Più della morbosità dell’occhio fotografico, dell’invasività indagatrice delle telecamere, della freddezza dei numeri e delle statistiche, della rigidità delle legislazioni e del buonismo occasionale dei salotti televisivi, più e prima di tutto ciò a raccontare il dramma dell’immigrazione ‘clandestina’ c’è la letteratura.
Ad avvertire l’emorragia dei migranti, il trasformarsi del Mediterraneo in un cimitero di mezzo, sono stati prima tra tutti gli scrittori, soprattutto dal Nord Africa.
In Italia, invece, queste narrazioni sono state appannaggio soprattutto dell’indagine giornalistica che si richiama alla cruda realtà. Meritevole è il lavoro del giornalista Gabriele Del Grande.
Tuttavia è di saggistica che si tratta e non di letteratura.
“Hope and other dangerous pursuits”, Il romanzo della scrittrice marocchina Laila Lalami, narra di una storia a lieto fine, nessuno muore, nessuno annega.
L’ha scritto in inglese, niente di strano, Lalami è una docente di scrittura creativa alla University Of California, Riverside. È la prima marocchina a scrivere un romanzo in inglese che ha avuto un grande successo negli Stati Uniti. Maria Giuseppina Cavallo l’ha tradotto per Fusi orari con il titolo “La Speranza e altri sogni pericolosi”.
I sogni pericolosi sono quelli di chi attraversa il Mediterraneo, aspira ad una vita migliore, mette alla prova la propria storia attraverso il viaggio: semplicemente viaggiare, una normalità negata a chi sta a Sud del Mediterraneo.
“Speranze e altri sogni pericolosi” non è un romanzo patetico, nessuna commiserazione o pietismo. Nonostante i protagonisti si trovino a mettere la loro vita in pericolo, stipati in un gommone, intrappolati fra le onde, la violenza dello scafista la dis-accoglienza dell’Europa, sono comunque raccontati nella loro umanità non numeri ma storie, non clandestini ma esseri umani desiderosi di essere artefici della propria fortuna, del proprio destino.
Sono quattro i personaggi attorno ai quali gira il romanzo: Murad, laureato in lingua e letteratura inglese; Halima, madre di due figli presenti con lei; Faten, giovane ragazza religiosa e Aziz, tecnico disoccupato e con moglie a carico. Si trovano tutti insieme, si vedono per la prima e l’ultima volta su un gommone, guidato dallo scafista Rahal.
Quando il romanzo inizia loro stanno attraversando i 14 km di mare che separano il Marocco dalla Spagna, stanno cullando dei sogni che li aiutano a lottare contro la paura, il gelo e i muri d’acqua. Speranze e altre sogni pericolosi inizia così.
“Quattordici chilometri. Murad aveva riflettuto su quel numero centinaia di volte nell’ultimo anno, cercando di decidere se fosse un rischio che valeva la pena di correre. Certi giorni si diceva che quella distanza era niente, una breve seccatura, e che la traversata sarebbe durata appena mezz’ora se il tempo era buono. Passava ore a fantasticare su cosa avrebbe fatto una volta arrivato dall’altra parte, immaginando il lavoro, la macchina, la casa. Altri giorni, invece, riusciva a pensare soltanto alle guardie costiere, all’acqua ghiacciata, al denaro che avrebbe dovuto prendere in prestito, e si chiedeva come fosse possibile che quattordici chilometri non separassero due paesi, ma due universi”.
Murad supererà quei 14 km insieme a Aziz, Faten, Halima, i quattro personaggi che Lalami segue durante, prima e dopo la traversata.
Il ricercatore marocchino Abdelouahed El Arjouni nel suo libro sulla migrazione clandestina nel romanzo marocchino, divide la letteratura di questo genere in tre parti: romanzi che trattano il prima dell’immigrazione, il durante e il dopo. “Speranze e altri sogni pericolosi” invece racchiude tutte e tre le fasi . Quest’ultimo inizia sì con l’attraversata, ma poi l’autrice fa una virata verso il passato dei protagonisti, li contestualizza psicologicamente, socialmente e culturalmente, ne descrive le vite e le prospettive, e ne insegue gli sviluppi dopo quell’esperienza che dividerà le strade dei quattro protagonisti: due rimarranno in Spagna da migranti e due verranno espulsi verso il Marocco.
I quattro personaggi nella loro diversità sono accomunati da un grande senso di impotenza che incatena il loro desiderio di emancipazione, tutti hanno dei sogni proibiti, soffocati dal peso della società, della religione, delle loro condizioni economiche e della loro psiche.
Sono personaggi che vacillano fra la vigliaccheria e l’eroismo, riescono a reagire alla complessità del loro vissuto solo attraverso il rischio di morte. Ma tutto non è perso perché sia quelli che verranno espulsi sia quelli che rimarranno in Spagna sviluppano una reazione, che sembra avere perfino più valore nel caso di coloro che sono stati costretti a tornati in Marocco.
Aziz, il laureato in letteratura inglese che a Tangeri faceva la Faux-guide adescando i turisti al porto e portandoli a scoprire la Tangeri internazionale di Paul Bowls e della Beat Generation, dovrà passare dall’inferno dell’immigrazione clandestina per decidere che la sua città ha bisogno di un’altra narrazione, fatta con uno spirito nuovo e una sensibilità diversa. Forse sarà lui a realizzarla?
È una storia a lieto fine, nessuno muore e nessuno annega.
Ma è un’esperienza che segna i personaggi, segna chiunque la subisca. Per quanto i sopravvissuti si sforzino di rimuovere il ricordo di quella lotta fra la vita e la morte, rimangono profondamente traumatizzati. Perdere figli, amici, mariti e moglie annegati nel mare a pochi metri dalla riva, alle porte dell’Occidente civilizzato e potente, è uno strazio per l’umanità.
Ogni volta che penso all’immigrazione ‘clandestina’ mi torna alla mente il grande scrittore Ghassan Kanafani e il suo bellissimo “Uomini sotto il sole”, tre palestinesi che attraversano clandestinamente i 10 km di deserto che separa l’Iraq dal Kuwait in una cisterna guidata da un altro palestinese, le passeur.
I tre palestinesi moriranno soffocati nella cisterna e il loro corpo buttato nella discarica spogliati dell’orologio che avevano al polso. Un’immagine terribile che li getta fuori dalla storia e fuori dal tempo.
“Hope and other dangerous pursuits” è un libro avvincente, scritto in maniera pacata , privo di pesantezze o retoriche, ha l’asciuttezza della lingua in cui è stato scritto, con un certo respiro pasoliniano.
Leggerlo riporta alla mente Lampedusa e i suoi migranti. Senza demagogia e senza finto buonismo, credo che, per la complessità del fenomeno nessuno abbia una ricetta magica per affrontarlo. Sono diverse le ragioni che portano alla migrazione e molti i motivi che spingono a rischiare la vita, nessuno potrà mai fermare i camminatori, come diceva lo scrittore Erri De Luca, ma è urgente creare delle vocazioni positive nelle società umane, di Nord e di Sud.
Solo attraverso una maggiore coesione e diffusione della cultura del diritto, della giustizia, dell’equità e dell’apertura si riuscirà a riequilibrare i mondi.
Sembra utopico, forse lo è. Ma tutte le speranze, anche quelle realizzate, sembravano utopie.
*Questa recensione è stata pubblicata il 19 ottobre su Alma.Blog.
November 10, 2013di: Rabii El Gamrani per Alma.blogMarocco,Articoli Correlati:
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