà la loro effettiva efficacia.
Tuttavia il presidente della Lega tunisina per i Diritti dell’uomo (LTDH), Abdessatar Ben Moussa, per il momento non è ottimista: “I diritti umani e le libertà – ha dichiarato – vivono in questo momento un periodo molto difficile in Tunisia, sia sul piano legislativo che nella pratica.
La rivoluzione tunisina era portatrice di aspirazioni all’uguaglianza, alla libertà d’opinione e di stampa. Purtroppo il testo costituzionale così come è a questo stadio non sembra assicurare queste prerogative”.
September 19, 2012
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