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Israele. L’estremismo fondamentalista dei “Giovani delle Colline”

Le organizzazioni giovanili fondamentaliste ebraiche rappresentano un altro volto dell’occupazione in Cisgiordania. Spesso vere e proprie cellule terroristiche che condividono un’ideologia messianica, come dimostrano i documenti raccolti dallo ShinBet sul caso di Douma. 

 

 

Dopo l’attentato al villaggio di Douma (West Bank), dove alcuni giovani coloni – sedicenti “Giovani delle Colline” – sono stati accusati di aver incendiato una dimora e conseguentemente ucciso 3 membri di una famiglia palestinese il 31 luglio scorso, lo ShinBet (l’agenzia di intelligence interna israeliana) si è trovata al centro del dibattito politico con accuse pesanti.

Yossi Dagan – a capo del Consiglio regionale della Samaria – ha accusato lo ShinBet di non essersi limitato al ricorso ai “mezzi speciali” tradizionali – ovvero la prigione preventiva in genere utilizzata per i palestinesi -, ma di essere anche ricorsa a pratiche di tortura per estorcere delle informazioni dai coloni ebrei minorenni incriminati.

Dagan ha quindi promosso una petizione chiedendo che lo ShinBet proteggesse i suoi cittadini e non li torturasse. Questa campagna – prima nel suo genere perché è un’assoluta novità che lo ShinBet venga accusato di fare uso di tortura contro i suoi cittadini – ha avuto un’ampia risonanza anche sui social media, incassando il supporto da parte di alcune organizzazioni di estrema destra. 

Non tutti i partiti di destra si sono, però, schierati con Dagan. È il caso, per esempio, di Naftali Bennett, attuale ministro dell’Economia e dei Servizi religiosi, nonché leader del partito “La Casa Ebraica” (Ha-Bayit Ha-Yehudi), e di Ayelet Shaked, ministra della Giustizia ed espressione dello stesso partito, i quali hanno espresso il loro completo supporto allo ShinBet,così come il Consiglio di Yesha, l’istituzione che presiede e coordina le organizzazioni dei coloni.

L’opinione pubblica israeliana appare, quindi, quanto mai spaccata sulla tragedia di Douma e sulle ripercussioni degli atti di terrorismo di matrice ebraica sulla tenuta democratica del paese.

Mentre alcuni si dicono preoccupati per le recenti ondate di violenza degli estremisti ebrei e quindi appoggiano acriticamente i metodi controversi dello ShinBet, altri sostengono che sia necessario distinguere tra il terrorismo arabo e i crimini commessi da ebrei. C’è anche chi sostiene che la tortura sia un mezzo inammissibile nei confronti dei cittadini ebrei-israeliani. Infine, c’è chi non reputa attendibili le confessioni dei ragazzi accusati della tragedia di Douma perché rilasciate sotto tortura. 

Alcune testate nazionali, notoriamente filo-coloniali come Arutz Sheva, hanno riportato delle testimonianze favorevoli ai coloni incriminati, descritti come giovani idealisti dediti ad una vita campestre all’insegna di valori semplici e genuini.

Opinione assai minoritaria è, inoltre, che le colonie debbano operare persino contro le forze di sicurezza israeliane pur di difendersi e continuare ad esistere.

Infatti, come sostiene il giornalista David Ben-Meir del The Jerusalem Post, le colonie andrebbero difese a spada tratta per il semplice fatto che il controllo ebraico del territorio è l’unico possibile, avendo migliorato le condizioni di vita tanto degli ebrei che dei palestinesi. 

Tuttavia, c’è una voce alternativa ai media ufficiali espressa dalla testata indipendente +972, che sostiene che questi dibattiti siano stati in realtà incentivati dai mass media e dallo Stato di Israele per deviare l’attenzione dell’opinione pubblica mentre il Parlamento varava una nuova legge di finanziamento degli insediamenti.

Quest’ultima delega ufficialmente (e non più de facto), la responsabilità della politica di colonizzazione alla “Divisione degli insediamenti”, un’agenzia privata dell’organizzazione Sionista Mondiale e indipendente dal governo, il cui operato sarà ancora meno trasparente per i contribuenti israeliani.

Opinioni a parte, è un dato di fatto che gli animi si stiano accedendo.

In risposta all’incriminazione dei giovani coloni ebrei per la tragedia nel villaggio di Douma, lo scorso 23 dicembre è stato diffuso un videoclip, girato durante un matrimonio ebraico nella West Bank, in cui gli ospiti del matrimonio ballavano brandendo dei pugnali e dei fucili.

