Iraq. Il 2015 in Kurdistan, e i soliti vecchi problemi

Per quanto il Kurdistan iracheno resti relativamente sicuro, dopo il 2015 gli altri aggettivi che la regione ha sempre usato per descriversi – prospera, in pieno boom economico, democratica – non sono più attuali.

Gli ultimi giorni del 2015 nel Kurdistan iracheno (KRG) sono stati segnati da una crisi politica che non accenna a spegnersi, giunta al culmine di un’altrettanto grave crisi economica.

Mentre la regione semi-autonoma del nord resta uno dei luoghi più sicuri dell’Iraq, alcune cose non sono cambiate in meglio durante l’anno da poco concluso.

Se in passato si aveva a che fare con qualcosa di simile ad un boom economico dell’area, oggi i grandi progetti edilizi vivono una fase di stallo e la gente del posto lotta per sbarcare il lunario. Laddove esisteva la speranza di una nascente democrazia, sebbene imperfetta, dopo le ultime elezioni oggi abbiamo un Parlamento giunto ad un punto morto, che non è in grado di svolgere alcun lavoro sensato.

Il Kurdistan iracheno sembra essere arrivato all’empasse nel 2015. E la gente, qui, non crede che le cose cambieranno molto neanche il prossimo anno.

Il punto morto della politica

Mentre l’anno giungeva al termine, nel Kurdistan iracheno si è diffuso uno slogan: “Sarebbe meglio tornare ai tempi che hanno preceduto il 12 ottobre 2015”. Questa è infatti considerata la data in cui la nascente democrazia del KRG ha avviato il suo declino.

Dopo mesi di dispute su chi avrebbe dovuto ricoprire la carica di Presidente della regione semi-autonoma – che ha il suo proprio governo, le sue leggi, il suo esercito e il suo sistema giudiziario – nessuno dei partiti politici che hanno condiviso la gestione del potere in seno al Parlamento sono stati capaci di giungere ad un accordo.

Il Partito Democratico del Kurdistan (KDP, PDK in italiano, ndt) di cui il presidente Massoud Barzani è il leader – qualcuno sostiene illegalmente – è voluto rimanere saldamente in carica, mentre quasi tutti gli altri partiti politici della regione si opponevano.

Il risultato finale? Violente manifestazioni che hanno visto la morte di 5 civili e in seguito una ancor più (metaforicamente) violenta spartizione del potere per mantenere lo status quo.

Il partito più popolare del Kurdistan, il PDK, ha impedito ai membri del secondo partito con più sostegni, il Movimento per il Cambiamento (il “Gorran”, ndt), l’ingresso nella capitale della regione (Erbil, ndt). Qui, l’ala militare del PDK è al comando, e non permette al portavoce del Parlamento del KRG, un membro del Gorran, di avere accesso alla città.

Da allora il processo politico regionale vive una fase di stallo, nonostante i tentativi di attori locali e internazionali dirisolvere il problema.

“Questo è stato l’anno che ha visto la divisione delle forze curde”, sostiene Ribawar Karim Mahmoud, docente di Scienze Politiche presso l’Università di Suleymaniya, nel KRG. “Il 2015 ha mostrato che le nostre possibilità di restare uniti sono estremamente basse”, ha affermato a Niqash.

Karim Mahoumd crede che ci saranno due fattori che avranno un impatto anche maggiore sulla regione nel 2016. Prima di tutto la carta geografica del Medio Oriente verrà ridefinita – sostiene – e il popolo curdo non sembra aver alcun piano in merito.

“In secondo luogo, ci saranno ancora più problemi finanziari a causa del prezzo del petrolio – spina dorsale delle esportazioni e del reddito nazionale – che continuerà a crollare”, afferma.

Un governo in bancarotta

Come nel 2014, anche nel 2015 il governo curdo-iracheno ha lottato per mettere in pari i conti. Le autorità locali non sono state in grado di pagare – o lo sono state con gravi ritardi – i salari degli impiegati del governo per mesi.

Le autorità sostengono che la crisi finanziaria sia tra i fenomeni più pericolosi che stanno interessando la regione.

Nel 2015 diversi fattori sono intervenuti a peggiorare ulteriormente la situazione: continui scontri con il governo centrale di Baghdad sulla percentuale di budget federale che avrebbe dovuto essere destinato al Kurdistan iracheno; la guerra contro il gruppo estremista di Daesh, e il crollo del prezzo del petrolio in tutto il mondo. Inoltre, il fatto che la popolazione del KRG sia cresciuta di circa il 30% per via dell’afflusso di rifugiati dalla Siria e di sfollati interni iracheni.

“Non mi aspetto alcun miglioramento della situazione economica regionale”, ha affermato il membro del Parlamento ed economista Izzat Saber, componente del Comitato parlamentare per le Finanze e l’Economia. “E non credo che il governo possa fare niente per cambiare le cose”.

Saber fornisce una serie di motivazioni, tra cui il crollo del prezzo del petrolio, l’accumulo di debiti e la stagnazione del processo politico.

