di Marco Di Donato
Sabry si trova da ieri nel carcere centrale di al-Arish. Finora nessuno, compresa la moglie, ha potuto fargli visita. Così come nessun avvocato sarebbe stato autorizzato a seguire il suo caso.
Mohamed Sabry non è un fotografo come tanti altri. Il suo impegno sociale e il suo attivismo politico lo hanno portato a scontrarsi duramente con le forze armate egiziane.
Sabry è infatti tra i fondatori de “La li-l-muhakamat al-askariyya li-l-madiniyyin” (“No ai processi militari per i civili”), un’organizzazione che si batte per evitare che i civili vengano sottoposti al giudizio dei militari.
Per evitare proprio ciò che oggi sta accadendo a lui.
Il 26enne si occupa da molto tempo di raccontare al paese quello che accade nel Sinai e in particolare nella sua zona d’origine: al-Arish. Navigando nel web si trovano moltissimi suoi interventi sulle maggiori testate nazionali che mostrano la dura realtà di un’area estremamente instabile e violenta, terreno fertile per i gruppi estremisti di matrice islamista. E non solo.
Come testimoniato da Human Rights Watch, il Sinai rappresenta oggi una delle vie privilegiate dell’esodo degli africani subsahariani verso l’Europa.
Si arriva a pagare fino a 30 mila dollari per intraprendere un viaggio che spesso ‘comprende’ abusi, torture e violenze sessuali. Il Sinai è proprio così: instabile e pericoloso. Lo sa anche l’esercito egiziano, che continua a registrare gravi perdite nell’area. Del resto Sabry è stato arrestato proprio mentre stava indagando sulla morte di alcuni militari deceduti nell’agosto del 2011.
Lo scontro sul campo è durissimo. Nel 2012 l’esercito egiziano ha lanciato un’offensiva (“Operation Sinai”), con lo scopo di debellare la presenza di “forze armate terroriste”. Tra gli obiettivi, anche quello di fermare il traffico di armi (ad esempio verso la Striscia di Gaza), ormai divenuto uno fra i più fiorenti business locali.
Nonostante gli sforzi del ministro della Difesa al-Sissi, che ha persino emanato un decreto che vieta il possesso di terreni nelle vicinanze delle zone di interesse militare, i risultati raggiunti sembrano davvero scarsi.
Ancora ieri, proprio nelle ore in cui veniva arrestato Sabry, ad al-Arish un poliziotto veniva ucciso da “ignoti”.
I gruppi tribali beduini non sembrano disposti a sottomettersi all’autorità statale, accogliendo di contro con sempre maggiore favore il messaggio dei vari gruppi estremisti presenti nell’area.
Sabry ha sempre provato a raccontare tutto questo agli egiziani, attraverso le sue interviste, ma soprattutto attraverso le sue foto. Foto per le quali è oggi in carcere e per le quali verrà processato fra due giorni, il 9 gennaio prossimo, dinanzi a una corte militare.
Ecco allora che la storia si complica ulteriormente, poiché alla già intricata questione del Sinai si aggiunge quella dei diritti dei cittadini.
Un civile può essere sottoposto al giudizio di una corte militare? Sotto Mubarak questa era certamente una prassi consolidata, ma con la nuova Costituzione?
Secondo l’articolo 198: “I civili non possono essere processati davanti a tribunali militari, tranne che per i crimini che danneggiano le Forze Armate. La legge stabilisce quali siano questi crimini e determina le altre competenze della magistratura militare”.
Se è dunque vero che in teoria i civili non possono essere processati dinanzi a tribunali militari è altrettanto vero che a questo assunto viene opposta una fondamentale eccezione: “i crimini contro le Forze Armate”.
E pensare che proprio alcuni giorni fa (precisamente il 23 dicembre 2012) l’organizzazione di cui Sabry fa parte aveva pubblicato un articolo dal titolo “Dicono che la nuova Costituzione proibisce ai civili di essere processati dinanzi a corti militari. Mentono!”.
January 7, 2013
Egitto,Articoli Correlati:
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