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Gas: braccio di ferro tra Yémen e Total

La compagnia petrolifera francese Total, dal 2009, è a capo del più grande investimento in idrocarburi mai realizzato in Yémen. Ma il nuovo governo contesta il prezzo del gas, negoziato dal suo predecessore. All’orizzonte si profila la crisi.

 

Il nuovo presidente dello Yemen, Abd Rabbo Mansour Hadi, ha bisogno di soldi. E’ a capo di un paese immerso in una transizione politica tumultuosa, quasi totalmente desertico e con una popolazione di 24 milioni di abitanti la cui demografia è molto più dinamica dell’economia.

Hadi è succeduto due anni fa ad Ali Abdallah Saleh, al potere per trentadue anni, a seguito di un movimento popolare dove i kalashnikov erano ben più numerosi degli striscioni di protesta, provocando un arretramento significativo del Pil (− 12,7%) ed una elevata inflazione.

La sola vera ricchezza del paese – al di fuori della pesca e dei suoi lavoratori che esporta generosamente – sono le riserve di idrocarburi.

I geologi dellla Iraq Petroleum Company sondavano il deserto già prima della seconda guerra mondiale, ma è soltanto dal 1986 che le società straniere sono arrivate ad investire nel paese, portando 20 anni più tardi la produzione del greggio a oltre 400.000 barili al giorno e fruttando al governo il 70% delle sue entrate di bilancio, se si escludono i sussidi reali accordati dalle monarchie del Golfo in base ai loro interessi politici e religiosi.

Il principale finanziatore, l’Arabia Saudita, non dimentica che il suo vicino turbolento controlla lo stretto di Bab El-Mandeb, punto di transito tra l’Oceano indiano e il Mediterraneo attraverso il Mar Rosso e il Canale di Suez. Intanto, francesi, americani, norvegesi, austriaci e canadesi sfruttano in condizioni difficili dei giacimenti che invecchiano e la cui produzione è in calo dal 2005.

 

Un progetto ambizioso

Da qui nasce l’ambizione di lanciare lo sfruttamento dei giacimenti meridionali di gas naturale liquefatto, nella regione di Mareb, dove avrebbe risieduto la regina di Saba citata nella Bibbia e nel Corano.

Nonostante questo prestigioso patrocinio, il progetto avviato nel 1993 fallisce in mancanza di acquirenti a cui vendere il gas. Il gruppo francese Total riprende l’idea e firma il 29 agosto 2005 l’accordo con il governo della Repubblica dello Yemen per ciò che sarà l’investimento più  importante mai realizzato nel paese.

Le negoziazioni portano Total – azionista di maggioranza con il 39,62% del capitale dello Yemen LNG – ad associarsi all’americana Hunt, a due imprese sud coreane e a due enti yemeniti. Vengono costruiti un gasdotto di 320 chilometri, una fabbrica di liquefazione di enormi dimensioni sulla costa a Balhaf, un nuovo porto e vengono predisposte quattro navi cisterna dai cantieri coreani ed indonesiani.

Il 9 novembre 2009, con un ritardo di un anno sulla pianificazione ed un miliardo di dollari di spese supplementari (4,5 miliardi di dollari in totale), il primo carico di gas lascia Balhaf.

Gli acquirenti sono tre: due società francesi, Suez LNG Trading e Total Gas and Power, più il Coreano Kogas che si spartiscono 6,5 milioni di tonnellate all’anno di idrocarburi. I primi due appaiono fra i più grandi commercianti di gas del pianeta. Lo rivendono ai loro numerosi clienti, tra cui il principale importatore della Corea del Sud, che necessita di gas per alimentare le sue centrali elettriche.

Queste società sono legate dal 2005 alla Yemen LNG con un contratto che prevede venti anni di sfruttamento, la durata di vita presunta del giacimento di gas naturale di Mareb. Il prezzo sarebbe, secondo la parte yemenita, di 3 dollari per milione di British thermal unit (BTU), l’unità di misura in uso nell’industria del gas.

 

Gli accordi rimessi in discussione

In una dichiarazione allo Yemen Post che risale al dicembre 2013, il vice ministro dell’Energia,  Chaouki Al-Mekhlafi, ha sottolineato che “gli accordi sottoscritti dal precedente regime privano lo Yemen di una parte delle entrate di cui ha diritto, vendendo il gas a 9 dollari in meno rispetto al prezzo di mercato”.

Sanaa sostiene così di aver perso fino a 700 milioni di dollari all’anno. Il 16 gennaio 2014, il primo ministro yemenita Mohammed Salem Basindawa ha ricevuto il leader del gruppo Total Christophe de Margerie e gli ha proposto un aumento sostanziale del prezzo di vendita, portandolo a 12,60 dollari per milione di BTU, prezzo che la coreana Kogas avrebbe accettato di pagare dal 1° gennaio 2014.

Alla fine di gennaio, gli yemeniti dicono di non avere ricevuto alcuna risposta dai francesi e minacciano di allinearli automaticamente al nuovo corso. Ève Gautier, direttore della comunicazione di Total Medio Oriente, riconosce che i negoziati sono in corso ma si rifiuta di rilasciare un commento prima della loro conclusione.

Di fatto, il gas naturale non rende grandi guadagni al governo yemenita. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, nel 2012, l’imposta sul prodotto rendeva ventidue volte in meno rispetto a quella sul petrolio greggio, cioè una trentina di milioni di dollari.

La situazione sembra essere migliorata nel 2013. Per il momento, le entrate servono principalmente a rimborsare il debito contratto per finanziare l’investimento. Invece sembra difficile che Total possa allinearsi ai parametri accettati dal suo partner coreano. Se i prezzi del gas sono elevati in Asia, lo sono molto meno in altre regioni del mondo in cui il gruppo ha clienti importanti.

Ma la prospettiva di una prova di forza dalle conseguenze imprevedibili con uno dei paesi più poveri e più instabili del Medio Oriente – a febbraio ci sono stati due attentati contro l’Ambasciata francese a Sanaa e i sabotaggi degli oleodotti non si contano più – non è affatto più attraente di quella di perdere denaro o fette di mercato.

 

* Per leggere la versione originale dell’articolo clicca qui. Traduzione a cura della Redazione.

 

February 24, 2014di: Jean-Pierre Séréni per Orient XXI*Yemen,Articoli Correlati: 

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