L’aspettativa era altissima, anche solo per i nomi implicati in questo progetto musicale e riuniti sotto il nome di Alif.
Con la pubblicazione del primo singolo, avvenuta quest’estate, si era già capito di essere di fronte a qualcosa di speciale. L’uscita dell’album vero e proprio, il 4 settembre, ha riaffermato – e se possibile moltiplicato – l’entusiasmo, oltre che ripagato i fan di un’attesa che dura dal 2012.
Il disco si intitola Aynama-Rtama (Ovunque cada) ed è infatti l’album di debutto degli Alif, una super band composta da Tamer Abu Ghazaleh, autore di spicco della musica sperimentale araba, alla voce e al bouzuki, il guru dell’elettronica Maurice Louca alle tastiere e ai synth, l’oudista siriano-iracheno Khyam Allami, il bassista libanese Bashar Farran, e il batterista-percussionista Khaled Yassine.
Registrato tra Beirut e Il Cairo nel 2014, si tratta di un lavoro interamente autoprodotto e uscito infine per l’etichetta Nawa Recordings, fondata dallo stesso Allami.
A sorprendere di quest’album sono soprattutto le sensazioni che suscita: sembra infatti di trovarsi di fronte a “qualcosa di familiare eppure di totalmente nuovo”.
La musica e la tradizione araba sono certo ben presenti e riflettono il puzzle geografico dei componenti della band (Palestina, Egitto, Libano, Iraq), eppure queste influenze non vengono fuori nel modo in cui siamo abituati: è difficile trovare, anche tra le band del panorama underground arabo che ormai abbiamo visto spopolare a oriente e occidente, qualcosa di simile agli Alif.
“Dopotutto il nostro gruppo non ha nulla a che fare con le nostre nazionalità, facciamo quello che abbiamo in testa e che vogliamo suonare” aveva ribadito Ghazaleh in un’intervista video condotta dalla musicista Mariam Saleh per MedrarTV, prima dell’uscita dell’album.
E in effetti sono soprattutto le idee a dominare, a partire dal primo pezzo “Holako (Hulagu)“, scelto a ragione come apripista: un tappeto di percussioni e tastiere costruito su un riff di oud ipnotico e blueseggiante, sfondo perfetto per la voce emozionale di Gazaleh, in un crescendo di intensità che si fa quasi dissonante, per poi bloccarsi all’improvviso nel finale.
Il testo riprende una poesia del poeta iracheno Sargon Boulus (1944-2007), trasformata in canzone per la prima volta. Non sarà l’unica presa in prestito dalla band in quest’album: sempre di Boulous è il testo di “Al-Juththa” (Il cadavere), mentre le parole di “Dars Min Kama Sutra” (A lezione di Kama Sutra) e di “Al-Khutba Al-Akhira” (L’ultima declamazione) sono dell’amatissimo poeta palestinese Mahmoud Darwish; infine c’è “I’tiraf” (Confessione), poesia di Faiha Abdulhadi, figlia della stimata femminista palestinese Issam Abdulhadi.
“All’inizio abbiamo scelto di usare le poesie per problemi di tempo”, racconta la band nella già citata intervista. “Abbiamo scelto poesie contemporanee che non sono tra le più note. Così, abbiamo deciso di guardarci dentro: utilizzare l’arabo classico era davvero importante per noi”.
Gli altri testi sono tutti scritti da Ghazaleh, che condivide con i suoi compagni la volontà di non farsi imbrigliare da nessuna scelta o genere precostituito: libertà e sperimentazione sono da sempre le sue parole d’ordine.
In questo senso il pubblico viene quasi sfidato, ma alla fine a vincere è la qualità musicale dei musicisti e la forza della loro fantasia e creatività. “Aynama-Rtama” scorre intenso e imprevedibile, e ogni canzone è un piccolo gioiello da assaporare.
Dalla bellezza malinconica di “Dars Min Kama Sutra” al synth ostinato e intrigante di Al-Juththa, dalle già citate “I’tiraf” e “Al-Khutba Al-Akhira”, al groove ipnotico di percussioni, voce e synth in “Yalla Tnam” (Lullaby), che segue il percorso notturno di una mente ancora vigile, per esplodere in un solo colorato ed elettronico di bouzouki, oud e basso al raggiungimento dell’agognato sonno. Per finire con la raffinata e rockeggiante “Watti Es-Sawt” e la trascinante e surreale “Eish Jabkum Hon?”.
Ed è un peccato perché se ne vorrebbe ancora. Allora non resta che ripartire da capo, in attesa del tour dal vivo dove questi talentuosi musicisti avranno senz’altro in serbo numerose sorprese.
Dopotutto ognuno di loro da solo era già garanzia di qualità. Nato al Cairo da una famiglia di profughi palestinesi, Tamer Abu Ghazaleh è un musicista poliedrico e vulcanico, che con la sua aria burlesque e irriverente, e la sua musica intelligente, impegnata e sperimentale, è destinato a lasciare un segno importantissimo nella musica araba underground contemporanea.
Maurice Louca, nato anche lui al Cairo, è acclamatissimo nei club dance e rock di tutto il mondo e ha partecipato a numerosi progetti, componendo per il teatro, il cinema e le arti visive.
Khyam Allami, siriano di origini irachene, è un esperto di musica tradizionale e virtuoso dell’oud. Trasferitosi a Londra nel 1990, ha poi viaggiato per tutto il Medio Oriente per incontrare e studiare con i più grandi maestri della tradizione.
Il bassista Bashar Farran e il batterista-percussionista Khaled Yassine, entrambi libanesi ed entrambi musicisti dalle numerose collaborazioni importanti, completano il quadro di questa band tutta da scoprire anche nei suoi trascorsi e progetti paralleli.
A impreziosire Aynama-Rtama, infine, l’illustrazione di copertina opera del pittore siro-libanese Semaan Khawam, corredato dai caratteri calligrafici originali della designer egiziana Salma Shamel, mentre i testi e le poesie in arabo sono accompagnati dalle traduzioni in inglese di Nariman Youssef.
Clicca qui per ascoltare il disco degli Alif, “Aynama-Rtama”.
September 20, 2015di: Anna Toro Egitto,Iraq,Libano,Palestina,Siria,