“Senza la sinistra, la società civile laica critica, l’HDP non ce l’avrebbe mai fatta, ed é stata questa a consentirgli di dire no all’autoritarismo e sì alla difesa delle minoranze e all’eterogeneità della Turchia.” Con un’intervista a Lea Nocera Osservatorio Iraq commenta le recenti elezioni legislative in Turchia.
Le ultime elezioni in Turchia sono state un vero terremoto, politico e sociale. Tante e storiche prime volte, come l’ingresso in parlamento di un partito filo-curdo, capace però di accogliere i voti di una più larga fetta elettorale, e la perdita della maggioranza assoluta dell’AKP, la formazione di Recep Tayyip Erdoğan, dominatrice indiscussa dal 2004. Per la prima volta ci sono così tante donne (96) e minoranze rappresentate: non solo curdi, ma anche armeni, ezidi, rom e siriaci.
E’ stato però un terremoto anche per quanto successo durante la campagna elettorale, in particolare negli ultimi giorni, con l’attentato a Dyarbakir che ha provocato 4 morti e i toni molto accesi su temi quali terrorismo, corruzione e islamismo. Per fare il punto della situazione, all’indomani del voto, Osservatorio Iraq ha contattato Lea Nocera, docente all’università “L’Orientale” di Napoli, esperta di Turchia Contemporanea.
Che analisi si può fare dei risultati di queste elezioni, accolte in Turchia e nel mondo con così grande clamore?
Il voto era molto atteso e i risultati erano molto imprevedibili. La presenza dell’HDP (Halkların Demokratik Partisi, Partito democratico dei popoli, ndr), che ha deciso per la prima volta di partecipare come lista e non con candidati indipendenti, scelta abbastanza rischiosa, é stata sicuramente un fattore chiave di queste elezioni.
Bisogna ricordare prima di tutto che non si tratta di un partito nuovo, bensì l’evoluzione di diverse formazioni politiche filo-curde precedenti che si sono unite, non rappresentando però soltanto la minoranza curda, bensì allargandosi ad una costellazione più ampia della sua base elettorale forte – infatti la definizione di partito filo-curdo gli sta un po’ stretta. Fino a queste elezioni, l’escamotage adottato da queste formazioni per aggirare l’altissima soglia di sbarramento del 10%, istituita in seguito al colpo militare del 1980, che per decenni ha alterato la rappresentanza effettiva in parlamento, limitando la presenza di partiti minoritari, era appunto quella di presentare candidati indipendenti in più liste.
Questo aveva permesso di avere dei rappresentanti, tant’é che in parlamento c’era già un gruppo dell’HDP, tuttavia non si riuscivano ad avere grandi numeri con singoli candidati. Il voto era troppo legato alla figura e alle dinamiche del territorio.
Inoltre, la decisione di correre come lista é conseguente a quello che possiamo definire un test elettorale che l’HDP ha fatto con le scorse elezioni presidenziali, quando Selahattin Demirtas, leader del partito, si é candidato per diventare presidente della Turchia. Ma quella che allora ai più é sembrata un azzardo o una provocazione – perché appariva improbabile che un curdo potesse diventare presidente della Repubblica – si é rivelata essere una mossa per testare le capacità elettorali di questo partito. Infatti in quelle elezioni Demirtas ottenne oltre il 9% dei voti, dando quindi il polso della situazione e facendo ben sperare per il futuro.
Su questo risultato si é lavorato tanto, curando l’ultima campagna elettorale nei minimi dettagli e nonostante la sproporzionalità dei mezzi.
In cosa consiste questa sproporzione e come é stato possibile aggirarla?
Non bisogna dimenticare infatti che i mezzi di informazione sono tutti in mano all’AKP e allo Stato, ovvero al governo e alla presidenza della Repubblica. Addirittura l’ultimo giorno della campagna, il 7 giugno, quando in teoria vige il silenzio, lo stesso Erdogan é apparso in televisione e, seppur pronunciando un discorso non elettorale, dietro di sé aveva la bandiera del suo partito. Altri piccoli esempi si possono fare, come camion, pubblicità online della TRT, la tv di Stato, che avevano sul lato di dietro il volto del primo ministro, dell’AKP. Ecco, contro questa grande disparità l’HDP si é difesa molto bene, a partire dal linguaggio.
