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Radiodervish. Al caffè di Gerusalemme sulle tracce degli hakawati

Un album meraviglioso, capace di trascinare l’ascoltatore in una Città Santa visionaria, dalle mille facce, sempre in bilico tra il sogno e la realtà.

 

 

Si chiama “Cafè Jerusalem” ed è il nuovo lavoro dei Radiodervish, l’undicesimo disco di una carriera in cui è sempre stata la qualità a farla da padrone, nel segno di una creatività inesauribile e di una voglia di raccontare in musica storie, esperienze e sensazioni capaci di lasciare il segno.

Teatro di questa impronta indelebile stavolta è la città di Gerusalemme, con il suo carattere multiculturale in cui tradizione e modernità si confrontano, convivono e spesso collidono, e dove i muri e le intolleranze non hanno cancellato l’eco di una passata coesistenza che ha nel caffè il centro gravitazionale dell’incontro e della socialità.

“Si tratta di un luogo emblematico, simbolo di apertura e di accoglienza dell’altro – racconta il cantante Nabil Salameh, in occasione dello showcase del disco alla Feltrinelli di Roma – Il caffè riassume lo spirito della città che, fino alla costituzione dello stato d’Israele, ha visto musulmani, cristiani ed ebrei vivere fianco a fianco”.

Un passato quasi entrato nella dimensione del mito e in cui l’amore riesce a insinuarsi e a trovare la sua strada, nonostante gli oscuri presagi di ciò che di lì a poco stava per avvenire.

Perché di questo si parla nelle nove tracce dell’album, che raccontano, a cavallo di quegli anni cruciali che sono stati il 1947-48, “la cancellazione di una società, ma anche l’inizio di una storia d’amore impossibile tra Nura, palestinese, e Moshe, un ebreo da poco arrivato nella Città Santa”.

Dal pezzo d’apertura Cardamom alla bellissima Nura, da Musrara alla festosa Jaffa Gate, “l’eredità culturale palestinese custodita nei semplici oggetti, negli eventi e nella memoria dei personaggi viene mostrata a partire dalla scoperta dell’amore verso il diverso e dall’amara consapevolezza delle difficoltà implicite, in quanto inevitabili trasformazioni che hanno mutato il percorso storico di quella terra” commenta la band.

L’intreccio narrativo, però, non è che un filo leggerissimo, che si dipana caotico nei vari linguaggi e dimensioni che solo gli hakawati, ovvero i cantastorie della tradizione araba e palestinese, riescono a riconoscere e illuminare con la loro musica e le loro parole. 

“Sono un po’ come degli Omero o, se vogliamo, i cantastorie siciliani che raccontavano sia l’epica sia la quotidianità – spiega il chitarrista Michele Lobaccaro – La realtà, infatti, è un qualcosa che non ha solo un livello di lettura. Se si va al di là dei criteri illusori e superficiali si scopre che tutto ciò che accade risponde a leggi superiori, ad altre logiche. Solamente i cantastorie, attraverso l’immaginazione e la fantasia, riescono a coglierle, e questo ci è sembrato una chiave importante per il nostro Caffè Jerusalem”.

Proprio come gli hakawati, i Radiodervish trasportano l’ascoltatore dentro uno di questi caffè, tra narghilè, bracieri oleosi e il profumo di cardamomo, “per godere di storie che si incrociano mentre sorseggia un buon caffè speziato” e “si prepara ad entrare in una dimensione di tempo sospeso dove i suoni e le parole provano ad evocare i ricordi sbiaditi di un mondo che ha vissuto una travolgente trasformazione a partire dagli anni trenta del secolo scorso”.

“L’hakawati è una figura di una ricchezza fondamentale, soprattutto oggi che la realtà è così schiacciata, così forte e apparentemente senza vie d’uscita – continuano i Radiodervish – Ed è per questo che li troviamo ancora oggi, nei caffè stessi o nei bookstore più improbabili della città: sono diventati una forma di lotta, di resistenza a questo tentativo di cancellazione e annientamento della memoria collettiva”.

Lo sanno bene loro che nella Città tre volte Santa ci sono stati a più riprese fin dal 2007, ospiti della scrittrice e giornalista Paola Caridi, che lì ha vissuto per 10 anni, e che con il suo libro del 2013 intitolato “Gerusalemme senza Dio” ha fatto da molla ispiratrice a tutto il lavoro. Da libro, il testo è diventato infatti uno spettacolo testo teatrale e infine un disco.

