Turchia. Quale società?

Da un blog sul sesso alle molestie denunciate sull’Hurriyet Daily News nei giorni di Gezi Park. E ancora Istanbul, il suo caos, l’essere donna in Turchia: intervista alla giornalista Belgin Akaltan. 

 

 

 

La prima volta che mi sono imbattuta negli articoli di Belgin Akaltan sono rimasta colpita dalla sua capacità narrativa, illuminata da un modo brillante, ironico e mai banale di raccontare la società turca. Akaltan lavora nella redazione che si occupa della versione in inglese dell’Hürriyet Daily News, un famoso giornale turco. Durante i fatti di Gezi Park, ha raccontato la storia di Pinar, una giovane donna molestata dalla polizia turca. Lo ha fatto nel suo solito modo: intenso, capace di farti sentire la realtà oltre le parole. 

 

Come hai iniziato la tua carriera all’Hürriyet Daily News?

Sono una giornalista dal 1978, risale dunque a più di 35 anni fa. La maggior parte del tempo, quando eravamo giovani, guardavamo in modo supponente a quelli che avevano delle rubriche, specialmente quelli nuovi. Dicevamo: “Tutti hanno una rubrica. Tutti scrivono”. Ho pensato che si può avere una rubrica solo quando si è vecchi, pieni di tanta conoscenza e saggezza. Questo atteggiamento è durato anni. Molti dei miei primi editori mi incoraggiavano a tenerne una, ma non accadeva. Ho cambiato spesso lavoro, ho viaggiato. Penso non fosse il momento giusto e non sapevo come promuovere il mio lavoro. Poi la tecnologia ha cambiato tutto. Ora ognuno può scrivere e far sentire la sua voce alla massa.

Qui, nel mio giornale, hanno aperto una sezione blog nel 2012. Non sapevo quasi cosa fosse un blog. Ho chiesto aiuto a un giovane reporter di successo che aveva la postazione accanto alla mia. Mi ha insegnato, mi ha mostrato le basi. Poi il nostro Internet editor, Ali Abaday, mi ha incoraggiato. Mi ha chiesto una serie di argomenti sui quali avrei potuto scrivere. Ho proposto diversi temi: Istanbu, la vecchia città, la vita quotidiana…e il sesso. Ali è tornato dicendo: “Certo, sesso, Belgin scrivi sul sesso. E’ il tema più popolare”. Ho adottato uno pseudonimo, Belgin Tan: pensavo che mio figlio sarebbe cresciuto non amando il fatto che sua madre fosse una sex blogger; il che, di fatto, si è mostrato un pensiero sbagliato. Più tardi mi ha detto: “Cosa? Non sono alle elementari. Non c’è bisogno di cambiare il tuo nome”. Quando il mio sex blog è iniziato, i miei pezzi erano molto popolari. I lettori li amavano oppure li odiavano. Mi scrivevano, scrivevano al sito, cliccavano, leggevano. Gli articoli venivano tradotti in altre lingue.

Ero felice. Mi piaceva l’attenzione, la falsa sensazione virtuale di successo. E mi piaceva la libertà. Potevo scrivere qualunque cosa, di qualunque lunghezza, quando volevo.  Poi è arrivato il mio editore Murat Yetkin, e mi ha detto che aveva dei progetti per me. Avrei dovuto tenere una rubrica non politica, ironica. Mi sono sollevata un metro da terra quando me lo ha detto. Sono andata in una stanza vuota della redazione, ho chiamato mio marito, mio figlio, mia sorella. Ero felice. Sono stati tre uomini quindi ad incoraggiarmi e supportarmi. 

Sei una donna che affronta temi diversi con intelligenza e ironia. Come ci si sente a essere una “donna libera” in una Turchia che rischia di precipitare in una specie di “età oscura” a causa di alcune influenze politiche e religiose?

