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Palestina: i successi della conferenza BDS negli Usa

“Fra 15-20 anni, la gente ricorderà ancora questa conferenza, come un momento storico del movimento per il boicottaggio di Israele. E ci sarà chi si rammaricherà per non esserci stato”. Queste le parole con cui la giornalista Helena Cobban ha descritto la conferenza nazionale statunitense per la campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).

di Stephanie Westbrook*

La conferenza, tenutasi all’Università della Pennsylvania il 4-5 febbraio e organizzata dal gruppo studentesco Penn BDS, ha infatti dovuto chiudere la registrazione a 300 partecipanti, a dimostrazione di quanto stia crescendo il movimento negli Stati Uniti.

Mentre le prime conferenze BDS nazionali, come quella di Chicago del 2008 e dell’Hampshire College del 2009, non hanno trovato molto spazio sui media, questa del 2012 è invece finita sulle prime pagine dei giornali locali e della stampa nazionale e internazionale, inclusa quella israeliana.

Un aiuto l’hanno dato le organizzazioni pro-israeliane come Stand With Us e l’Anti-Defamation League, che hanno pubblicato una classifica dei top cinque relatori anti-Israele della conferenza.

La Federazione ebraica di Philadelphia e Hillel dell’Università della Pennsylvania hanno infatti organizzato una serata last minute al campus due giorni prima della conferenza BDS con Alan Dershowitz, avvocato, professore di Harvard e forte difensore di Israele, che durante il suo intervento ha insistito nel chiamare il movimento “DBS”.

Tuttavia i tentativi di screditare il movimento e la conferenza non hanno fatto altro che accrescere l’attenzione dei media, quasi a voler confermare la famosa frase di Gandhi: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono…poi vinci”.

L’episodio più ripugnante si è però svolto sulle pagine del giornale dell’università, il Daily Pennsylvanian, una delle principali e più vecchie testate studentesche statunitensi.

In una lettera pubblicata sul giornale, Ruben Gur, professore di psichiatria dell’Università della Pennsylvania ed ex soldato dell’esercito israeliano, ha descritto Penn BDS come “un’organizzazione genocida e odiosa”, paragonando il libro sul BDS di Omar Barghouti al Mein Kampf di Hitler e gli ebrei sostenitori di BDS ai kapò dei campi di concentramento.

E il presidente dell’università, Amy Gutmann, invece di denunciare il linguaggio deplorevole e calunnioso, ha riaffermato la posizione contraria al BDS dell’università. Gutman aveva partecipato alla serata con Dershowitz.

La conferenza ha avuto inizio venerdì sera con la proiezione in anteprima del nuovo documentario Roadmap to Apartheid. Il film, che uscirà in Italia nel 2012 in versione sottotitolata, presenta un’interminabile serie di similarità tra l’apartheid in Sud Africa e quella praticata contro il popolo palestinese da parte di Israele, oltre a documentare il movimento anti-apartheid che attraverso boicottaggio, disinvestimento e sanzioni ha contribuito alla fine di questo regime.

Il confronto con il Sud Africa dell’Apartheid è stato un tema ricorrente di tutta la conferenza.

Il Reverendo Graylan Hagler, uno dei leader del movimento anti-apartheid, ha ricordato che gli stessi argomenti usati dai critici del BDS di oggi venivano usati anche allora. Il “coinvolgimento costruttivo” di Reagan è ora il “dialogo” o il “processo di pace”.

“Le presunte preoccupazioni per i sudafricani neri danneggiati dai boicottaggi sono oggi le stesse per i palestinesi. E mentre allora era strumentalizzata la paura del comunismo oggi lo è quella dell’islamofobia. Sudafricani e israeliani hanno entrambi affermato che garantire pari diritti uguale a un suicidio nazionale”.

Alla domanda sempre più frequente: “Dove sta il Mandela palestinese?”, Helena Cobban, numero quattro nella classifica dell’Anti-Defamation League, ha risposto con un altro quesito: “Dove sta il De Klerk israeliano?”.

Un altro tema centrale è stato quello della necessità di unire le battaglie, e di vedere il movimento BDS come parte della lotta globale per la giustizia, la libertà e l’uguaglianza.

Susan Abulhawa, autrice di Mornings in Jenin, nel suo appassionato discorso di apertura, ha sottolineato che mentre Israele conta sugli Stati Uniti dei Gingrich di turno, che fomentano odio e paura per guadagnarci politicamente, i palestinesi hanno come riferimento l’America di Martin Luther King Jr, e il mondo che ha prodotto Rachel, Tom e Vittorio.

Nel suo messaggio video, Omar Barghouti, uno dei fondatori della campagna BDS, ha infatti ricordato come Israele stia al centro delle politiche dell’1%, quelle del militarismo, del razzismo, della paura e dell’instabilità: Guerra Infinita Inc.

Solo qualche giorno prima della conferenza, il movimento Occupy Oakland in California aveva votato quasi all’unanimità (135 a 1) a favore dell’adesione alla campagna BDS. Nelle sessioni plenarie sono state presentate le campagne BDS di rilievo nazionale, tra cui quelle di disinvestimento da parte della Chiesa Metodista e la Chiesa Presbiteriana, importantissime sia per la portata dell’impatto economico sia per l’opportunità di coinvolgere gruppi religiosi.

Il prossimo aprile, circa mille delegati della Chiesa Metodista si uniranno per l’assemblea generale che si svolge ogni quattro anni. Con la campagna United Methodist Kairos Response, in risposta all’appello dei palestinesi cristiani, si presenterà una mozione per il disinvestimento del fondo pensionistico della chiesa, il più grande fondo per un gruppo religioso negli USA ($ 17 miliardi), da tre società coinvolte nell’occupazione israeliana, HP, Caterpillar e Motorola.