La scena più inquietante sarebbe quella in cui uno degli ospiti pugnala ripetutamente una foto di Ali Dawabsha, il neonato di 18 mesi rimasto vittima dell’incendio.

Un episodio del genere sembra assolutamente sconvolgente se non si considera il contesto in cui è avvenuto, ovvero quello delle regioni della Samaria e della Giudea, terreno fertile per la diffusione dell’estremismo religioso ebraico. 

Un fenomeno, quello del terrorismo ebraico, che affonda le sue radici proprio nelle colonie e che, in particolare, attrae le nuove generazioni come i cosiddetti “Giovani delle colline”.

O come i membri afferenti alla “Homesh First”, un’organizzazione che ha l’obiettivo di ri-colonizzare gli insediamenti come Homesh, un avamposto posto a nord della Samaria evacuato con il Piano di disimpegno unilaterale israeliano del 2005, o anche al “Comitato dei coloni di Samaria”, un gruppo volto ad “aiutare i residenti della regione contro lo smantellamento gli insediamenti con ogni mezzo”.

Nel 2008, per esempio, queste due organizzazioni redassero un documento intitolato “Responsabilità reciproca: la chiave per la Vittoria”, un vero e proprio vademecum su come resistere alle forze di sicurezza israeliana, definite “Forze di distruzione”.

Secondo lo ShinBet, infatti, queste due organizzazioni vorrebbero mettere fine al Sionismo, fomentare il caos regionale e istituire al posto dello Stato un regno ebraico messianico, eliminando tutte le minoranze non ebraiche.

Il loro progetto prevedrebbe la perpetrazione di un colpo di Stato al quale seguirebbe la nomina di un re e la re-istituzione del Regno della Giudea biblica saldamente guidato dalla Torah. 

Dopo un’indagine capillare delle forze di polizia, si è scoperto che i responsabili dell’incendio di Douma sarebbero poche decine di giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, afferenti ad un sedicente gruppo dei “Givonim” (letteralmente “Gli abitanti delle Colline”).

Alcuni di essi, come il ventunenne Amiram Ben Uliel -cresciuto nel blocco coloniale di Gush Etzion, in Cisgiordania- sono stati finalmente incriminati dell’omicidio della famiglia Dawabsha.

Dalle indagini e dalla documentazione raccolta è emerso che i giovani coinvolti nella vicenda erano membri di piccole cellule terroristiche indipendenti composte da 3-5 individui. La peculiarità è che ogni cellula adottava un codice di massima segretezza con le altre affinché nessuna sapesse reciprocamente delle attività altrui. Queste cellule condividono un’ideologia messianica estremista. Si tratta spesso di nuclei familiari, cresciuti e radicalizzatisi insieme negli avamposti della Cisgiordania.

Il Governo stima che vi siano tra i 30 ed i 40 membri attivamente coinvolti in atti di terrorismo. Poi vi sarebbe un numero più grande di sostenitori – all’incirca 100 giovani – di questa ideologia messianica che farebbero parte di varie cellule terroristiche disseminate negli avamposti delle colline della Cisgiordania.

La cerchia più ampia dei simpatizzanti, però, si estenderebbe a diverse centinaia, forse migliaia di persone, che sposerebbero l’idea generale di voler rimpiazzare le attuali istituzioni democratiche dello Stato di Israele con un nuovo regno ebraico di Giuda.

Questi simpatizzanti forniscono generalmente un supporto logistico ai membri direttamente attivi nelle cellule. 

Fonti ufficiali israeliane ritengono che il gruppo non sia stato smantellato a seguito dei recenti arresti e che vi siano ancora numerosi membri pronti a sacrificare la vita per la causa:

Un preoccupante segnale di radicalizzazione in un paese come Israele, istituzionalmente stabile, che finora si riteneva immune dalle violenze e dai fanatismi religiosi che scuotono il Medio Oriente. 

 

*Claudia De Martino è ricercatrice presso UNIMED. Tra le sue ultime pubblicazioni “I Mizrahim in Israele. La storia degli ebrei dei paesi islamici” (Carocci, 2015). Federica De Giorgi è ricercatrice presso UNIMED. 

 

January 14, 2016di: Claudia De Martino e Federica De Giorgi*Israele,Palestina,

Redazione

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