di Cecilia Dalla Negra
Mahmoud che sorride, con in mano un piatto di dolci palestinesi. Mahmoud che si sporge dal finestrino di un pulmino con il pallone alto sopra la testa, tra la folla che lo accoglie nella sua Gaza.
La mattina del 10 luglio, per la gente di Palestina, è una mattina di festa. Passano pochi minuti dall’annuncio ufficiale, e già sul web circolano le sue foto. Mahmoud Sarsak, “il miglior calciatore del mondo” come lo hanno definito in questi mesi i suoi connazionali, finalmente è libero.
Il migliore del mondo, perché ha combattuto una battaglia lunga 3 mesi per il suo diritto alla dignità e alla libertà. Contro quel sistema – illegale e sempre più spesso condannato dalle organizzazioni internazionali – che consente alle autorità israeliane di detenere chiunque, senza accuse, senza processo, a tempo indeterminato.
Era successo anche a lui: nel giugno del 2009 Mahmoud stava attraversando il valico di Erez, che separa la Striscia di Gaza dal territorio israeliano, per raggiungere i suoi compagni di squadra della Nazionale Palestinese di calcio a Ramallah, in Cisgiordania.
Senza ragione era stato arrestato, in base alla “Legge contro i combattenti illegali”, applicata ai soli cittadini di Gaza, e che consente a Israele di arrestare chiunque sia sospettato di opporsi all’occupazione militare.
Da quel giorno Mahmoud era rimasto dietro le sbarre di un carcere per tre anni, senza conoscere le accuse che gli erano rivolte, senza sapere se e quando sarebbe stato liberato.
Il suo sciopero della fame, come quello di molti altri prigionieri politici palestinesi in questi mesi, aveva attirato l’attenzione mondiale. Nel mese di giugno i tifosi di tutto il mondo erano pronti a seguire le competizioni sportive degli Europei di calcio.
Intanto, Mahmoud si giocava la vita con uno sciopero della fame lungo 92 giorni, che aveva portato importanti figure del mondo calcistico ad esprimere solidarietà nei suoi confronti.
Il presidente della Fifa Joseph Blatter, il calciatore Eric Cantonà. Le nazionali francese e spagnola, e moltissimi attivisti in tutto il mondo.
Anche in Italia, dove una delegazione di associazioni e realtà solidali con la Palestina aveva incontrato i dirigenti Fifa a Roma, il 13 giugno scorso, per chiedere che intervenissero per salvare la vita di Mahmoud.
Le autorità israeliane, di fronte alle pressioni, hanno dovuto cedere. Il 18 giugno avevano promesso che Mahmoud sarebbe stato liberato allo scadere dell’ultimo rinnovo del suo arresto, il 10 luglio. E, vista l’attenzione mediatica attirata sul suo caso, hanno dovuto rispettare l’accordo.
Mahmoud, il 10 luglio, è tornato a casa. In quella Striscia di Gaza dove è nato, cresciuto e si è allenato, coltivando il sogno di diventare un calciatore. È entrato a far parte della Nazionale Palestinese, e ha combattuto la battaglia decisiva della sua vita: quella per la dignità e la libertà.
La sua, e quella di tutto il suo popolo, che questa mattina al valico di Erez lo ha accolto con grandi festeggiamenti insieme ai suoi familiari e alla madre, che ha potuto riabbracciarlo.
È stata l’associazione per il sostegno ai prigionieri e i diritti umani Addameer a darne notizia questa mattina via Twitter: “Il fratello di Mahmoud conferma che è arrivato a Gaza ed è stato ricoverato allo Shifa Hospital per i controlli”.
E mentre anche il mondo del web – virtuale, ma pur sempre fatto di persone – festeggia ed esprime gioia per la notizia, non dimentica di ricordare tutti gli altri, ancora in sciopero della fame per i propri diritti.
La lotta “dello stomaco vuoto” prosegue per tanti, tra cui Zakaria Zubeidi del Freedom Theatre di Jenin e Akram Rikhawi, che ha raggiunto i 90 giorni di sciopero della fame e rischia adesso la vita a causa delle conseguenze.
July 10, 2012
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