Mentre a Tel Aviv e nelle città principali continuano le manifestazioni di migliaia di richiedenti asilo, 150 sudanesi in sciopero della fame lanciano un appello dal carcere di Saharonim.
Non si arrestano le proteste da parte della comunità dei migranti e rifugiati africani che da un mese a questa parte si stanno moltiplicando in tutto il territorio israeliano. A dare il via un mese fa era stata la “marcia per la libertà” che dal centro “aperto” di Holot è giunta a Gerusalemme, di fronte al Parlamento e all’ufficio del Primo Ministro.
Successivamente, nonostante decine di arresti e di un atteggiamento ancora più duro da parte delle autorità nei loro confronti, si sono ripetute altre manifestazioni. La più grande domenica scorsa, che ha visto la partecipazione di circa 30mila persone, dando il via a uno sciopero prolungato che terminerà soltanto quando il governo accoglierà le richieste dei migranti, affermano gli organizzatori.
Sempre domenica, alcuni dei detenuti protagonisti della “marcia per la libertà” hanno iniziato uno sciopero della fame ad oltranza. In una lettera, di cui riportiamo la traduzione, denunciano le loro condizioni e spiegano le ragioni del loro gesto.
Al popolo di Israele, alle organizzazioni per i diritti umani e alla stampa: questo è un appello rivolto a coloro che credono nell’umanità.
Chiediamo il riconoscimento dei nostri diritti di rifugiati. Chiediamo di mettere fine alle sofferenze dei rifugiati all’interno delle prigioni israeliane. Siamo rifugiati sudanesi detenuti nelle prigioni israeliane.
Siamo scappati dalla nostra patria perché il terrore del governo mette a repentaglio le nostre vite e perché abbiamo patito il flagello della guerra che ancora imperversa in Darfur, nelle montagne di Nuba e nel Nilo Blu.
Tutto il mondo conosce la portata del disastro umanitario occorso in Sudan: omicidi, violenze, genocidio, pulizia etnica, saccheggi e punizioni sistematiche nei confronti delle etnie africane da parte del governo sudanese. La persecuzione, la tortura e l’uccisione da parte delle forze di sicurezza sudanesi degli attivisti politici e dei gruppi di opposizione che appartengono alle etnie nere africane sono all’ordine del giorno.
Siamo rifugiati sudanesi, siamo fuggiti per arrivare nello stato israeliano perché avevamo una grande fede nella sua democrazia, nel suo rispetto per i diritti umani, affinché potesse proteggerci e accettarci come rifugiati fino a quando le condizioni dalle quali siamo scappati non si risolvono.
Siamo giunti in Israele per chiedere protezione ma il governo israeliano non ci ha accettati in quanto tali. Al contrario, ci hanno messo in prigione dal giugno 2012 fino ad oggi, 5 gennaio 2014. Ci hanno dato il permesso di fare domanda per la concessione del diritto di asilo solo dopo 9 mesi dal nostro arresto, ma ad oggi non abbiamo ricevuto nessuna risposta o decisione in merito.
La Corte Suprema ha deciso di rilasciare tutti i detenuti dalle prigioni di Saharonim e di Ketsiot il 16 settembre 2013, ma il governo non ha rispettato la decisione e invece ci ha mandato nel carcere di Holot venerdì 13 dicembre 2013, continuando a definirci ‘infiltrati’ e non ‘rifugiati’.
Domenica 15 dicembre 2013 abbiamo intrapreso una lunga marcia dalla prigione di ‘Holot’ a Beer Sheva e da lì a Gerusalemme per protestare contro la decisione del governo di impedire il nostro rilascio. Nel corso della protesta davanti al parlamento siamo stati violentemente arrestati di fronte ai media e alle organizzazioni per i diritti umani. Ancora una volta ci hanno rimandato nella prigione di ‘Saharonim’.
Noi, rifugiati sudanesi detenuti nella prigione di Saharonim stiamo portando avanti uno sciopero della fame perché ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta da parte del governo sulla nostra richiesta di asilo.
Continueremo lo sciopero fino a quando la nostra richiesta non sarà accettata, o moriremo di fame. La vita non ha alcun senso senza libertà. O beneficiamo dei nostri diritti fondamentali come esseri umani o non viviamo affatto.
Chiediamo:
1. Liberateci e trattateci da rifugiati nel rispetto del diritto internazionale e della convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati.
2. Se lo stato di Israele non può proteggerci e trattarci da esseri umani e rifugiati, dovrebbe consegnarci alle organizzazioni per i diritti dei rifugiati al fine di trovare uno stato in grado di proteggerci e di trattarci come tali.
Non possiamo ritornare nei nostri Paesi in questo momento e non possiamo passare la nostra vita in prigione.
I rifugiati sudanesi, carcere di Saharonim, 05 gennaio 2014.
*Nella foto la lettera originale consegnata alle autorità carcerarie di Saharonim. Si ringrazia Hotline for Refugees and Migrants per la concessione.
January 10, 2014di: Stefano Nanni*Israele,Articoli Correlati:
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