Ad esempio rimandando al mittente gli accostamenti al terrorismo, dal momento che il partito é sempre stato presentato dall’opposizione come il braccio politico del PKK, partito dei lavoratori curdi considerato organizzazione terroristica in Turchia, e accusato di fomentare il separatismo, alimentando allo stesso tempo le paure del nazionalismo turco. A questa retorica l’HDP ha opposto invece messaggi di pace, di unità, di coesione, di solidarietà, rilanciando l’idea forte e nuovadi una Turchia plurale.
Molto significativo é stato lo slogan scelto, con “noi in parlamento” , dove il “noi” rappresentava sia un significato di collettivo, sia di dualità, dal momento che i capolista erano sempre due, c’era una co-candidatura che per la Turchia (e non solo) é assolutamente una novità.
Soprattutto, il partito é stato capace di non rispondere alle provocazioni, come avvenuto in occasione dell’attentato di Diyarbakır, dove i leader hanno fatto di tutto per invocare la calma e non alzare i toni. Ma non solo, durante tutta la campagna ci sono stati attacchi verbali e non, contro le sedi del partito e in occasione dei comizi. Un altro slogan importante, a proposito di come si é risposto con unità alle aggressioni, é la danza tipica curda, l’halay, che prevede un cerchio fatto di uomini e donne, simbolicamente molto importante per il significato di unione.
Così facendo, ed esponendo sempre le bandiere turche, di fatto sorprendendo i giornalisti che ogni volta erano a caccia di “separatismo”, l’HDP ha raggiunto elettorato che va ben oltre i curdi, integrando tutta una serie di richieste che partono dalla società civile (laica, di sinistra, e turca) critica nei confronti di Erdogan. Senza quest’altra componente non ce l’avrebbe mai fatta, così come senza i curdi neanche la sinistra sarebbe entrata in parlamento, ed é stata questa a consentire all’HDP di dire no all’autoritarismo e sì alla difesa delle minoranze e all’eterogeneità della Turchia, che fino ad ora non riusciva ad avere una rappresentatività in parlamento.
E’ corretto dire che una parte del movimento di Gezi park é confluita nei voti per l’HDP?
Senza dubbio, anche se non é stato molto chiaro all’inizio, quando anche altri partiti, i kemalisti del CHP, hanno tentato di cavalcare l’onda del malcontento contro Erdogan ma senza riuscirci davvero. E’ sicuramente difficile individuare il movimento di “Gezi”, e sarebbe più corretto parlarne al plurale, però l’affinità che Gezi ha con l’HDP sta nel fatto che entrambi rappresentano la volontà di porre fine alle divisioni e di unirsi per le lotte comuni, per la democrazia, la libertà di espressione, contro la censura, l’autoritarismo e il neoliberalismo.
Il principio sta nel riconoscere che soltanto dopo aver ottenuto gli obiettivi delle lotte comuni le singole lotte potranno trovare spazio ed essere portate avanti.
Parliamo invece dello sconfitto e di quale sconfitta si tratta in realtà…
La sconfitta infatti é relativa, il partito di Erdogan resta sugli oltre 40 punti percentuali e continua ad essere il primo partito indiscusso in Turchia. L’AKP ha certamente perso 9 punti e tanti seggi, che sono andati – e questo é un dato preoccupante – principalmente agli ultranazionalisti, ma é vero anche che in Anatolia, in regioni dove storicamente Erdogan otteneva sempre il primato, é l’HDP ad avere vinto.
