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Tunisia. Nuova condanna per Weld El 15

I commenti sul web: “Provo a trovare un senso, ma non c’è. Un ragazzo paga ancora le conseguenze di una polizia ancièn regime e di una giustizia incancrenita da personaggi mediocri, che serpeggiano verso l’esecutivo in cerca di un’assoluzione per il loro passato corrotto”.

 

Il suo vero nome è Alaa Yaacoubi, le sue canzoni non risparmiano critiche alle autorità tunisine, soprattutto alle forze dell’ordine. Già condannato a due anni lo scorso giugno – poi ridotti a sei mesi con la condizionale – per la canzone El Buliciya Kleb (“i poliziotti sono cani”), Weld El 15 sta per tornare in carcere, dopo il verdetto emesso ieri dal tribunale di Hammamet.

Quattro mesi di reclusione per “offesa ai buoni costumi”, “diffamazione” e “oltraggio a funzionario”. Il procedimento giudiziario era cominciato in agosto, quando il rapper e il cantante Klay BBJ si erano visti condannare in totale a 21 mesi, al temine di un processo speditivo a cui non erano nemmeno stati convocati.

Da allora Klay BBJ – alias Ahmed Ben Ahmed – è stato rigiudicato due volte, fino ad arrivare al proscioglimento pronunciato il 17 ottobre scorso. Il fascicolo Weld El 15, invece, è rimasto in sospeso fino alla sentenza di ieri. Bizzarro, i fatti contestati sono gli stessi. La polizia e la procura di Hammamet avevano denunciato i due ragazzi per aver cantato dei testi ingiuriosi nei confronti delle autorità e per aver rivolto dei gesti osceni agli agenti, durante un festival tenuto in estate nella città balneare.

Accuse rigettate in blocco dai due imputati, le cui dichiarazioni sono state confermate da alcuni testimoni. “Il pubblico chiedeva a gran voce che cantassimo alcuni testi problematici. Noi abbiamo rifiutato, in segno di pacificazione con i tanti poliziotti presenti. Gli agenti però sono montati sul palco e ci hanno aggredito”, hanno affermato più volte i cantanti. Il dossier è “vuoto”, ha confermato il loro avvocato. Ma non è bastato, almeno per Weld El 15.

In un paese in cui la “transizione” è minata dagli interessi politici, i principi della rivoluzione – nel campo della libertà di espressione come in quello della giustizia sociale – sembrano sempre più lontani dal vedersi concretizzare. E la battaglia tra rapper, registi “scomodi” e autorità continua.

Proponiamo un commento a caldo sull’ennesima condanna che ha colpito il panorama artistico tunisino, con i contributi di due blogger.

“Chi sono i rapper?”, si domanda la giovane studentessa Nawel Bizid su Nawaat. “Sono ragazzi semplici e entusiasti, che non per forza rientrano nei canoni della musica impegnata ma che spesso si dimostrano ben più impegnati di tanti cantanti che hanno monopolizzato questa forma di espressione artistica”.

“Hanno saputo prendere le distanze [dal resto del panorama musicale] – continua la blogger -. Sono riusciti a smarcarsi con i loro microfoni e i loro versi affilati, con le loro canzoni zeppe di imprecazioni e parolacce. Del resto non c’è scelta, ‘Scusate la mia volgarità, ma trovatemi una situazione più volgare di quella in cui siamo’, dice giustamente il poeta Moudhaffar Al Nawab”.

“L’aver partecipato alla sollevazione o l’avervi contribuito facendo musica impegnata ha ormai assunto un valore di mercato. Per questo il rap ha preso il sopravvento, diventando la nuova avanguardia della libertà di espressione e attirando – in cambio – il grosso della repressione in questo campo. Klay BBJ è stato strattonato e linciato dai poliziotti sul palco di Hammamet, stessa cosa Weld El 15, mentre il pubblico invocava la famosa El Bouliciya Kleb […]”.

“Ancor peggio, si è arrivati perfino ad arrestare per strada la gente che ascolta questa canzone, come accaduto al giovane Anwar Hafedh, rientrato dalla Svizzera per passare le vacanze dietro le sbarre, invece che godersele assieme alla famiglia. I rapper intanto sono diventati a pieno titolo degli ‘ambasciatori’ della sofferenza patita nei quartieri popolari, come testimonia il successo del brano Houmani”.

Ecco allora che la nuova condanna inflitta a Weld El 15, per Nawel Bizid, è “l’ennesimo campanello d’allarme”. Come se ce ne fosse bisogno per constatare che, a tre anni di distanza dall’immolazione di Mohamed Bouazizi, “la battaglia per la libertà di espressione in Tunisia sembra essere ancora agli inizi”.

Sulla stessa linea la reazione della blogger Lilia Weslaty, che dalle pagine del suo Tunisiares scrive:

“Incarcerare un essere umano per una parola pronunciata è il massimo della stupidità. La libertà di espressione dovrebbe essere sacra nella Tunisia post-rivoluzione. Per chi ancora ne dubita, magari brandendo argomentazioni religiose a suo sostegno, è sufficiente leggere il Corano, dove perfino Satana ha il diritto di esprimersi, e di veder addirittura riportati i suoi propositi dal Profeta”.

“Invece di cogliere questa nota di saggezza – continua Lilia – per trovare altre soluzioni o altri generi di “punizione” più benefici per la società, si preferisce rinchiudere un ragazzo tra quattro mura assieme a criminali di diritto comune. Con quale obiettivo? Punirlo? Che senso ha?”.

“Certo, ha insultato i poliziotti […] ma perché un ragazzo arriva a pronunciare queste parole? Perché ha maturato questo odio verso la polizia (e non è il solo ad averlo fatto)? I giudici sanno quello che ha passato, quello che ha subito, per arrivare a tanto?”, domanda la blogger, prima di concludere senza mezze misure:

Queste riflessioni non hanno influito sul verdetto. Carcere per Weld El 15, come un delinquente, ecco la cura prevista dalla nostra cosiddetta giustizia. Provo a trovare un senso a tutto questo, ma non c’è. Si tratta dell’ennesima aberrazione: un ragazzo paga le conseguenze di una polizia ancora inquadrata negli schemi del vecchio regime e di un’istituzione giudiziaria incancrenita da personaggi mediocri, che serpeggiano verso l’esecutivo in cerca di un’assoluzione per il loro passato da corrotti”.

Sono parole dure, che richiamano alla memoria quelle usate da Selima Karoui – dopo la prima condanna al rapper – nel suo “Requiem per Una libertà di espressione”: “la sentenza contro Weld El 15 non è che una conferma di quello che è stato già denunciato attraverso le parole del suo rap. Ilconcretizzarsi di una profonda ingiustizia”. Era il giugno 2013. Da allora il tempo si è fermato e la storia sembra tristemente ripetersi.

 

(Foto: Mosaique FM, via Nawaat)

 

December 06, 2013di: Jacopo GranciTunisia,Video:  Articoli Correlati: 

Redazione

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