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Turchia, aleviti: cronaca di una repressione

La comunità alevita in Turchia, 15 milioni di persone, ha sempre avuto un trattamento ambiguo da parte del governo islamico sunnita di Erdogan. Dopo un’iniziale apertura, dettata più da interessi elettorali che da reali progetti di riconciliazione, la comunità si ritrova oggi a dover subire intimidazioni e rifiuti di riconoscimento come minoranza religiosa.

 

 

di Luca Bellusci

 

 

Chi studia la storia delle relazioni internazionali, e in particolare la regione mediorientale, conosce bene quale sia il principio fondamento che contraddistingue la Repubblica turca da tutte le altre realtà politiche della regione: il secolarismo.

Con l’avvento del partito islamico moderato Giustizia e Sviluppo, al potere ormai da dieci anni senza alcuna interruzione, a cambiare è stata la struttura stessa dello Stato, non più rigidamente attaccata all’ideologia secolare di stampo kemalista ma più incline a una filosofia politica che si rispecchia nel concetto di Islam.

L’architetto di questa ristrutturazione istituzionale è sicuramente Recep Tayyp Erdogan, leader indiscusso del partito Akp (Adalet ve Kalkınma Partisi) e fervente credente sunnita. In dieci anni di governo è riuscito laddove molti prima di lui avevano fallito: l’economia turca è tra le prime al mondo, grazie a un tasso di crescita in costante aumento negli ultimi tre anni.

L’accresciuto ruolo all’interno di organizzazioni sovranazionali come l’OIC, la Nato e la Lega Araba (anche se in quest’ultima detiene un ruolo da osservatore esterno) conferisce alla Turchia un ruolo di primo piano nella comunità internazionale.

Il rilevante ruolo geopolitico che gioca sia per l’Unione Europea che per gli Stati Uniti d’America le consente di trattare sullo stesso piano, anche dinnanzi a grandi potenze, senza contare che la destabilizzazione della regione mediorientale ha obbligato la comunità internazionale a rapportarsi alla Turchia come unico interlocutore per eventuali operazioni di peace building o in chiave militare (Nato).

Questi successi economici e di politica estera non coincidono però con altrettanti progressi nel campo dei diritti civili e religiosi.

La questione della minoranza curda rappresenta da molti anni la maggior spina nel fianco dello Stato, ma con l’avvento del movimento islamico sunnita dell’Akp i problemi sono arrivati anche per le altre minoranze religiose, e in special modo per quella alevita.

 

La politica di “inclusione passiva” delle minoranze secondo Erdogan

 

La strategia del governo turco adottata in questi dieci anni verso le minoranze è stata quella di favorire un’inclusione nel nuovo sistema islamizzato.

Grazie a quel fenomeno che molti hanno denominato “calvinismo islamico”, il governo Erdogan è riuscito ad attrarre parte di quell’elettorato che storicamente si sentiva emarginato per via del proprio credo o per l’origine etnica.

L’economia è stata l’arma principale per implementare questa strategia ‘passiva’, nel senso che non essendo supportata da effettivi processi di integrazione basati sul confronto e concessioni, è stata determinata da una chiara volontà del governo centrale di superare le diversità attraverso lo sviluppo, che per Erdogan rappresenta l’elemento-base dell’unità nazionale. 

Questa nuova architettura di ingegneria civile continua però a incontrare il fermo rifiuto dei vari rappresentanti della società civile e delle minoranze: circa un anno fa, il 6 marzo 2011, almeno sessanta mila persone hanno sfilato nelle strade di Izmir (Smirne, la terza città in Turchia per importanza), per protestare contro l’atteggiamento passivo del governo.

I manifestanti chiedevano l’abolizione delle lezioni di religione obbligatorie, la riapertura delle Cemevis, i luoghi di culto per gli aleviti, e il relativo riconoscimento dello loro status legale.

L’ambigua politica di Erdogan è stata più volte enfatizzata, sia da esponenti politici curdi che da quelli aleviti. L’attuale leader del partito repubblicano Chp (Cumhuriyet Halk Partisi) Kemal Kılıçdaroğlu, di religione alevita, è il principale oppositore alla politica populista del primo ministro e ha spesso evidenziato l’ambiguità delle sue dichiarazioni nei confronti della comunità che rappresenta.

 

Cronistoria di una repressione a ‘bassa intensità’

 

La storia degli aleviti in Turchia è costellata da momenti tragici, caratterizzati da eccidi di massa e deportazioni forzate.

Durante l’Impero Ottomano furono diverse le occasioni di scontro con la comunità alevita, soprattutto nelle regioni anatoliche dell’odierna Turchia, come Kahramanmaras, Malatya e Gaziantep.

Nel 1937-38, a Dersim (Tunceli), provincia centrale, venne compiuto un vero e proprio massacro contro i curdi aleviti di quelle zone: l’aviazione turca bombordò in modo incessante le valli che circondano la città, lasciando sul posto migliaia di morti.

Solo pochi mesi fa il premier Erdogan ha ricordato quell’orribile pagina della storia contemporanea turca, chiedendo ufficialmente scusa alle comunità alevita e curda.

Il 2 luglio del 1992 si verificò un altro terribile attentato, noto come “il massacro di Sivas”, che costò la vita a una quarantina di intellettuali aleviti giunti nella città turca per un festival dedicato al poeta Pir Sultan Abdal.

Nel 1995, tra il 12 ed il 15 marzo, una serie di attentati colpì invece il quartiere Sultangazi di Istanbul, zona abitata da una grande comunità alevita. In quei giorni furono diversi gli attentati contro locali e abitazioni appartenenti ad aleviti, anche in altre città. L’autopsia condotta sui corpi di 17 persone morte negli scontri mostrarono in seguito che i colpi furono sparati proprio dagli agenti di polizia: alla fine del processo le pene dei due condannati (su 20 indiziati) furono ridotte rispettivamente da 96 a 6 e da 43 a 3 anni.

 

Preoccupante escalation nel 2012

 

Nei primi mesi del 2012 si sono registrati diversi avvenimenti che fanno presagire una nuova escalation repressiva ai danni della comunità alevita.

Lo scorso gennaio l’amministrazione provinciale di Mersin ha approvato la richiesta avanzata da Suat Yıldız, capo sezione della federazione culturale alevita, di accettare la Cemevis come un luogo di fede e di compensare le spese generali a carico del bilancio della amministrazione provinciale. Una settimana dopo è però arrivato il veto posto dal governatore provinciale di Mersin, Hasan Basri Güzeloğlu, che di fatto ha bloccato questo importante passo verso un riconoscimento formale della minoranza religiosa, circa il 15 per cento della popolazione turca.

Il 17 febbraio il tribunale di Tunceli ha invece deciso di chiudere l’associazione culturale alevita Alevilik İnanç ve Kültür Akademisi Derneği (DAKAD), per reati connessi al terrorismo (Terörle Mücadele Kanunu), suscitando l’indignazione e la preoccupazione di molti esponenti politici e della società civile.

Solo pochi giorni fa l’evento più preoccupante: le porte di molte abitazioni della comunità alevita di Adıyaman sono state segnate durante la notte del 3 marzo, suscitando grande preoccupazione per eventuali aggressioni. 

 

 

March 6, 2012

 

/p/em

Turchia,

Redazione

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