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Scandalo Fifa, quando il calcio è geopolitica

Guerra fredda. Questione israelo-palestinese. Dispute mediorientali all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg). Multinazionali e investimenti manovrati. E’ tutto fuorchè uno scandalo sportivo il ciclone giudiziario che sta travolgendo i vertici del calcio mondiale dopo le indagini e gli arresti disposti dall’agenzia federale americana nota come FBI nei confronti di dirigenti e collaboratori Fifa.

 

 

 

Sotto accusa la gestione ventennale del padrone del pallone Sepp Blatter, presidente al quinto mandato consecutivo della Federazione internazionale di calcio, reo secondo gli inquirenti americani di aver pilotato il sistema di assegnazione dei mondiali e il conseguente indotto di sponsor e fondi per miliardi di dollari sulla base di un mercato di tangenti presunte o manifeste.

Stati Uniti d’America contro Russia. Israele contro Autorità nazionale palestinese. Arabia Saudita contro Qatar. La geopolitica entra a gamba tesa nel mondo delle istituzioni calcistiche mondiali.

Pomo della discordia i mondiali 2018 e 2022, assegnati rispettivamente alla Russia di Vladimir Putin (premiata rispetto alle concorrenti Spagna-Portogallo e Inghilterra), e al Qatar dello sceicco  Mohamed bin Hammam (designata dalla Fifa con 14 voti contro gli 8 ottenuti proprio dagli Stati Uniti d’America).

Risultati che in presa diretta il 2 dicembre 2010 il presidente statunitense Barack Obama giudicò come “una decisione errata”. E che il responsabile del comitato di controllo e vigilanza della Fifa, l’italiano Domenico Scala, ha rimesso in discussione proprio in questi giorni sull’onda degli scandali emersi: le assegnazioni a Russia e Qatar saranno infatti annullate se dovessero emergere prove sulla loro irregolarità.

Una certezza più che un dubbio viste le frodi rivelate nelle ultime ore dal Mondiale di Francia ’98 ad oggi.

Curiosa ad esempio la vicenda di Germania 2006: dalle prime indiscrezioni la federazione calcistica teutonica avrebbe ottenuto l’appoggio politico dall’Arabia Saudita attraverso una costosa tangente in armi, una nave carica di granate a razzo spedita in tutta fretta grazie ad una tempestiva rimozione dell’embargo promossa in tempi record dal governo tedesco.

Uno sforzo che avrebbe coinvolto anche la multinazionale farmaceutica Bayer e la casa automobilistica Volkswagen, sospettate di aver comprato il voto di Sud Corea e Thailandia in cambio della promessa di maggiori investimenti.

Le tempistiche lasciano poco spazio all’immaginazione. E’ il 27 maggio scorso. A soli due giorni dal 65° congresso della Fifa, che prevede oltre alla delicata rielezione del presidente in carica anche la spinosa votazione sull’espulsione di Israele per violazione dei diritti umani e sportivi nei confronti del popolo palestinese, presso l’hotel Baur au Lac di Zurigo funzionari in borghese svizzeri su indicazione dell’Fbi arrestano di fronte al giornalista Micheal Schmidt del New York Times ben 7 dirigenti Fifa di alto livello (tra cui due vicepresidenti) con l’accusa di corruzione e associazione a delinquere.

Nel tardo pomeriggio dagli Usa il ministro di Giustizia Loretta Lynch dichiara: “Abbiamo smascherato un sistema di corruzione del calcio mondiale a vantaggio dell’arricchimento di pochi personaggi”. Da Zurigo Blatter risponde definendosi scioccato da ciò che declina come “ingerenza delle autorità statunitensi”.

L’esito della tempesta giornalistica che travolge un sistema di corruttele vigenti da più di venti anni appare già scontato: al di là delle eventuali dimissioni di Blatter, Russia 2018 e Qatar 2022 verranno riassegnate.

E quella che doveva essere una giornata di democrazia a fronte della richiesta della Federcalcio palestinese di espellere Israele per l’assassinio, la carcerazione e i maltrattamenti cui sono stati posti calciatori e sportivi palestinesi, in molti casi impossibilitati negli spostamenti tra la Striscia di Gaza e i Territori palestinesi occupati, si è conclusa con il ritiro all’ultimo secondo della domanda di espulsione di Israele da parte di Jibril Rajub, presidente della “Palestinian Football Association”, in cambio di fragili e vacue promesse tra cui un nuovo stadio di calcio in Cisgiordania e documenti speciali di transito anche verso l’estero per i calciatori palestinesi.

Con buona pace di tutti quei giovani sportivi palestinesi incarcerati o morti. Come i quattro bimbi della famiglia Al Bakr tra i 9 e gli 11 anni uccisi nell’estate 2014 sulle spiagge di Gaza da una bomba telecomandata mentre giocavano a calcio in riva al mare.

Ridefiniti proprio in questi giorni “un errore di identità” dal portavoce dell’esercito israeliano, il tenente colonnello Peter Lerner che ha comunicato la fine delle indagini senza un processo né un colpevole.

Intanto Ryad ringrazia Washington, l’alleato di sempre.

Dopo aver indebolito in Siria e cancellato dall’Egitto il partito dei Fratelli Musulmani di cui il Qatar è tra i principali partner, Doha rischia di veder saltare i Mondiali e una visibilità in grado di oscurare l’Arabia Saudita, il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti che dal 2014 hanno ritirato i propri ambasciatori dalla capitale qatariota inserendo tra l’altro Al Jazeera nella lista dei “media ostili”.

“La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi” diceva Carl Von Clausewitz.

E non a caso la geopolitica prosegue la propria battaglia dopo il prezzo del petrolio e le guerre delle valute invadendo anche i campi di calcio.

 

Foto via Wikimedia Commons.

June 16, 2015di: Alessio MarriPalestina,Qatar,

Redazione

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