di Jacopo Granci da Rabat
Dall’inizio della detenzione, la mobilitazione a sostegno di Mouad Belghouat è cresciuta senza sosta. Le iniziative promosse dal Movimento 20 febbraio, dal comitato “Liberté pour Mouad” e dalle organizzazioni per i diritti umani – manifestazioni, appelli e sit-in nei quartieri di Casablanca e della capitale – hanno varcato i confini nazionali fornendo ampio eco, sui media e sui social network, alla causa del rapper dissidente.
Erano in molti – alcune centinaia tra attivisti, giornalisti, amici e semplici cittadini – ad attendere ieri pomeriggio il verdetto del tribunale di Ain Sebaa (Casablanca), dentro e fuori l’aula di giustizia.
L’ultima udienza del processo, conclusasi alle 6 del mattino del 10 gennaio, dopo una maratona durata oltre dodici ore, aveva messo in luce le grossolane contraddizioni della parte civile, che accusava L’haqed di “minacce e aggressione premeditata” nei confronti di Mohamed Dali “Taliani”, responsabile del Movimento dei giovani marocchini pro-monarchici residenti in Italia.
Nonostante le incongruenze emerse nel corso del dibattimento, il giudice ha condannato Mouad a quattro mesi di prigione, confermando il carattere politico del processo che le autorità avevano subito catalogato come un ordinario episodio di amministrazione della giustizia.
“Mouad è stato punito per le dure critiche al regime contenute nelle sue canzoni e per il suo impegno all’interno del 20 febbraio. L’arresto preventivo e la condanna in assenza di prove non hanno nulla a che vedere con l’eventuale diverbio menzionato dall’accusa”, ha affermato Samira Kinani, attivista dell’AMDH (associazione marocchina per i diritti umani) che ha seguito il dossier L’haqed fin dal principio.
Alla lettura della sentenza, che ha sancito la liberazione immediata dell’imputato seppur riconosciuto colpevole, la folla ha scandito il grido “viva il popolo” e si è diretta verso il carcere di Oukacha, pronta ad accogliere la nuova icona della contestazione marocchina.
Il volto sorridente di Mouad, stampato su centinaia di magliette e di striscioni ben visibili ad ogni manifestazione, è ormai divenuto il simbolo della lotta contro l’autoritarismo e della protesta contro un regime capace di rinnovarsi nella forma ma non nella sostanza.
Gli avvocati del rapper, invece, faranno ricorso in appello “per cancellare un verdetto ingiusto” che è servito ad avallare “una decisione politica maturata al di fuori dell’aula del tribunale” e che senza il sostegno popolare ricevuto dall’artista-dissidente avrebbe potuto avere conseguenze anche peggiori.
“La liberazione di L’haqued è sicuramente un sollievo e una grande gioia per tutti noi, ma non una vittoria per il Marocco democratico, dove la giustizia resta agli ordini delle alte sfere di potere”, ha ribadito Fouad, tra i fondatori del comitato di sostegno.
In serata, Mouad è salito sul palco allestito dai compagni del quartiere Hay El Wifak, e ha ringraziato gli amici e gli attivisti che si sono mobilitati durante i quattro mesi intercorsi dall’arresto.
Durante il concerto, che è andato avanti fino a tarda notte di fronte ad un pubblico numeroso e festante, L’haqed ha confermato che non ci sarà nessun passo indietro da parte sua, le sue parole non si piegheranno di fronte alle minacce e alle intimidazioni dei suoi carcerieri.
“In prigione ho continuato a scrivere canzoni per il Movimento 20 febbraio. La mia musica resterà al servizio del popolo e delle sue rivendicazioni, non smetterà di denunciare le ingiustizie che vengono commesse in questo paese”, ha dichiarato il rapper, microfono alla mano e berretto ben calzato sulla fronte, prima di intonare i versi del suo testo più celebre (ispirato all’inno nazionale tunisino).
“Se il popolo vuole vivere che si alzi per difendere i suoi diritti. Fino a quando rimanere in silenzio? Sfruttano le nostre ricchezze e ci lasciano solo le briciole…”
January 14, 2012
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