Iraq. Libri, non bombe

Imparare a costruire la pace a poche miglia da Mosul, controllata dallo Stato islamico (Daesh). Succede nella scuola superiore Dost, dove gli studenti hanno preso in considerazione un approccio diverso da tenere di fronte a una crisi che ha spinto l’Iraq fino a questo punto.

Al Qosh, Iraq. Ad 8 miglia dalla scuola superiore Dost, in questa cittadina di oltre 3 mila anni, i peshmerga (esercito curdo, ndr) controllano la linea del fronte contro lo Stato islamico (Daesh) che controlla Mosul, 20 miglia più a sud. All’interno della scuola 18 studenti hanno preso in considerazione un approccio diverso da tenere di fronte a una crisi che ha spinto l’Iraq fino a questo punto. Questi giovani iracheni hanno parlato di idee e capacità necessarie per costruire la pace.

“L’ho trovato speciale, molto interessante”, racconta Nawras, 17 anni, a Quartz, “perché abbiamo imparato cose che non ci sono mai state insegnate prima in tutta la nostra vita. La pace é la cosa più importante che si ha nella vita. Senza, non possiamo pretendere di avere i musulmani come fratelli”.

Nawras ha riconosciuto come fosse “molto strano” discutere su come costruire la pace in un momento in cui la sua comunità cristiana si trova così vicino ad un territorio sotto il controllo di Daesh dallo scorso agosto. Ma, ha aggiunto, nonostante le loro condizioni sulla sicurezza siano estremamente fragili, lui e i suoi compagni volevano saperne di più dell’educazione alla pace.

La maggior parte dell’attenzione internazionale – e la parte del leone di questa attenzione la fa l’uso delle risorse internazionali – é attualmente dedicata alla campagna militare anti-Daesh. Al riguardo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha recentemente speso, solo nella giornata del 15 marzo, 1,8 miliardi di dollari, e continuerà a spendere circa 8,5 milioni al giorno.

La Camera dei Rappresentanti negli Usa sta inoltre discutendo anche la possibilità di inviare armi direttamente ai curdo-iracheni. Al-Monitor ha riportato, lo scorso 24 marzo, che il presidente del comitato per gli affari esteri, Ed Royce, deputato repubblicano della California, ha fatto circolare una lettera in cui chiede “ai colleghi di ambo le parti di firmare un disegno di legge che permetterà a Obama di bypassare Baghdad” in modo da fornire supporto militare direttamente ai curdi.

Una simile mossa, comunque, si potrebbe rivelare controproducente, e continuerà a togliere risorse dove queste sono più richieste: la scuola.

Se gli Stati Uniti e i suoi alleati sono seriamente intenzionati a sconfiggere la minaccia che rappresenta Daesh, il Congresso dovrebbe iniziare a dare la priorità a una migliore e più accessibile educazione – in particolare all’educazione alla pace – per i milioni di giovani che sono stati travolti da quest’ultima crisi; e prima ancora, per i milioni di giovani siriani segnati dalla guerra nel loro paese. Solo sviluppando le capacità di pensiero critico delle generazioni future i messaggi di intolleranza e la glorificazione della violenza promossi da Daesh potranno essere messi a tacere.

Le Nazioni Unite stimano che 754mila dei circa 2,6 milioni di sfollati interni sono bambini in età scolastica, dai 6 ai 17 anni, e che il 68% di loro non sta andando a scuola. Altri 246mila rifugiati dalla Siria sono giunti in Iraq, la quasi totalità nella regione curda, e approssimativamente circa il 12% di loro ha un’età compresa tra i 12 e i 17 anni. Ad oggi solo 3 su 9 campi per rifugiati hanno al loro interno delle scuole superiori, e solo il 3% dei giovani rifugiati hanno completato la scuola primaria e ora stanno frequentando le superiori.

