Tra le 10mila e le 20mila persone hanno manifestato il 24 luglio al check point di Qalandia, nei Territori Occupati, contro il massacro in corso a Gaza. Scene che dimostrano come il problema non sia l’ennesima “guerra”, ma un’Occupazione militare che prosegue da anni.
La foto* qui sopra è stata scattata intorno alle 22 di ieri sera, giovedì 24 luglio. Ritrae una scena di quella che è stata già definita “la più grande protesta in Cisgiordania degli ultimi anni”.
Siamo nei pressi del checkpoint di Qalandya, che separa Ramallah e Gerusalemme, e che costringe migliaia e migliaia di palestinesi ogni giorno a muoversi attraverso un percorso alternativo molto più lungo, pena l’attesa di ore ed ore ai controlli dei soldati israeliani.
Ieri sera erano in circa 20mila i palestinesi che sono scesi in piazza con l’intento di attraversarlo, il checkpoint.
E raggiungere Gerusalemme per la preghiera del venerdì – oggi, non un venerdì qualunque essendo l’ultimo che precede la fine del Ramadan.
Dopo giorni di organizzazioni, riunioni, discussioni sui social network sulla necessità di un’azione forte in risposta alla durissima offensiva israeliana in corso a Gaza (oltre 800 i morti, secondo gli ultimi aggiornamenti), ieri sera gli shabab si sono ritrovati all’entrata del campo profughi di Al Amari per poi proseguire verso Qalandya ed arrivare fino a Gerusalemme Est.
Lo slogan è “la marcia dei 48.000”, trasformato nell’hashtag #48kmarch.
Il significato, inevitabile, riguarda il 1948, anno della Nakba (Catastrofe) e dell’indipendenza di Israele, e chiama a raccolta il più alto numero possibile di persone: 48mila.
Non raggiunto per poco, a quanto pare, ma che serviva anche a mostrare un segno di gratitudine nei confronti delle migliaia di persone che nel mondo hanno manifestato ieri in solidarietà con Gaza e i palestinesi (qui alcune foto della dimostrazione di Roma).
Sulla pagina Facebook del gruppo مسيرة48ألف, si legge (dall’inglese):
Non abbiamo mai accettato di essere spettatori impassibili della storia, o soltanto vittime. Mentre decine di migliaia affollano le strade in tutto il mondo in solidarietà con il nostro popolo, le nostre non possono rimanere vuote. Facciamo nostra l’unità nazionale, così come la determinazione a perseguire una lotta popolare finché la libertà della nostra terra e del nostro popolo non prevarrà.
Marceremo sfidando al checkpoint al fine di ritrovarci in una Gerusalemme liberata, come una nazione, un popolo, e un sogno, uniti dal fine comune di porre fine all’Occupazione. Cambiamo il nostro destino!
Inevitabili gli scontri con l’esercito, pietre, molotov contro proiettili, lacrimogeni, bombe a ultrasuoni. Almeno due i morti, oltre 100 i feriti. Scontri e disordini ci sono stati anche a Betlemme, Tulkarem e Nablus.
Su Twitter e Facebook si alternano immagini buie e scure, illuminate soltanto da fuochi e fumi. C’è chi afferma che la Terza Intifada è iniziata, addirittura ad averla dichiarata sarebbe l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).
Amira Hass, giornalista del quotidiano Haaretz, riporta le voci dei feriti dall’ospedale generale di Ramallah, intorno all’una di notte:“Queste sono scene da Prima Intifada”.
Le conferme tuttavia mancano. Non c’è nessun comunicato ufficiale da parte dell’ANP, le cui forze armate sono state anch’esse al centro di scontri con i manifestanti, mentre d’altro canto Haaretz e numerose altre fonti riportano come le brigate di Al-Aqsa (il braccio armato di Fatah), abbiano rivendicato l’apertura del fuoco contro i soldati al checkpoint di Qalandya.
*La foto è di Rami de Ramallah.
July 25, 2014di: Stefano Nanni Israele,Palestina,Articoli Correlati:
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