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Women on Walls: graffiti di lotta e di emancipazione

“Storie di donne, dalla paura alla libertà”: è il tema scelto stavolta dall’organizzazione egiziana Women on Walls per il più famoso festival della street art femminile di tutto il Medio Oriente.

 

 

Quest’anno, la manifestazione si è svolta ad Amman, Giordania, dal 7 all’11 ottobre nell’ambito del più ampio Baladk Project festival.

Così, ventiquattro artiste e artisti provenienti da paesi come l’Egitto, la Palestina, Bahrein, Yemen, Qatar e Giordania hanno unito le forze per creare il muro dipinto più lungo di tutta Amman.

L’obiettivo, come ogni anno, è quello di portare alla conoscenza del pubblico le artiste che, attraverso spray, colori e tutta la loro creatività, si esprimono e si raccontano su vari temi che le riguardano in prima persona: gli anni passati, ad esempio, le opere si sono incentrate sulle donne nello spazio pubblico, sull’autonomia e l’emancipazione, le molestie sessuali e la violenza, le icone femminili.

Tutto, in un contorno di seminari, workshop, confronti pubblici, proiezioni e musica a tema in cui non manca anche la partecipazione maschile.

Tantissime le opere realizzate, come quella dell’artista venticinquenne quatariota Noor Qussini, che rappresenta una giovane donna imbavagliata, seduta con le braccia legate in basso. Il graffito è intitolato: No, perché sei una ragazza:

“Ogni donna araba si è sentita dire questa frase – racconta Noor in una serie di interviste realizzate dalla blogger e giornalista Khadija Mahrouk – anzi sono sicura che succede anche in altre culture, perché, al contrario di quello che si crede, l’umiliazione delle donne non riguarda solo il popolo arabo”.

All’inizio come riempimento aveva scelto dei colori spenti, vista la gravità del tema, ma poi ha cambiato idea:  “Perché ho speranza – dice – e voglio che questa giovane donna si liberi da tutte le sue paure, rompa la bolla in cui è racchiusa e viva la sua vita al massimo”.

Fortemente simbolico è il graffito dell’artista Mariam Haji, Bahrein, un disegno realistico che mostra lei stessa in lotta contro un enorme leone. L’intento è quello di esprimere la  forza e insieme la vulnerabilità e l’umanità di ogni donna nella battaglia individuale e spirituale contro il male.

La particolarità è che ha scelto di dipingerla su una base di carta: “Anche la carta è un materiale fragile – dice – dopo sei mesi tornerò a vedere quale parte sarà stata danneggiata dalle condizioni atmosferiche. E spero sia il leone”.

E questi non sono che alcuni esempi. Women on Walls, o Sit El 7eta (in arabo), è infatti un progetto nato al Cairo nel 2012 con lo scopo di utilizzare i graffiti e l’unicità della street art in un progetto che potesse unire questo tipo di creatività ad una campagna nazionale sull’emancipazione e i diritti delle donne.

L’idea è nata dalla giornalista svedese Mia Grondahl insieme all’organizzatrice di eventi culturali Angie Balata, a partire dal libro della stessa Grondhal pubblicato nel 2013 e intitolato “I graffiti della Rivoluzione”.

Le due ragazze ad un certo punto si sono rese conto che, sulle circa 17.000 fotografie di graffiti raccolte per il libro, solo 250-300 avevano per tema argomenti correlati alle donne. Ma davvero c’era così poco da dire dalle donne e sulle donne in questo senso?

Così, chiamando a raccolta le artiste e gli artisti più validi e  motivati, hanno avviato il progetto che in questi anni è cresciuto, fino a diventare una campagna di livello nazionale, che è riuscita a coinvolgere tutta la regione mediorientale con numerosi eventi e sottoeventi nell’arco di tutto l’anno. 

“Stiamo usando l’arte per discutere uno dei temi più importanti in Egitto e nel mondo arabo – raccontano nella presentazione del progetto – e che riguarda molte questioni, tra cui la politica, il sociale, la cultura e l’economia”. 

 

MOLESTIE E VIOLENZA: LE ARTISTE SI RACCONTANO

Nel piccolo documentario che vi proponiamo qui sotto, girato al Cairo nel febbraio 2014, le artiste Khadiga El Ghawas, Enas Awad, Salma El Gamal, Radua Radz Fouda, Nour Shokry e tante altre affrontano uno degli argomenti tutt’oggi più scottanti in Egitto, ovvero le molestie sessuali.

“L’occhio che ho disegnato rappresenta l’occhio che giudica” racconta Khadiga, mentre il graffito di Enas che raffigura una donna col viso mezzo coperto vuole essere “un richiamo all’uguaglianza tra uomo e donna, che in questo momento non c’è”. Anche Salma ha disegnato degli occhi, che però in questo caso hanno una valenza positiva: “Dicono ‘Smettila di fissarmi perché ti posso vedere, e non sono così debole‘”.

Indimenticabile è poi l’enorme graffito disegnato l’anno scorso da Mira Shihadeh, intitolato “Circle of Hell”, il Cerchio dell’Inferno, che potete vedere qui. “Nel secondo anniversario della rivoluzione egiziana, il 25 gennaio 2013 – si legge nella presentazione – una donna è stata chiusa in un cerchio da un centinaio di uomini in piazza Tahrir e brutalmente violentata con un coltello. Nessuno – anche se la piazza era pieno di gente – ha visto e sentito quello che è successo. La donna era intrappolato in un cerchio infernale”.

All’esterno, di fronte a tanti testimoni che pure non l’hanno aiutata. Ecco perchè il muro, come veicolo di denunce e rivendicazioni, assume un significato fondamentale: “Perché proprio la strada è, si può dire, la scena del crimine – spiega una delle ragazze nel documentario – Dobbiamo parlare alla gente dove ci può vedere e sentire, e dove questi incidenti accadono”.

 

Per vedere la ricca gallery di graffiti aggiornata vai al profilo Facebook di WoW.

 

October 26, 2014di: Anna ToroEgitto,Giordania,Video: 

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