Il 6 gennaio 2013 le agenzie stampa di tutto il mondo battono la notizia dell’approvazione dell’articolo 20 della Costituzione tunisina che recita “tutti i cittadini, uomini e donne, hanno gli stessi diritti e doveri senza discriminazione alcuna”. Un articolo che non può che essere salutato positivamente visti i timori e le perplessità che aleggiano in Tunisia dall’indomani dell’ascesa del partito islamico An-Nadha, che rivendicando un nesso necessario tra religione e identità ha ottenuto nelle elezioni del 2011 la maggioranza dei seggi.
di Leila El Houssi*
Nonostante sin dall’epoca di Bourguiba (1957-1987) il paese nordafricano avesse rappresentato nel complesso panorama dei paesi arabo-islamici una sorta di eccezione per quanto riguarda l’emancipazione femminile, il timore di perdere i diritti sanciti dal Codice per lo statuto Personale, promulgato nel 1956 ed entrato in vigore nel gennaio 1957, poteva divenire realtà.
Durante la stesura del testo costituzionale si è infatti innestato un dibattito sul tema che ha infiammato la Tunisia suscitando proteste in seno alle associazioni femminili. Il tentativo era quello di introdurre nella Costituzione un articolo che stabilisse la collocazione della donna in una posizione di complementarietà rispetto all’uomo all’interno della famiglia.
L’apice del dibattito si è raggiunto nell’estate 2012 alla vigilia della giornata della donna in Tunisia (13 agosto) quando le donne tunisine sono scese in piazza manifestando contro l’articolo della bozza costituzionale.
Un dibattito che rimanda a una questione aperta nel mondo musulmano: quella del pieno riconoscimento delle pari opportunità tra uomo e donna nell’esercizio dei diritti fondamentali.
In questo ambito rientrava necessariamente il confronto sul principio di “complementarietà” assunto nella carta costituzionale. Principio che avrebbe costretto le donne a rinegoziare il loro statuto di donna, di figlia e di madre, rimettendo in discussione uno status, quello dell’uguaglianza uomo-donna, che di fatto risultava già acquisito in seno alla società.
Con questo articolo si sarebbe negata deliberatamente la piena cittadinanza della donna.
Grazie alle accese proteste della società civile e delle associazioni femminili, l’articolo è stato rigettato e si è ristabilito il concetto di uguaglianza tra uomo e donna. Il paese dei gelsomini e dal carattere “islamicamente laico” ha così mostrato ancora una volta la volontà di costruirsi/ricostruirsi un’identità anche in chiave di genere.
Il 6 gennaio 2013 l’Assemblea nazionale tunisina ha dunque approvatocon 159 voti su 169, l’articolo 20 della nuova Costituzione che garantirà nel paese nordafricano l’uguaglianza di genere “senza discriminazione”.
L’articolo dovrebbe tuttavia specificare, come spiegano in un comunicato congiunto le organizzazioni internazionali, che “la discriminazione diretta e indiretta, è proibita per quanto riguarda motivi di razza, colore, sesso, lingua, religione , opinione politica o di altro”.
Sembrerebbero tuttavia confermati i diritti delle donne tunisine, le quali esprimono soddisfazione ma richiedono un passaggio ulteriore: le pari opportunità.
A questo proposito esponenti delle associazioni femministe e del mondo della società civile hanno già intrapreso una battaglia per ottenere, come ci rivela Ouejdane Mejri, presidente dell’associazione Pontes, “parità di accesso ai ruoli amministrativi e alle responsabilità politiche”.
Le quote rosa diventano quindi un traguardo fondamentale nella costruzione della nuova Tunisia che nel frattempo ha varato l’articolo sulla libertà di coscienza che in un testo costituzionale di un paese arabo-islamico non può non assumere una valenza significativa diventando un indiscutibile precedente.
Non poteva, infatti, non essere introdotto un articolo che tutelasse la libertà di coscienza e di espressione dopo l’ondata repressiva perpetrata dal regime di Ben Ali (1987-2011), che ha tenuto la Tunisia soggiogata per ventiquattro anni generando pesanti limitazioni delle libertà individuali, a partire dalla libertà di associazione, di riunione e di stampa.
Una repressione così capillare che la stessa Federazione Internazionale della Lega dei diritti dell’uomo (FIDH) era incapace di stilare una lista completa delle violazioni. Il clima di tensione che si respirava in quegli anni si trasformò presto in un conflitto sociale che il regime riuscì a dominare attraverso l’incarcerazione di numerosi oppositori.
Associazioni, organizzazioni e comitati subivano un controllo spietato e molti dei loro aderenti furono arrestati e torturati sempre in nome della sicurezza nazionale. Il peso di un passato così drammatico non può essere dimenticato e nella costruzione della nuova Tunisia la garanzia dei diritti fondamentali dovrà costituire un caposaldo.
Siamo forse a quello che la giurista tunisina Sanaa Ben Achour definisce la “fine di un ciclo”?
Sicuramente la Tunisia con questo testo costituzionale sembrerebbe aver posto il primo tassello di un percorso ancora lungo e tortuoso: la costruzione della democrazia.
*Leila El Houssi, storica del Nord Africa in età contemporanea, è attualmente coordinatrice scientifica e docente del Master Mediterranean Studies – Università di Firenze. Ha recentemente pubblicato “Il risveglio della democrazia. La Tunisia dall’indipendenza alla transizione”, Carocci (2013).
January 09, 2014di: Leila El Houssi*Tunisia,Articoli Correlati:
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