La crescita palestinese dipende quasi esclusivamente dall’umore israeliano. I progressi dell’economia dei Territori non devono far pensare a una situazione di crescita che porta benessere: in due regioni i cui abitanti godono di un PIL procapite complessivo di circa 1.300 dollari (dati ICE), e in cui la percentuale di popolazione sotto la soglia di povertà raggiunge il 46% (dati CIA Factbook), risulta difficile parlare di sviluppo.
Le due principali entità territoriali che compongono i Territori Palestinesi, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, sono indubbiamente un caso unico al mondo. Anche volendo tralasciare le implicazioni politico-sociali, umanitarie e di diritto internazionale, è difficile tracciare un quadro unitario di due entità che di fatto restano separate, senza contare il soffocante embargo posto su Gaza. I dati economici riflettono perfettamente questa situazione.
Secondo l’analisi dell’ICE, a partire dal 2007 il PIL reale dei Territori ha visto una crescita costante anno per anno, fino a raggiungere nel 2010 la percentuale “cinese” del +9,3%. I settori trainanti sono pubblica amministrazione e difesa (14,2% del PIL), industria estrattiva, manifattura, elettricità e risorse idriche, commercio all’ingrosso e al dettaglio, edilizia. Tuttavia, scomponendo il PIL per le due zone dei Territori, si scopre che la crescita in Cisgiordania ha raggiunto il +9%, mentre nella Striscia di Gaza si è assistito a un sorprendente +15%. Il risultato positivo della Striscia sembra favorito dal parziale alleviamento del blocco su alcune tipologie di prodotti e di materiali, mentre la crescita della Cisgiordania è stata dopata dall’arrivo di aiuti umanitari, da alcune riforme economiche dell’Autorità Palestinese (AP) e dall’alleggerimento di determinate restrizioni agli spostamenti da parte del governo Israeliano.
Insomma, la crescita palestinese dipende quasi esclusivamente dall’umore israeliano. Inoltre, i progressi dell’economia dei Territori non devono far pensare a una situazione di crescita che porta benessere: in due regioni i cui abitanti godono di un PIL procapite complessivo di circa 1.300 dollari (dati ICE), e in cui la percentuale di popolazione sotto la soglia di povertà raggiunge il 46% (dati CIA Factbook), risulta difficile parlare di sviluppo.
Secondo i dati del Palestinian Central Bureau of Statistics (PCBS), a giugno 2011 la disoccupazione nei Territori raggiungeva il 18,7% della popolazione, con un picco del 25% nella Striscia e un più contenuto 15% della Cisgiordania. Sebbene il dato sia in calo rispetto al 2010, grazie soprattutto all’aumento del numero dei palestinesi occupati in Israele o negli insediamenti israeliani, i numeri rimangono preoccupanti.
C’è poi il blocco di Gaza, che crea una situazione estremamente critica dal punto di vista umanitario: in un territorio che si estende per un’area totale di circa 360 km quadrati, vivono un milione e mezzo di persone, per una densità di popolazione, la più alta al mondo, di più di 4 mila persone per km quadrato. Se per la FAO, il 61% degli abitanti non ha la sicurezza di riuscire a procacciarsi il cibo necessario alla sopravvivenza, l’UNRWA sostiene che l’80% degli abitanti di Gaza dipendono dagli aiuti umanitari per soddisfare il proprio fabbisogno alimentare.
Il maggior impedimento allo sviluppo rimane, in fin dei conti, l’impossibilità per i palestinesi di accedere alle terre e alle risorse che si trovano nelle aree controllate da Israele. Situazione aggravata dalle restrizioni ai flussi commerciali in entrata e in uscita e dall’elevato costo del capitale. La crescita del settore privato è quasi nulla, e l’Autorità palestinese è costretta a dipendere fortemente dagli aiuti esterni per soddisfare le proprie necessità di bilancio.
di: Giovanni AndrioloPalestina,
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