Buona domanda. Non sono una persona coraggiosa o che lotta per una causa. Al contrario, sono una codarda, manco di coraggio. L’unica cosa che so fare bene è scrivere. La scrittura è la mia sola arma. Provo a tenere un basso profilo. Il fatto che scriva in inglese per un giornale in lingua inglese mi tiene lontana, credo, dai riflettori. Solo quelli che parlano inglese mi leggono, il che va bene per me. Sono lontana dal mainstream dei media turchi in cui l’ambiente è troppo veloce, competitivo e privo di compassione. Penso che “essere una donna libera” inizi dal cervello. Ho preso questa decisione quando ero molto giovane. Non sono un’attivista che lotta per i diritti umani. Ma sono una supporter, che usa i suoi pezzi per difendere ciò in cui crede. Per rispondere alla tua domanda, sono libera ma lo nascondo. Non sto in prima linea.

Cosa mi dici della libertà di stampa in Turchia? Che esperienze hai avuto?

Avendo lavorato nei media così a lungo, posso dire che è una forma contorta di libertà di stampa. Non so se possa mai essere raggiunta completamente, di certo qui in Turchia iniziamo con l’autocensura. Tagliamo, censuriamo, blocchiamo molte cose prima nelle nostre teste, alle nostre scrivanie. Poi interviene il direttore che taglia, blocca, censura ancora di più. Ogni giornale e ogni emittente hanno il loro proprio linguaggio. Scrivi e fai reportage in modo differente, a seconda del posto in cui lavori.

Siamo così abituati alle restrizioni che non riconosciamo quanto ci influenzino. A volte ho paragonato la nostra situazione a quella del cinema iraniano. Poveri ragazzi, non posso mostrare nulla nei loro film. Anche noi abbiamo molte restrizioni, autoimposte e imposte dall’esterno, abbiamo il nostro modo di essere. Fra tutte queste limitazioni troviamo comunque un modo per esprimerci, anche se di tanto in tanto sbattiamo contro un muro.

Alcuni sostengono che una donna intelligente spaventa sempre gli uomini. E’ vero? Com’è l’uomo turco? 

Naturalmente è vero. In una ricerca di molti anni fa scoprirono che le ragazze erano molto più capaci dei ragazzi in matematica nei primi anni di scuola elementare, ma quando raggiungevano una certa età scoprivano che strizzare l’occhio e chiedere ai maschi di risolvere un problema di matematica era in qualche modo “meglio” che conoscere la risposta. Noi donne impariamo a nascondere la nostra intelligenza a meno che non venga creato intorno a noi un ambiente adeguato.

Non sono esperta di uomini turchi come molti dei miei lettori pensano. Uso l’essere turchi come uno strumento, una satira e ne parlo solo perché mi stanno intorno. Ma questi argomenti sono internazionali: non è forse vero che in tutto il mondo gli uomini amano il confort, vogliono una vita facile, una relazione facile? Molti lettori pensano che io detesti l’uomo turco. Io sono felicemente sposata con un turco da anni. Ho educato un figlio turco. Mio padre era un vero “gentleman di Istanbul” (non chiedermi cosa vuol dire, è una specie estinta). Mio fratello, i miei nipoti, i miei colleghi sono tutti esempi di uomini turchi che adoro. Ma non mi piacciono quelli che ti urtano per la strada, mentre passeggi, che ti molestano quando guidi, che picchiano le mogli, che fanno mobbing nei posti di lavoro. E non importa di quale nazionalità siano. 

Durante i fatti di Gezi hai raccontato la storia di Pinar, una ragazza catturata dalla polizia e molestata. Quanto ti ha influenzato quella storia?

Quando l’ho sentita sono scoppiata in lacrime, ero piena di odio nei confronti della polizia. Avrei potuto colpire fisicamente chi ha molestato Pinar. Ero piena di rabbia e disprezzo. Questo avveniva durante i giorni caldi di Gezi. La storia inizialmente è comparsa su Facebook quando Erkan Yolalan, un altro studente detenuto dalla polizia nel quartiere di Beşiktaşm, ha visto tutto con i suoi occhi e ha raccontato l’intera vicenda. Un aneddoto interessante: quel giorno stavo pranzando nella caffetteria dell’Hürriyet e di tanto in tanto qualche poliziotto in servizio veniva e mangiava con noi. Ero così furibonda per il trattamento ricevuto dalla ragazza che stavo dicendo a voce alta che avrei potuto picchiare un poliziotto. In quel momento ho visto due poliziotti che pranzavano in silenzio dall’altro lato del tavolo. Ho detto loro “Mi spiace, non intendevo voi. Stavo solo parlando…”. Mi hanno risposto che non avevano sentito nulla.

