Nel primo mese del 2014 il dibattito sull’immigrazione è stato arricchito, piuttosto che da proposte pratiche, dalle ennesime opinioni e provocazioni che puntano alla “pancia” degli italiani.
L’intenzione di riformare la Bossi-Fini, avanzata in termini generici da Matteo Renzi, è passata in secondo piano dietro al discusso editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere del 13 gennaio o al discorso di Gianluca Buonanno alla Camera del 15 gennaio.
Quest’ultimo ha avuto un’eco tale da essere riportato da Al Jazeera come “discorso anti-immigrati”. Secondo la visione del deputato, gli italiani in difficoltà dovrebbero “entrare nelle Prefetture e dichiararsi rifugiati politici, così gli verrebbero dati vitto, alloggio e qualche soldino”.
Questa opinione sta incontrando molti consensi anche al di fuori del Parlamento. Le invettive contro lo Stato che “dà 30 euro al giorno agli stranieri, più le sigarette!” e non fa niente per noi italiani sono sempre più frequenti.
Ma l’idea che basti tingersi la faccia di nero per ricevere dalle istituzioni un aiuto più cospicuo e consistente è, oltre che riduttiva e misera, anche fuorviante, perché mescola in modo confuso la figura del migrante economico e quella del rifugiato politico.
Se nel primo caso la legge italiana sull’immigrazione può disciplinare quasi totalmente le modalità d’ingresso nel nostro paese, l’accoglienza dei rifugiati politici è regolata dalla convenzione di Ginevra del 1951.
La Convenzione, ratificata dall’Italia, disciplina lo status del rifugiato politico e lo definisce come quell’individuo che, “direttamente o indirettamente, è costretto ad abbandonare il proprio Paese d’origine per, appunto, rifugiarsi in un altro”.
Contrariamente all’immagine veicolata dai nostri media, l’UNHCR sottolinea come le persone che fuggono da un conflitto scelgano di restare nei paesi vicini nella speranza di poter tornare in patria più velocemente, non appena le condizioni generali si facciano più favorevoli. Ad esempio, a fronte delle 24.800 domande d’asilo da parte di cittadini siriani nei paesi industrializzati, se ne trovano oltre 1,1 milioni nei paesi confinanti.
Nel corso del 2012 in tutta l’Europa sono state presentate 355.500 domande, di cui la maggior parte in Germania, Francia e Svezia. In Italia invece, la cifra si è ridotta di più del doppio rispetto all’anno precedente.
L’Agenzia ONU per i Rifugiati sostiene che il motivo per cui questa diminuzione è così consistente sia la diminuzione degli arrivi via mare. Secondo i telegiornali nazionali, invece, gli sbarchi a Lampedusa non fanno che aumentare.
Un bombardamento di informazioni così contraddittorie non genera altro che confusione.
Un’altra peculiarità dello status di rifugiato inoltre, è che non si può essere espulsi dal paese di destinazione, mentre sappiamo bene che i migranti economici, i “clandestini”, gli irregolari possono essere espulsi eccome.
Da queste precisazioni si capisce quanto la distinzione tra migranti economici, richiedenti asilo e rifugiati politici sia netta. Ma si capisce anche come questa sia una distinzione osservata solamente dai tecnici del settore.
La provocazione di Buonanno, per quanto inutile, è tuttavia uno specchio fedele della gestione delle politiche dell’immigrazione in Italia e delle informazioni che passano dai telegiornali ai cittadini.
L’Italia non accoglie migranti e richiedenti asilo perché ha un’indole particolarmente filantropa, bensì perché deve attenersi a determinate convenzioni internazionali che ha firmato e recepito nel proprio ordinamento.
E, considerando che sui barconi che arrivano dal Nord Africa potrebbero esserci, fino a prova contraria, richiedenti asilo, i respingimenti non sono ammissibili.
Il criterio della convenienza non è applicabile, a mio parere, alle politiche migratorie e tanto meno a quelle d’asilo e quest’affermazione non ha niente a che vedere con la pietà o la carità cristiana.
L’Italia ha già sfruttato in modo eccellente il criterio della convenienza, chiudendo un occhio davanti allo sfruttamento di immigrati irregolari come lavoratori sottopagati mentre condannava questo agire nei discorsi ufficiali.
Il governo italiano parla di contrasto all’immigrazione clandestina da vent’anni ma le operazioni che sono state attuate finora hanno portato unicamente all’incremento di morti nel Mediterraneo. Le risorse sono state infatti concentrate su respingimenti, operazioni di polizia e creazioni di barriere piuttosto che sulla realizzazione di canali di arrivo legali e sicuri.
Per cui ben venga una riforma della Bossi-Fini, ma accompagnata da un’informazione seria e puntuale su chi sono le persone che arrivano in Italia e che status acquisiscono per il diritto internazionale. Forse, se gli italiani potessero disporre di un’informazione più capillare su questo argomento, non assisteremmo a polemiche grossolane basate sul gradimento di chi arriva nel nostro paese ma a un dibattito più strutturato.
Ben venga una riforma della Bossi-Fini, ma con la collaborazione dei migranti stessi e di chi con i migranti e i rifugiati ci lavora giorno per giorno e adesso è riunito sull’isola per scrivere la Carta di Lampedusa.
Finché le istituzioni e il terzo settore resteranno su due binari paralleli, sarà molto difficile vedere progressi concreti.
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February 17, 2014di: Caterina Mazzilli per Q Code Mag*Siria,Articoli Correlati:
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