Turchia. Il “passo indietro” dei diritti

Tra corruzione, indebolimento dello stato di diritto e ulteriore giro di vite su Internet, media e libertà di espressione, Human Rights Watch mette in luce le mancanze del governo turco, proprio in questo periodo di avvicinamento all’Europa.

 

 

 

“La Turchia, sotto Recep Tayyip Erdogan e il governo del suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) stanno adottando misure di vasta portata per indebolire lo stato di diritto, aumentare il controllo dei media e di Internet, e reprimere i critici e i manifestanti”.

E’ questa l’accusa lanciata da Human Rights Watch nel suo recente rapporto di 38 pagine intitolato “Turkey’s Human Rights Rollback: Recommendations for Reform“.

A preoccupare maggiormente l’Ong internazionale è la situazione dello stato di diritto del paese, in cui la magistratura e i processi devono far fronte a una sempre maggiore ingerenza da parte dell’esecutivo.

Basti pensare alle conseguenze delle manifestazioni di Gezi Park a Istanbul e in altre città nel maggio-giugno 2013: se l’uso eccessivo della forza da parte della polizia è stato protagonista delle cronache e sui social media di tutto il mondo per diverso tempo, meno si sa invece dei moltissimi manifestanti che oggi stanno affrontando procedimenti legali per la loro partecipazione a quei giorni di tumulto.

HRW parla di migliaia di persone sotto processo, mentre solo alcuni agenti di polizia sono stati chiamati a rispondere per i morti e i feriti tra i manifestanti, tra cui un agente che di recente è stato condannato per aver sparato e ucciso un ragazzo ad Ankara il 1 giugno 2013.

E’ stato sì “un raro momento di responsabilità” dice HRW. Peccato che dopo la condanna per “probabile intenzione di uccidere” – reato punibile con 25 anni di prigione – il tribunale abbia ridotto la condanna a 8 anni sostenendo che l’imputato aveva risposto a una “provocazione ingiusta” e si era comportato bene durante il suo processo.

Tutto questo mentre i manifestanti, tra cui 35 persone legate al fan club di tifosi della squadra di calcio di Besiktas, Carsi, rischiano il carcere a vita, con l’accusa di aver ordito un colpo di Stato (la prima udienza del processo è fissata il 16 dicembre 2014).

Ma non si tratta solo di Gezi. HRW mette in luce l’operato del governo anche a seguito delle accuse di corruzione, sempre nel 2013, che hanno coinvolto alti funzionari governativi e alcuni membri delle loro famiglie.

E’ così che il primo ministro Erdogan e la sua cerchia hanno addossato la colpa al movimento del suo ex-alleato Fethullah Gülen, sostenendo che le indagini di corruzione facevano parte di un suo tentativo di “golpe” per spodestarlo.

Secondo il governo turco, infatti, Gülen, meglio conosciuto per la sua rete globale di istituti scolastici, avrebbe nel corso degli anni sfruttato la sua enorme influenza per istituire strutture di potere alternative – una sorta di “Stato parallelo” – mettendo i propri quadri in posizioni-chiave nella magistratura, nelle forze di polizia, e nella burocrazia statale.

“La risposta del governo è stata rapida e drammatica – scrive HRW – un ricambio massiccio e la rimozione di agenti di polizia, pubblici ministeri e giudici, in un tentativo immediato di limitarne i poteri, oltre alla messa a punto di una nuova legislazione che riguarda la gestione di tutto il sistema giudiziario e le sue funzioni”.

Qui sì che la polizia è stata coinvolta senza remore: fino ad oggi, in tre ondate di arresti, 180 poliziotti sono stati arrestati, e 40 di loro sono agli arresti domiciliari in attesa del completamento delle indagini penali, 5 di loro con l’accusa di “tentativo di colpo di Stato”, secondo l’articolo 312 del Codice penale turco.

“Il governo ha risposto con l’adozione di leggi che frenano l’indipendenza della magistratura e indeboliscono lo stato di diritto. Ha inoltre riassegnato giudici, pubblici ministeri e funzionari di polizia. Più recentemente ha arrestato agenti di polizia coinvolti nelle indagini, chiuso due di queste, e ha intensificato gli sforzi per mettere a tacere i social media e i report dei media tradizionali su tali questioni” scrive ancora HRW.

In tutto questo, non poteva mancare la stretta sui media e sul web, con un inasprimento, sempre questo mese, della già restrittiva Internet law che rafforza i poteri di sorveglianza del governo e il suo libero accesso ai dati anche sensibili, protegge il personale di intelligence dalle indagini, e aumenta le sanzioni per gli informatori e per i giornalisti che pubblicano notizie trapelate dall’intelligence.

L’unica nota positiva, secondo HRW, sono i passi avanti nel processo di pace con la minoranza curda e il Pkk, che comunque oggi sarebbero a rischio.

“Proteggere i diritti umani e il rafforzamento dello stato di diritto per tutti, è il modo migliore per assicurarsi che il processo di pace curdo abbia successo – scrive  la curatrice del report, Emma Sinclair-Webb – Mentre la Turchia sente il calore della guerra in Siria e in Iraq, Ankara ha rinnovato il suo interesse verso l’instaurazione di più stretti legami con l’Europa. Ma è improbabile che la Turchia riesca a avvicinarvisi, a meno che i leader turchi non adottino misure per invertire questo trend negativo sui diritti”.

 

Foto: Taksim square cleaning. Events of June 16, 2013. Di Mstyslav Chernov in CC via Wikimedia Commons.

 

September 30, 2014di: Anna ToroTurchia,Articoli Correlati: 

Lascia un commento