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Gaza, nessuna giustizia per la famiglia al Samouni

Nessun colpevole. Questo è il verdetto per la strage della famiglia al Samouni, uno degli episodi più drammatici dell’offensiva ‘Piombo Fuso’. Una decisione “inaccettabile” per B’Tselem, che ricorda i 1400 morti palestinesi di tre anni fa. 

 
 

 

 

 

di Stefano Nanni

 

Il 4 gennaio 2009 a Gaza City alcuni soldati israeliani della brigata Givati radunarono circa 100 tra membri e parenti della famiglia al Samouni nella casa di Wael, zio di Maysa’ al Samouni, 22 anni, sopravvissuta alla strage.

“Arrivarono [i soldati] prima a casa di mio genero intorno alle 9.00, armati e con il volto dipinto di nero. Eravamo 15, di cui 10 tra bambini e ragazzi, dai 9 mesi ai 18 anni. Ci intimarono con la forza di seguirli” – ha raccontato a B’Tselem, ong israeliana per i diritti umani. 

“Ci condussero poi nella casa del fratello di mio genero, dove c’erano altre 20 persone. Ci lasciarono lì per un’ora, senza darci alcuna spiegazione. Quando tornarono ci ordinarono di uscire immediatamente e di raggiungere la casa di mio zio,  Wael al Samouni, nel quartiere di Zeitun, dove ci attendevano una settantina di persone, tutti appartenenti alla nostra grande famiglia. Siamo rimasti lì imperterriti, sgomenti, impauriti, senza né cibo né acqua fino al giorno dopo”.

La mattina seguente, intorno alle 6.30, mentre alcuni membri della famiglia provavano a fuggire, i soldati gli spararono contro, uccidendo una persona e ferendone altre due.

Pochi secondi dopo, l’esercito lanciò due missili direttamente contro l’abitazione. Questa fu distrutta in pochi secondi: 21 persone morirono, compresi 9 bambini e altrettante donne, oltre a una dozzina di feriti.

Nonostante le ripetute richieste di B’Tselem ed altre organizzazioni per i diritti umani l’esercito impedì la rimozione dei corpi e i feriti rimasero tra le macerie per due giorni.

Dopo averli liberati, l’esercito demolì la casa con i corpi senza vita al suo interno. Fu possibile rimuoverli dalle macerie solo dopo il ritiro dell’esercito, ovvero dopo ben due settimane.

Il 1° maggio scorso il tribunale militare israeliano ha archiviato il caso, bollando come infondate le accuse di crimini di guerra rivolte ai militari.

L’Avvocatura generale militare (MAG) lo ha comunicato ufficialmente a B’Tselem, che tre anni fa la interpellò per il medesimo ed altri casi di uccisione di civili durante l’Operazione Piombo Fuso.

Nessuna misura legale è stata presa nei confronti dei soldati della brigata Givati, dichiarati non colpevoli.

Nella concisa lettera inviata a B’Tselem e al Palestinian center for human rights in Gaza (PCHR) il maggiore Dorit Tuval della MAG ha scritto che le indagini non hanno provato alcuna delle accuse circa una deliberata azione di “danno ai civili, così come irresponsabilità o criminale negligenza”.

Tuttavia, in questa risposta non vi é alcun dettaglio sui risultati delle indagini né sui metodi con cui è stata condotta durante l’inchiesta.

Non vi è alcuna spiegazione delle ragioni che hanno portato all’archiviazione del caso né alcuna informazione aggiuntiva sulle circostanze in cui ha agito la brigata Givati il 5 gennaio 2009.

Un mese dopo il massacro l’Israeli defence force (IDF) dichiarò che le operazioni condotte nel quartiere di Zeitun erano dirette contro Hamas, a loro detta presente nella zona, dalla quale provenivano dei razzi Qassam.

L’allora ministro degli Esteri Tzipi Livni si spinse oltre, affermando che quella di al Samouni era una “famiglia di terroristi”.

Oltre a questo massacro ci furono altri 27 morti nel distretto, così come quasi trenta case distrutte, una moschea e una dozzina di fattorie rase al suolo tra il 4 e il 7 gennaio 2009: per nessuna di queste vicende l’esercito israeliano ha fornito un’adeguata risposta.

In risposta alla lettera della MAG, l’avvocato Yael Stein, capo dell’unità di ricerca di B’Tselem, ha definito inaccettabile la condotta delle IDF.

“Non è possibile che nessuno sia considerato responsabile per un’azione dell’esercito che ha portato all’uccisione di 21 civili innocenti, per di più all’interno di un edificio dove erano stati costretti ad entrare dagli stessi soldati”.

Il modo in cui le IDF si sono esentate da qualunque responsabilità e legalità è una chiara e reiterata dimostrazione che Israele necessita in casi del genere di un meccanismo di inchiesta che sia esterno all’esercito.

Ma a tal proposito Israele ha sempre risposto negativamente, come dimostrano i casi del rapporto Goldstone ed il recente rifiuto di accogliere una missione del Consiglio Onu per i diritti umani nei Territori Occupati.

Per quanto riguarda le inchieste aperte dalla MAG sull’Operazione Piombo Fuso è stato fatto di tutto per renderle poco trasparenti, con continui rinvii e metodi di indagine mai definiti pubblicamente.

I risultati raggiunti sono assolutamente insoddisfacenti: soltanto tre condanne sono state emanate per i soldati.

Una per il furto di una carta di credito a danno di un civile palestinese; una per l’utilizzo di un bambino (palestinese) di 9 anni come scudo umano e un’altra per “omicidio colposo di un individuo anonimo”.

In altri sei casi, riguardanti degli ufficiali, sono stati presi soltanto dei provvedimenti disciplinari. Due di loro furono “richiamati” per aver fatto scoppiare delle granate vicino a una struttura dell’UNRWA; altri tre furono invece sanzionati economicamente per aver dato l’ordine di sparare contro la moschea di al Maqadmeh, nella quale morirono 9 civili palestinesi; un altro ufficiale fu punito in modo disciplinare per aver usato il corpo del civile Majdi’ Abd Rabo come scudo umano.

Si tratta di inchieste aperte soltanto nell’ottobre 2009, ben 10 mesi dopo la fine delle operazioni militari, nonostante le condanne da parte delle più alte istituzioni internazionali.

Dopo la decisione sulla strage della famiglia al Samouni sembrano difficilmente ipotizzabili altre condanne o quantomeno che l’esercito israeliano risponda ai gravi fatti perpetrati tre anni fa nella Striscia di Gaza.

Tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009, Tel Aviv portò a termine un’operazione che tutt’ora non ha precedenti per tempistica e numero di vittime: 1.389 palestinesi uccisi, 759 dei quali civili e 318  minori. E ancora 5.300 feriti, 350 in condizioni gravi, 3.500 abitazioni distrutte e 20 mila sfollati.

 

May 4, 2012

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Redazione

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