Le ragioni sono diverse, e oltre alle richieste della sinistra già menzionate vanno sottolineati la pessima gestione della situazione a Kobane e l’ambiguo e oscuro rapporto con l’islamismo da parte dell’AKP, che in un paese storicamente laico come la Turchia iniziava a preoccupare, secondo me. A questo proposito poco prima della fine delle elezioni ha destato clamore e stupore uno scoop giornalistico in cui si rivelava il possibile coinvolgimento dei servizi segreti turchi nel trasferimento di armi che in Siria sarebbero poi finite nelle mani di Daesh . Lo scandalo é stato talmente grande che la procura ha chiesto l’ergastolo per il giornalista che riportato la notizia e Erdogan in persona ha dichiarato pubblicamente che “non lo lascerà tranquillo”. In ultimo, la bomba esplosa a Dyarbakir ha influito ulteriormente.
Va tuttavia ricordato che i risultati dell’AKP sono in tendenza con le ultime uscite elettorali, che lo davano già in calo. Altri due fattori importanti erano già noti come segnali di debolezza: l’arresto della crescita economica e l’aumento della disoccupazione, ad oggi al 12%.
Cosa si prospetta in termini di formazione di governo e dell’influenza che le minoranze rappresentate potranno avere?
Cosa può succedere é ancora tutto da vedere. Ci sono 45 giorni prima dell’insediamento del parlamento, in cui le alleanze e le coalizioni possono essere diverse. Il ritorno alle elezioni non é neanche escluso, qualora non si formasse il governo.
Non solo l’HDP, ma anche altre formazioni hanno portato pluralità in parlamento. Per quanto riguarda gli armeni, due sono stati portati dall’HDP, e un altro dai kemalisti del CHP e un altro dall’AKP. Anche altre minoranze presenti, non solo a livello culturale, ma anche di genere, con 96 donne che in totale siederanno in parlamento, provando a giocare così un ruolo di vigilante su certe tematiche. In questo senso dunque la composizione del nuovo parlamento é molto importante, e da un certo punto di vista anche legittimo, dato che la Turchia é ed é sempre stata una società molto composita.
Tornando all’HDP, in un momento in cui a livello regionali i curdi, a seconda delle declinazioni statali, stanno rivestendo un ruolo importante, cosa rappresenta questo successo, per lo meno in Siria e in Iraq?
Intanto, rimanendo in Turchia, é importante provare a chiarire il rapporto che intercorre tra HDP e PKK. Al di là della retorica dell’AKP e della confusione che si sta facendo sui mezzi di informazione, l’HDP sta mostrando sempre più l’intento di mostrarsi come una forza turca e non solo curda. Senza nascondere il fatto che Demirtas abbia richiesto un incontro ufficiale con Ocalan , ancora più importante é il dissociarsi tra la lotta armata del PKK e la politica di unità e riconciliazione che propone l’HDP, che al tempo stesso non si inserisce direttamente nei negoziati di pace, pur rilanciandoli, ribadendo che loro non sono guerra con nessuno, ma ricorda che per la pace occorre che gli interlocutori non siano nelle terribili condizioni di detenzione in cui é posto Ocalan nel carcere di massima sicurezza di Imrali.
Considerando il mondo curdo oltre i confini turchi, é molto difficile valutare l’impatto di questo successo. Non bisogna dimenticare che la comunità curda é molto complessa. Per quanto riguarda i fatti di Kobane l’entusiasmo nato in tutti i curdi (e non solo, e per certi versi i fatti sono stati anche un po’ romanticizzati, soprattutto in Italia) al di là delle differenze era, a mio avviso, legato molto al fattore “guerriglia”, che unisce la comunità curda da sempre. Mentre l’HDP rappresenta uno sviluppo in chiave politica e governativa, perché accetta a tutti gli effetti uno specifico sistema democratico che non é esclusivamente curdo.
Quindi non so quanto in realtà questo partito sia davvero una novità solo positiva, perché da alcuni potrebbe essere vista come l’abbandono della vecchia idea di uno Stato che unisca tutti i curdi.
*Foto di Stefano Nanni. Istanbul, Sultanahmet, comizi pluripartici nella stessa piazza.
June 13, 2015di: Stefano Nanni da Dohuk – Kurdistan iracheno*Turchia,Articoli Correlati:
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