di Giovanni Andriolo
Quando all’inizio di aprile del 2012 il Governo regionale del Kurdistan sospese le esportazioni di petrolio attraverso gli oleodotti iracheni, non si trattava di un atto improvviso o isolato.
In quel caso, Erbil accusava Baghdad di non aver pagato l’intero compenso dovuto alle imprese produttrici curde; il governo centrale rispondeva minacciando di detrarre il costo della mancata vendita di petrolio dalle allocazioni di bilancio per l’anno successivo.
Una vera e propria rottura quindi, che s’inserisce nello scontro in corso tra la parte araba e curda dell’Iraq.
Nel 2003, dopo l’invasione delle forze a guida statunitense, i rapporti di forza tra le diverse comunità del paese sono profondamente mutati. In gioco ci sono soprattutto le risorse petrolifere e di gas presenti nel sottosuolo della regione curda, e le cui modalità di sfruttamento generano tensione tra le due autorità.
Recentemente il governo di Erbil ha firmato diversi contratti con compagnie straniere per l’esplorazione di alcune delle aree contese: il caso più recente risale ad ottobre 2011, quando la ExxonMobil ha firmato con il Kurdistan sei accordi, di cui due ‘sconfinano’ nel territorio conteso con Baghdad.
Va però sottolineato che il Kurdistan non sembra ancora pronto a sviluppare un’autonoma politica economica in campo energetico: dopo aver abbozzato una propria legge sul petrolio nel 2007 e aver firmato circa 40 contratti con compagnie straniere senza l’approvazione di Baghdad, la regione si trova ancora sprovvista delle infrastrutture necessarie per esportare il petrolio e si deve necessariamente appoggiare agli oleodotti nazionali.
Ne esce un quadro intricato, in cui Erbil da un lato stuzzica le debolezze di Baghdad con una costante velata minaccia di destabilizzazione, mentre dall’altro il governo centrale utilizza la propria autorità e i propri mezzi per circoscrivere le spinte autonomistiche curde.
In questo contesto s’inserisce la Turchia, il vicino di casa sempre più ‘vicino’, a cui Erbil sta guardando come canale di sbocco delle proprie esportazioni di petrolio. Senza passare da Baghdad.
In una tale prospettiva va letto anche il progetto di completamento, entro il 2014, di un oleodotto interamente curdo che, schivando il territorio iracheno, finirebbe direttamente in Turchia. E da lì, chissà, magari in Europa.
Sta di fatto che l’estrema fluidità degli attuali equilibri regionali (si veda la “questione Iran” o la crisi siriana) può però sparigliare le carte in tavola in qualsiasi momento.
April 26, 2012
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