Dopo quei momenti iniziali, pieni di reazioni emotive, ho scritto le mie storie. Sono stata molto felice di sapere che l’Istanbul Bar Association avrebbe difeso Pinar in ogni modo. In quei momenti, sei orgoglioso e felice di essere un giornalista e di sapere che la tua storia è servita.

Qual è oggi l’eredità di Gezi?

Gezi deve ancora essere decifrata a livello sociologico. Sono stati scritti libri, saggi e articoli, ma la ricerca non è ancora completa. E’ stata una protesta spontanea della gente in difesa dei propri diritti, del proprio stile di vita nei confronti di un regime totalitario. E’ stata impulsiva, pacifica finché le forze dell’ordine non sono intervenute con violenza. Riguardava l’ambiente. Continuerà, esploderà in un momento inatteso, per completare il suo corso. L’eredità è quella di un certo segmento di società che ha compreso la sua forza. Può farlo di nuovo oppure no, ma il potenziale è lì. I giovani sono stati la forza trainante di Gezi: hanno insegnato a noi, a quelli di mezza età, che possiamo farcela.

Possiamo effettivamente protestare contro un oppressore. Ha anche indebolito il governo, che non sapeva che fare. Sono andati nel panico, ci hanno odiato, considerato come il nemico. E ci vedono così ancora adesso. Ne è un buon esempio il fatto che il governatore di Istanbul in quei giorni ha provato a servire il governo ma ogni volta sbagliava, e i fatti lo dimostravano. E’stato rimosso qualche giorno fa. Questo dimostra come l’amministrazione pubblica debba avere dei principi: anche se ti schieri con l’oppressore pensando che questo rinforzi la tua posizione, verrà il giorno in cui ti spremeranno e ti getteranno nell’immondizia. Non puoi servire abbastanza gli oppressori. Un giorno tutti i funzionari saranno rimpiazzati, ma Gezi rimarrà.

Questo è un momento molto pericoloso per gli equilibri della  politica internazionale. La Turchia è un paese strategico. Come turca, e come donna, cosa speri per il futuro? Come reagisci personalmente agli attacchi di un certo Islam?

Come turca, ho molta speranza per il futuro. Non puoi fermare il flusso della corrente. Non puoi riportare questa società indietro nel tempo. Puoi provarci, ma alla fine l’acqua troverà il modo di procedere oltre. Questo regime è temporaneo. Molti studiosi sono d’accordo sulla necessità di una riforma religiosa, che dovrà incorporare valori contemporanei.  

Com’è vivere a Istanbul? Molti amano questa città eppure alcuni europei hanno ancora dei pregiudizi sulla sua modernità. 

Penso che Istanbul sia la migliore e la peggiore città del mondo. E’ la città dei contrasti. E’ moderna, arcaica, è l’Est e l’Ovest, è insieme bellissima e tremenda, vecchia e nuova. E’ il caos. E a noi piace il caos, ci piace in fondo soffrire nel traffico. Personalmente ne amo i sapori e i suoni…penso al simit (anello di pane turco venduto per strada, ndr), agli scolari, ai gatti, ai gabbiani, al profilo dei minareti, alla metro, ai venditori di pesce…

Cambieresti mai città?

Mai…Ho provato a vivere in altri luoghi, ma senza fortuna. Non lascerò mai Istanbul o la Turchia, malgrado l’AKP. Questa è la mia terra, questa è mia città. Appartengo a questi luoghi.

 

*Per la versione inglese di questa intervista clicca qui

October 19, 2014di: Francesca Pacini Turchia,

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