di Gioia Benedetti
L’iniziativa dal titolo “Dalla parte dei palestinesi: il ritorno, un diritto, ”che si è tenuta il 27 febbraio a Roma ha visto, tra gli altri, la partecipazione di Kassem Al Aina direttore della storica ong palestinese Beit Atfal Assomud.
Gli chiedo cosa sia cambiato dal nostro ultimo incontro in Libano lo scorso giugno: se il riconoscimento dello Stato palestinese da parte dell’UNESCO abbia avuto delle conseguenze.
Kassem, in un primo slancio, afferma che nulla è cambiato per i rifugiati in Libano, ma aggiunge che la legittimazione permetterà ai palestinesi di chiedere all’UNRWA di insegnare nelle scuole la storia e la geografia della Palestina.
La questione della memoria e della narrazione è, ad oggi, un tema centrale per l’identificazione dell’identità palestinese che, privata dell’ufficialità della Storia, continua a vivere grazie al racconto orale.
Se il 1948 da un lato viene ricordato come l’anno della ‘Guerra di Indipendenza’ o ‘Guerra di Liberazione’, dall’altro viene celebrato come l’anno della ‘Nakba’.
La storia e la geografia come ci ricorda Kassem Aina sono fondamentali soprattutto per le giovani generazioni: il ricordo è un diritto che gli deve essere concesso così come il diritto al ritorno.
Il poeta palestinese Mohammed Darwish scriveva che “la parte geografica della storia è più forte della parte storica della geografia. Non avendo potuto trovare il mio posto sulla terra, ho tentato di trovarlo nella Storia. E la Storia non può ridursi a un risarcimento per la geografia perduta. È anche un punto di osservazione delle ombre di sé e dell’Altro”.
Kassem ritiene che la responsabilità delle condizioni dei palestinesi sia della comunità internazionale, delle Nazioni Unite che, creando un organismo ad hoc per gestire le condizioni dei rifugiati, ne hanno scritto un destino da rifugiati.
La nostra conversazione si sposta necessariamente sulla Siria dove attualmente risiedono circa 500 mila palestinesi. Kassem Aina si dice preoccupato per ciò che sta accadendo, e palesa l’ipotesi di un ‘nuovo Iraq’.
Quando domando a Kassem della ‘rivoluzione siriana’, m’interrompe tempestivamente affermando che il termine rivoluzione è tutt’altro che appropriato: la questione sembra avere una portata molto più ampia, e la inserisce in un processo di ricerca degli equilibri profondamente connessi allo scenario della Guerra Fredda.
Il direttore di Beit Atfal prosegue affermando che la caduta di Mubarak in Egitto e di Ben Ali in Tunisia hanno fatto emergere la necessità di ‘rimodellare gli equilibri di potere’.
Lo interrogo su chi sia allora il ‘burattinaio’ della “rivoluzione siriana”, e mi risponde che solamente negli ultimi giorni in Siria sono state introdotte 750 tonnellate di armi, sovvenzionate da Arabia Saudita, Qatar e Israele.
Mi spiega che la Siria è stata “punita” a causa della sua posizione: sta pagando il prezzo per il suo supporto ad Hezbollah, la sua ospitalità ad Hamas ed altre fazioni palestinesi. Gli Israeliani pur di destabilizzare questo paese – dice – sarebbero pronti a cooperare con Al Qaeda.
February 29, 2012
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Israele,Libano,Palestina,Siria,Articoli Correlati:
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