“L’idea di Cafè Jerusalem nasce proprio dall’introduzione del mio libro in cui dico che la mia nostalgia di Gerusalemme è condensata nei suoni che scandiscono il ritmo della giornata, fin dalla chiamata alla preghiera dell’alba – spiega Paola Caridi – E’ quello che più mi manca ancora oggi, e sono andata via da tre anni: l’avere questo tempo in sostanza contingentato, che è differente dal tempo e dallo spazio del conflitto”.

Suoni catturati dai registratori dei Radiodervish e che pure fanno la loro comparsa nel disco, dai passi sulle pietre della città vecchia al vociare dei bambini, fino al richiamo alla preghiera dalla moschea di al Aqsa.

I Radiodervish stessi, sia nel disco sia nello spettacolo, si sono trasformati in quella “orchestrina da caffè” di cui volevano raccontare, con una registrazione quasi da live acustico, evitando al massimo le sovraincisioni, che pure li avevano caratterizzati nei loro lavori passati.

“Per quello che volevamo raccontare, ci è sembrato naturale asciugare il disco, ridurlo all’essenziale – racconta il musicista Alessandro Pipino – ci siamo visti in un quintetto, dentro una casa, abbiamo arrangiato il disco in questa formazione e così lo abbiamo registrato, mantenendo comunque la nostra impronta”.

Uscito il 26 maggio, la produzione di Cafè Jerusalem è stata coadiuvata da un crowdfunding partito il 2 marzo sulla piattaforma MusicRaiser, che ha avuto pieno successo. Il cd, che a luglio diventerà anche un vinile, è caratterizzato da un delizioso booklet illustrato dalle opere eseguite con la tecnica del cutting e collage dell’artista Maria Teresa De Palma.

“Per noi è sempre stato importante anche l’oggetto disco, che contiene non solo le musiche ma impressioni su altri livelli di lettura e di approccio” spiega Michele.

Formatisi in Puglia nel 1997 e prodotti allora dalla storica etichetta indipendente I Dischi del Mulo di Ferretti e Zamboni, i Radiodervish hanno all’attivo 11 album (compreso Cafè Jerusalem) e si sono esibiti nei più importanti palcoscenici italiani ed internazionali, collaborando con diversi protagonisti del panorama culturale tra cui Franco Battiato, Nicola Piovani e tanti altri.

La loro musica, dall’innata eleganza e qualità, spazia dalla musica tradizionale e popolare araba – e non solo – alla musica d’autore, tra folk ed elettronica d’atmosfera e quella fusione di lingue che da sempre li contraddistingue, senza mai fossilizzarsi su un solo aspetto e su un solo genere.

I loro progetti e iniziative, infatti, sono mirati alla creazione di un dialogo interculturale pacifico, all’interno di quel Mediterraneo crocevia di popoli e di storie sempre in movimento, tra conflitti, contraddizioni e incertezze, ma anche gioie, sogni e speranze.

“L’amore ha una forza talmente prorompente che fiorisce anche sull’acciaio” commenta Nabil, in merito alla storia romantica apparentemente impossibile raccontata nel nuovo disco. 

“Dicendo questo, però, non vogliamo appiattire, o fare del buonismo superficiale, perché il problema a Gerusalemme esiste ed è vissuto ogni santo giorno. Ma la cosa che vorremmo sottolineare di tutto questo lavoro è che bisognerebbe sempre partire dal livello umano, dal riconoscere l’umano nell’altro, perché crediamo che sia l’unica via percorribile per sbrogliare questa matassa di Israele-Palestina”.

Cafè Jerusalem – 2015 Produzione Cosmasola.

Nabil: voce solista, cori
Michele Lobaccaro: chitarre acustiche, basso.
Alessandro Pipino: piano, fisarmonica, melodica, tastiere, cori
Adolfo La Volpe: Oud, chitarra elettrica, Saz baglama, chitarra portoghese, Bowed Banjo
Pippo Ark D’ambrosio: Cajones, Frame Drums, glockenspiel Piatti e percussioni.

 

June 14, 2015di: Anna ToroPalestina,Video: 

Redazione

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