Stefan, giovane iracheno di 21 anni sfollato dalla sua casa a 30 chilometri a nord-est di Mosul, ha trovato rifugio insieme ad altre 200 persone in un centro della comunità caldea a Dohuk. Recentemente ha raccontato a Quartz che i giovani non hanno “scuole, né libri, nulla”. E’ preoccupato perché “tra qualche anno qui ci sarà molta, troppa ignoranza”.

Una popolazione giovane e ineducata é esattamente l’opposto di ciò di cui l’Iraq e i paesi vicini hanno bisogno. Se le mie conversazioni avute con giovani sfollati iracheni nella mia ultima visita di due settimane nella regione possono rappresentare un indicatore, i giovani iracheni cominciano ad esserne d’accordo.

Nonostante le enormi mancanze a cui stanno facendo fronte, e le immagini di Daesh e le forze ad esso opposte costantemente proiettate in tv, questi ragazzi stanno realizzando che gli interventi militari e umanitari da soli non servono per soddisfare i loro bisogni. Vogliono più educazione, e un’educazione che sia costruita attorno alla pace nello specifico.

Lo scorso sabato sera 25 giovani sono entrati nell’ufficio di un’organizzazione umanitaria ezida per chiedere di ricevere delle lezioni di educazione alla pace da parte del Center for Peace and Conflict Resolution Studies dell’Università di Dohuk. Sostenuto economicamente dal Dipartimento di Stato USA, da gennaio in poi il Centro ha organizzato seminari e incontri di tre giorni in 35 scuole medie e superiori nel Kurdistan iracheno. Presidi e studenti in ogni scuola ne chiedono di più, ma un team di sole 12 persone non é sufficiente.

Basim, studente ventiduenne ezida del Dipartimento di Odontoiatria all’interno della stessa università mi ha mandato una mail per chiedermi come potesse partecipare ad uno di questi incontri. Insieme alla sua famiglia é fuggito dal suo villagio nell’area di Sinjar lo scorso agosto in seguito all’arrivo di Daesh. Mi ha raccontato di suo zio e sua nonna, rapiti e di cui non ha più avuto notizie.

“Come si può essere pacifici con persone come i Daesh?”, mi ha chiesto poi quando ci siamo incontrati. “Come é possibile non cercare vendetta? Per tutta la mia vita non ho mai desiderato vendicarmi. Ma ora questi hanno rapito, ucciso, sai cosa stanno facendo alle donne ezide… Non voglio avere un’anima nera. Però ora appena vedo qualcuno con la barba lunga e nera lo odio subito. Non mi piace questa reazione. Non tutti quelli che portano la barba sono come Daesh!”

Non ci dovrebbe essere niente di più importante che incoraggiare la gioventù irachena nello spezzare il ciclo di violenze che ha diviso il loro paese e la regione. Capire il fenomeno della violenza, esplorare approcci nonviolenti al conflitto, e imparare a impegnarsi in modo costruttivo con membri di diversi gruppi renderebbe i giovani molto meno suscettibili ai messaggi violenti di Daesh.

Riorientare la lotta contro Daesh verso un’educazione alla pace può sembrare ingenuo e illogico a chiunque crede nell’onnipotente potere dell’intervento militare. Ma in questo nostro mondo dipendente dai risultati é utile chiedersi dove di buono ci ha portati un approccio militare rispetto agli estremismi adottato fino ad oggi. Se non si investe seriamente in un tipo di educazione che i giovani in Iraq, Siria e nei paesi circostanti vogliono e di cui hanno bisogno, non perderemo solo battaglie. Ma avremmo perso anche la guerra. Di nuovo.

*L’articolo é stato pubblicato il 7 aprile su Quartz. Ringraziamo Thomas Hill per la gentile concessione. La traduzione é a cura di Stefano Nanni.

*Thomas Hill, professore assistente alla School of Professional Studies Center for Global Affairs della New York University, responsabile del Center for Peace and Conflict Resolution di Dohuk.

April 12, 2015di: Thomas Hill*Iraq,Articoli Correlati:

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