Delle dichiarazioni programmatiche e dell’adozione di strumenti comunitari finalizzati alla loro applicazione non restano che un numero imprecisato, ma altissimo, di dispersi e di annegati nel mare del cinismo mediterraneo.
di Andrea Camboni Aliud est dicere, aliud est facere. Il concetto non potrebbe essere espresso in maniera più semplice. Delle dichiarazioni programmatiche dei paesi europei e dell’adozione di strumenti comunitari finalizzati alla loro applicazione non restano che un numero imprecisato, ma altissimo, di dispersi e di annegati nel mare del cinismo mediterraneo. Il 9 aprile scorso, al termine della Conferenza dei paesi del Mediterraneo Occidentale (Cimo), i dieci ministri dell’Interno si impegnavano sottoscrivendo la Dichiarazione di Algeri a “evitare ogni forma di violazione alla dignità delle persone fermate in situazione irregolare che sono destinatarie di un provvedimento di riammissione”. Purtroppo, in Italia, le politiche in materia di immigrazione rendono sempre più difficile la richiesta di asilo per i migranti che fuggono da persecuzioni, povertà e guerre in cerca di protezione. La conclusione del programma nazionale “Emergenza Nord Africa”, che ha lasciato i profughi nordafricani senza alcun tipo di assistenza, ha reso ancora più evidente l’incapacità o l’inerzia italiana di predisporre un’accoglienza di qualità che ricomprendesse concrete prospettive di integrazione. Secondo il rapporto “Livelli e tendenze dell’asilo nei paesi industrializzati 2012′ pubblicato a fine marzo dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), nel 2012 in Italia gli arrivi dei richiedenti asilo (15.700) hanno subito una riduzione del 54% rispetto ai numeri del 2011 (37mila). Un calo dovuto principalmente alla riduzione degli arrivi via mare. Un dato, quello italiano, che ha contribuito ad abbassare il numero di domande di asilo in Europa meridionale del 27% (48.600 domande), il valore più basso dal 2006, mentre aumenta dell’8% il numero di domande d’asilo presentate durante il 2012 nei paesi industrializzati. Industrializzati ma non così civili da promuove l’introduzione della procedura di ingresso protetto nella normativa dell’Unione Europea, che consentirebbe di avanzare una richiesta d’asilo presso le ambasciate e i consolati degli stati membri dell’Ue in paesi terzi, erodendo in questo modo importanti fette di mercato ai trafficanti di uomini che gestiscono i trasferimenti dei migranti dall’Italia al Nord Europa. Ogni paese potrebbe quindi rilasciare visti di ingresso per motivi umanitari, ma l’assenza di linee guida annulla automaticamente l’efficacia della normativa europea, determinando l’irregolarità e l’illegalità di un fenomeno che andrebbe, al contrario, normalizzato. Nonostante nel febbraio 2012 la Corte Europea di Strasburgo abbia condannato l’Italia per la pratica dei respingimenti verso la Libia, il controllo delle frontiere e i pattugliamenti in mare continuano a rappresentano i soli paradigmi strategici del fenomeno migratorio. Perché dei nuovi accordi che l’esecutivo italiano ha stipulato con il governo libico di transizione risulta difficile parlare visto l’alveo di segretezza in cui sono maturati e la successiva assenza di pubblicità sul loro contenuto. Fatto sta che dalla Libia, nel corso del 2012, è stata registrata una sensibile flessione degli arrivi dalle coste libiche. Nell’ultimo periodo, invece, è stata registrata una contrazione dei flussi migratori dalla Tunisia e un incremento di quelli provenienti dall’Egitto. Il flusso più consistente di migranti continua comunque a seguire la direttrice libica, via di transito preferenziale per i migranti provenienti da Eritrea, Tunisia, Egitto e Marocco e area di destinazione per quelli provenienti da Nigeria, Ghana, Guinea, Sudan, Somalia e Mali. Aumenta decisamente il numero delle vittime del traffico di esseri umani: per la Commissione europea sono 23.600 le presunte vittime della tratta in Europa identificate tra il 2008 e il 2010. Numeri che sono anche la conseguenza della mancata adozione da parte di tutti i 27 membri della normativa approvata nel 2011 in sede comunitaria. Solamente sei paesi (Finlandia, Ungheria, Lettonia, Polonia, Repubblica Ceca e Svezia) hanno recepito la Direttiva anti-tratta 2011/36/UE, nonostante il termine limite per la sua adozione sia scaduto lo scorso 6 aprile. Il 10 aprile, invece, il Consiglio dei ministri ha votato il documento di Economia e Finanza 2014-2017, che prevede la programmazione di un incremento graduale delle risorse destinate alla cooperazione internazionale: nel 2017 il rapporto aiuti/Pil raggiungerà lo 0,30, ancora lontano dall’impegno dello 0,7 in sede europea. In questo modo l’Italia potrà riavviare le iniziative di cooperazione sui temi della sicurezza, dell’immigrazione e delle opportunità economiche delle aziende italiane.
Ma l’attuale trend delle nostre politiche sul tema delle migrazioni non concede spazi a scenari alternativi rispetto a una gestione del fenomeno che ruoti attorno all’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Ue (Frontex), implementando con le nuove risorse attribuite dalla legge di Stabilità 2013 il coordinamento dei pattugliamenti aerei, marittimi e terrestri dei paesi Ue e la stipulazione di accordi per la riammissione dei migranti extracomunitari respinti.
April 16, 2013
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