“Un sistema di riforme genuine è l’unica possibilità per porre fine alla crisi del Kurdistan iracheno”, ha spiegato Saber a Niqash. “E questo può essere fatto solo mettendo fine alla corruzione, alle spese non necessarie e attraverso un sistema accurato di verifica di queste riforme”.

Un anno di guerra

Nel corso del 2015 le forze armate curdo-irachene hanno continuato a combattere contro gli estremisti di Daesh, dopo la loro avanzata e conquista della città di Mosul nel giugno 2014, provocando una conseguente crisi di sicurezza. Le ultime dichiarazioni del Ministro dei Peshmerga sostengono che, dall’inizio della crisi, 1.288 membri delle sue forze militari sono stati uccisi, 7.544 feriti e altri 62 risultano dispersi in azione.

Tuttavia, si registra qualche buona notizia in quest’area: diverse forze irachene hanno spinto Daesh alla ritirata da alcuni territori. In particolare la liberazione di alcune zone all’interno e nei dintorni del Sinjar ha rappresentato una vittoria per le milizie curdo-irachene.

Jabbar Yawar, portavoce ufficiale dell’esercito del KRG, ha espresso ottimismo sulla possibilità di cacciare del tutto Daesh nel corso del 2016.

“Lo Stato Islamico sta perdendo terreno, i suoi combattenti stanno morendo in gran numero e stanno perdendo le armi”, ha spiegato al nostro giornale. “A livello economico i gruppo sta perdendo colpi, e i pozzi petroliferi di cui aveva assunto il controllo. I miliziani vengono pagati sempre meno perché le fonti di finanziamento si stanno prosciugando e la Coalizione contro di loro si allarga”, ha spiegato.

“Ci aspettiamo che Mosul venga liberata nella primavera del prossimo anno. Dopo questo passo Daesh non avrà più alcuna base militare in Iraq”, ha concluso.

Le questioni sociali ignorate

Sfortunatamente nel 2015 le questioni politiche e di sicurezza hanno oscurato quelle sociali, tra cui l’economia e l’ambiente, così come i diritti delle donne. Nei primi 6 mesi del 2015 si è registrato un record di mortalità femminile (24 donne curde sono state uccise, 33 si sono suicidate, 75 sono state bruciate e 96 si sono date fuoco).

Bahar Munther, attivista della società civile per i diritti delle donne molto conosciuta, non crede che la situazione cambierà nel 2016. “La questione femminile non è considerata degna di grande attenzione”, ha spiegato a Niqash.

“Non ci sono piani o programmi chiari per migliorare lo status delle donne in Kurdistan. In passato abbiamo visto l’emendamento di vecchie leggi e la scrittura di nuove proposte, innovative. Niente di tutto questo sta succedendo attualmente”.

Un’altra componente della società curdo-irachena che non ha trascorso un buon anno è stata quella dei media locali.

I giornalisti che lavorano sul fronte dei combattimenti contro Daesh sono in grave pericolo. E le questioni politiche hanno visto la stampa impiegata nei media di opposizione essere presa di mira dalle forze di sicurezza. Due emittenti – la NRT e la KNN – sono state costrette alla chiusura ad Erbil dopo gli scontri di ottobre.

“I giornalisti vengono torturati, gli uffici chiusi, le telecamere e le attrezzature confiscate”, accusa Rahman Gharib di Metro Centre, un osservatorio sul rispetto dei diritti della stampa in Kurdistan. “La libertà dei giornalisti di fare il proprio lavoro è minacciata in molti modi e le autorità agiscono contro la stampa locale con impunità. Lo hanno confermato anche diversi osservatori internazionali”.

Un’altra questione è rappresentata dall’impatto sul tessuto sociale regionale che ha avuto il nuovo afflusso di residenti nell’area, arrivati per sfuggire alle violenze da altre zone del paese, in cerca di sicurezza.

Si stima che ad oggi siano 1,8 milioni gli iracheni arabi sfollati oggi residenti in Kurdistan , fuggiti prevalentemente dalle province di Ninive e Anbar, e che si sono aggiunti agli sfollati curdo-siriani (della regione del Rojava, ndt).

Molti di loro non vogliono fare ritorno nelle città di origine, perché se anche venissero liberate dalla presenza di Daesh non si fidano delle forze che lo stanno combattendo e temono la mancanza di servizi come acqua ed energia elettrica, come spiega Diyar Abdul Qadir, che guida il PARC – Progetto di Assistenza e Reintegrazione, impegnato con gli sfollati interni iracheni.

Abdul Qadir è preoccupato per ciò che accadrà agli sfollati con cui lavora nel 2016. “Ci sono molti pericoli associati alla liberazione di Mosul”, ci ha detto, “moltissime persone vogliono lasciare la città e venire qui, come gli altri”.

*Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul giornale iracheno Niqash, ed è disponibile qui. La traduzione dall’inglese è a cura di Cecilia Dalla Negra.

January 14, 2016di: Alaa Latif per Niqash*Iraq,Articoli Correlati:

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