di Andrea Camboni
Esiste un modo per i migranti di arrivare in Europa regolarmente come alternativa alla scelta di mettersi nelle mani dei trafficanti di uomini (il cui guadagno oscilla tra i 15 e i 20 mila euro a persona)?
Christine Weise: Perché esista un modo alternativo bisogna chiedere al futuro governo di cambiare le leggi sull’immigrazione. Non soltanto quelle che riguardano i rifugiati. È necessaria una riformulazione legislativa che riguardi la programmazione di una migrazione non necessariamente riconducibile a motivazioni politiche ma semplicemente diretta ad entrare in modo regolare nel paese alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita.
È troppo restrittiva la politica delle migrazioni che si occupa esclusivamente di chiudere le frontiere creando una fortezza senza favorire una migrazione regolare e regolamentata.
Il Consiglio italiano per i Rifugiati (Cir) ha rilanciato l’introduzione nella normativa dell’Ue sulla ‘procedura di ingresso protetto’, “che permetterebbe alle persone di presentare una richiesta d’asilo presso le ambasciate e i consolati degli Stati membri in paesi terzi”. Ma in Europa non c’è ancora troppa discrezionalità tra membri?
Christine Weise: Sussistono infatti problematiche molto importanti anche per quanto riguarda la legislazione europea. Basti pensare alla denuncia sui respingimenti dell’Italia nei confronti di bambini migranti non accompagnati e adulti richiedenti asilo in Grecia. Ci sono situazioni ancora molto diverse nei vari paesi europei in relazione all’accoglienza dei rifugiati e dei migranti in generale.
Mentre per quanto riguarda l’Italia chiedete in sostanza il superamento della legge Bossi-Fini. Però, se guardiamo le statistiche, il nostro paese riconosce mediamente il 40% delle richiesta di asilo, con punte fino al 50%. Cosa c’è da cambiare?
Christine Weise: La nostra richiesta principale è quella di superare la criminalizzazione del migrante ovvero il reato di ingresso clandestino nel territorio italiano. Una criminalizzazione automatica perché chiunque entri in maniera irregolare è costretto a subire tutta una serie di violazioni dei diritti umani.
Queste persone non hanno la possibilità di accedere ai servizi primari, sempre che non vogliano essere accusati di un reato. Mentre una limitazione della libertà di movimento di una persona deve sempre essere giustificata. Ovvero deve essere proporzionata al rischio che comporta. Non può rappresentare una misura tout court per chiunque violi le leggi sull’immigrazione.
Il 31 dicembre 2012, con un’ordinanza della protezione civile (n. 33 del 28 dicembre 2012), il governo ha chiuso lo stato di emergenza umanitaria in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa a seguito delle “primavere arabe”. Ora la palla passa in mano ai prefetti.
Carlotta Sami: La fase emergenziale si può considerare più che chiusa. Ora, determinate misure devono entrare in una fase ordinaria. Una migliore amministrazione dell’immigrazione sia nel momento di arrivo che nel momento successivo, quando le persone vivono nel nostro territorio necessitando del godimento di certi diritti, come l’ingresso nel mercato del lavoro.
Quindi, allo stato di emergenza, deve subentrare una gestione assolutamente ordinaria.
Modificando però la legislazione vigente…
Carlotta Sami: Si deve andare ad incidere sulla condizione in cui vivono i migranti. Perché i rifugiati nel nostro paese si trovano in una situazione molto peggiore rispetto ad altri paesi. Non sono adeguatamente sostenuti, vivono in una situazione di precarietà assoluta. E poi rimane il problema della condizione dei migranti centri di detenzione.
Ecco, sappiamo quanto può ricavare un trafficante da un migrante che vuole raggiungere il nostro paese. Ma quanto costa un migrante allo Stato italiano?
Carlotta Sami: Sinceramente questo dato non glielo so dare. Però le posso dire che quello che i lavoratori stranieri pagano, anche in termini di tasse, viene utilizzato per sostenere i migranti.
* L’intervista è stata realizzata a margine della presentazione della campagna “Ricordati che devi rispondere. L’Italia e i diritti umani”.
Lampedusa:Migranti tunisini a Lampedusa, 30 marzo 2011 ©Amnesty International
January 24, 2013
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