Tutto esaurito nelle 12 città italiane che, il 13 marzo scorso, hanno dedicato alla memoria di Mahmoud Darwish i reading pubblici delle sue opere. Un abbraccio collettivo in cui hanno stretto la memoria del poeta, sventando per una notte il rischio dell’oblio.
“Abbiamo un paese di parole. Parla, parla, per conoscere la fine di questo viaggio”, scriveva Mahmoud Darwish in una delle sue poesie più struggenti, “Viaggiamo come gli altri”*.
Un paese di parole, cancellato dalle mappe della storia, dimenticato dal tempo, ma conservato nella memoria e nei versi dei suoi poeti.
E sono state quelle parole le protagoniste, lo scorso 13 marzo, di un evento senza precedenti nel nostro, di paese.
Quello stesso che ha mandato al macero le traduzioni italiane delle opere di Darwish, e in cui il suo lavoro resta, per lo più, ignorato e sconosciuto, nonostante rappresenti un patrimonio collettivo, non solo arabo, che dovrebbe essere valorizzato.
Perché quando un libro viene gettato, o una poesia dimenticata, “è un pezzetto di mondo che scompare”, come ricorda Chiara Comito, animatrice del blog Editoria Araba e coordinatrice dell’iniziativa “Poesie contro l’oblio”, un reading collettivo delle poesie di Darwish, organizzato in occasione dell’anniversario del suo compleanno, che ha visto partecipare 12 città italiane alla stessa iniziativa, nello stesso momento.
Caffè letterari, librerie e circoli culturali si sono aperti all’opera del maggiore poeta palestinese, esponente centrale della letteratura araba ma anche internazionale. Perché le sue, di parole, parlavano a tutti. E continuano a farlo.
Dai piccoli palchi organizzati per l’Italia – tra Roma e Napoli, Genova e Firenze, Messina e Macerata – docenti, artisti, attivisti e appassionati di poesia si sono alternati, scandendo ad alta voce in arabo e italiano i suoi versi, capaci di raccontare la Palestina che è stata, così come di indagare nel profondo dell’animo umano.
E che la gente avesse voglia di sentirle, le parole di Darwish, lo dimostra il successo dell’iniziativa: la pagina Facebook ha racconto quasi 1000 fan nel giro di pochi giorni. E le librerie, il 13 marzo scorso, erano davvero gremite.
Come la Griot, a Roma, in cui i posti a sedere erano esauriti già prima di cominciare, e dove alle letture delle poesie si è alternato un viaggio nella storia e nella vita di Darwish, oltre alle testimonianze dirette di chi l’ha conosciuto, sullo sfondo di una mostra fotografica sulla Nakba ricostruita grazie agli archivi storici dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che da anni si occupa di fornire assistenza sanitaria e scolastica alle generazioni di profughi e rifugiati costretti a crescere e vivere fuori dai confini della propria terra.
Pieno anche il Ristorante arabo Amir di Napoli, dove l’ospite d’onore è stato l’attore e regista palestinese Mohammad Bakri – protagonista il 9 marzo scorso insieme a Moni Ovadia di un altro reading, organizzato da Assopace Palestina al Teatro Valle, parte di un’intera settimana di iniziative dedicate alla cultura palestinese – così come la Fondazione Querini Stampalia di Venezia, per un’iniziativa cui ha collaborato anche l’Università Ca’ Foscari.
E tantissimi i presenti anche a Bari e Cagliari, dove alle letture si sono alternati momenti musicali e laboratori di lingua araba.
Un “tutto esaurito” che dimostra passione e amore verso le espressioni artistiche e culturali del popolo palestinese, troppo spesso ridotto a un cliché o imbrigliato nelle catene di una politicizzazione forzata, che finisce per gettare nell’oblio la sua poetica, strumento di resistenza e di espressione di una vitalità unica nel suo genere.
Che insegna la vita, la tenacia, l’attaccamento alla terra e alle radici anche – e soprattutto – con la forza di un verso.
Un grande abbraccio quello in cui docenti, attivisti, letterati e semplici lettori che hanno prestato la propria voce hanno stretto la memoria di Mahmoud Darwish. Sventando, almeno per una sera, il rischio dell’oblio.
Viaggiamo come gli altri
Viaggiamo come gli altri, ma noi torniamo verso il nulla…
come se il viaggio fosse una strada di nubi.
Sepolti i nostri cari tra rami d’albero, all’ombra delle nuvole.
Alle donne dicemmo: partorite cento anni per completare questo
viaggio di un’ora verso un paese a un metro dall’impossibile.
Partiamo nella cassa del flauto, dormiamo nelle tende dei profeti
emergiamo dalle parole degli zingari,
misuriamo la nostra esistenza con il becco di un’upupa
e cantiamo per dimenticare la distanza,
laviamo la luce della luna.
La tua è una lunga strada,
sogna sette donne per portare in spalla questa lunga strada,
scuoti le palme per sapere i nomi
e da quale madre nascerà il figlio di Ğalāl.
Il nostro è un paese di parole.
Parla, parla, perché io appoggi il cammino su una pietra vera.
Il nostro è un paese di parole.
Parla, parla, per conoscere la fine di questo viaggio.
March 16, 2014di: Cecilia Dalla Negra Palestina,