All’assemblea generale della Chiesa Presbiteriana a luglio verrà presentata un’analoga mozione per il disinvestimento dalle tre società, raccomandato dal proprio comitato per gli investimenti socialmente responsabili, dopo anni spesi a cercare di convincere le società in questione a cessare le attività in Israele.

Un’altra campagna di disinvestimento riguarda TIAA-CREF , che gestisce fondi per ospedali, università, non profit, sindacati e scuole. La campagna chiede il disinvestimento da società statunitensi e internazionali, quali HP, Motorola, Northrop Grumman, Veolia, Caterpillar e Elbit, tutte legate all’occupazione.

TIAA-CREF è stato scelto come target perché è il più grande fondo del suo genere nel mondo, dal momento che controlla 400 miliardi di dollari, vanta 60 uffici locali in tutti gli Stati Uniti e ci tiene alla sua immagine di responsabilità sociale. Inoltre, esiste un importante precedente per il fondo, che in passato ha disinvestito da società legate al regime sudanese.

Gli oltre 20 workshop della conferenza hanno trattato argomenti come il boicottaggio accademico, il BDS nella comunità afro-americana, l’uso dei social media, il diritto internazionale, il boicottagio culturale, le azioni dirette, e infine il rapporto con i media e il pinkwashing.

L’intervento in plenaria di Sarah Schulman ha combinato questi ultimi due argomenti. Autrice, professore e nota attivista per i diritti LGBTQ, era riuscita a far pubblicare sul New York Times lo scorso novembre un articolo sul pinkwashing, che riguarda l’atteggiamento gay-friendly di Israele che mira a creare un’immagine di un paese moderno e progressista per nascondere le politiche d’oppressione del popolo palestinese.

Alla domanda, “Come hai fatto a farlo pubblicare sul New York Times?”, Schulman ha raccontato il retroscena della vicenda.

L’aveva contattato un giovane redattore del giornale, un omosessuale cinese-americano, per un articolo sul 30esimo anniversario del primo caso documentato di AIDS. Ma sapeva che quello che voleva scrivere lei non era quello che voleva il giornale. E infatti non l’hanno pubblicato.

Il giornalista, cercando di rimediare, le ha chiesto di proporre un pezzo: “Che ne dici del pinkwashing?”. “Che cos’è?”. Dopo una breve spiegazione e la segnalazione di un articolo sul Guardian, ha accettato.

La Schulman sapeva che avrebbe dovuto sottoporsi ad un controllo intensivo, quindi insieme all’articolo di 900 parole, ha consegnato anche 190 pagine di documentazione!

Per mesi ha dovuto rispondere alle domande del Times, a volte assurde, ma ha sempre saputo replicare grazie in parte a un team di ricercatrici queer che traducevano i documenti da diverse lingue, incluse l’ebraico e l’arabo. Non sono quindi riusciti a trovare motivo per cui non pubblicarlo.

Nel suo intervento alla serata presso l’università, Dershowitz ha anche accennato all’articolo di Schulman, definendolo “Il più stupido mai pubblicato sul New York Times, scritto da una professoressa idiota”.

Nel discorso keynote, Ali Abunimah, co-fondatore del sito Electronic Intifada e numero due nella classifica dell’Anti-Defamation League, ha portato la riflessione su cosa precisamente significhi la domanda spesso posta dai difensori di Israele per ‘pilotare’ i discorsi: “Sostieni il diritto di Israele a esistere come Stato ebraico?”.

Abunimah ha ricordato che una delle prime cose che insegnano alla facoltà di legge è che non esiste diritto senza rimedio, “ma il rimedio deve essere legittimo”.Ha quindi chiesto quale potrebbe essere un rimedio accettabile per sostenere questo diritto.

“Controllo della nascita dei bambini ‘sbagliati’, è cioè non ebrei? L’espulsione dei non ebrei? La domanda per noi e per i nostri critici è: accetteresti questi rimedi? Perché se li accetti, devi accettare anche le conseguenze morali di sostenere vili politiche di segregazione”.

Alla fine del film Roadmap to Apartheid, il giornalista sudafricano Allister Sparks ha ricordato che “non furono solo i neri ad essere liberati quando l’apartheid finì”: “Io fui liberato. Tutti noi lo ci liberammo da questa terribile visione corrosiva”.

Nello stesso spirito, Susan Abulhawa si è rivolta agli israeliani dicendo: “La nostra unica speranza è di trattarci da uguali. Dopo tutto quello che ci avete fatto, vi accetteremo comunque come uguali. Ma non vi accetteremo mai come Padroni”.

La campagna BDS non nega alcun diritto. Rappresenta una minaccia ai soli privilegi degli ebrei israeliani perché non esiste il ‘diritto alla superiorità’.

E come ha ricordato Anne Norton, professore di Scienze Politiche e Letteratura Comparata all’Università della Pennsylvania, la campagna BDS non mette a tacere nessuno, anzi apre il dibattito. È utile come strumento di pressione su Israele e altrettanto per sensibilizzare il pubblico su quanto succede in Palestina.

Ancora oggi, a una distanza di due settimane, sulle pagine del giornale studentesco, The Daily Pennsylvanian, si parla ancora della campagna BDS e della Palestina. Questo, di sé, è già una vittoria.

*campagna BDS – Italia e Stopagrexcoroma

February 19, 2012

/p

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