di Nino Orto
Il 19 dicembre 2011 la magistratura di Baghdad spicca un mandato di cattura per il vicepresidente Tariq al-Hashimi, accusato di essere coinvolto in una serie di attentati contro funzionari governativi e della sicurezza compiuti nel corso degli ultimi anni.
Hashimi rigetta immediatamente tutte le accuse e denuncia la sentenza come “politica”, rifugiandosi nella regione del Kurdistan iracheno.
Il 1° aprile vola in Qatar per incontrare lo sceicco Hamad bin Khalifa Al-Thani, per quella che i media definiscono una ‘visita ufficiale’ che irrita inevitabilmente il governo di Baghdad, che da parte sua minaccia ritorsioni.
Il piccolo (ma potente) emirato del Golfo non è che la prima tappa di un più ampio tour regionale che interessa i ‘pesi massimi’ dell’asse sunnita – Arabia Saudita e Turchia -, da dove presumibilmente Hashimi rientrerà nel Kurdistan iracheno.
Ma chi è il vicepresidente iracheno? E perché la sua incriminazione diventa così pericolosa per l’equilibrio politico del paese e dell’intera regione?
Hashimi ha alle spalle una lunga carriera e, dopo le elezioni del 2005, il suo Partito islamico iracheno rappresentava il più grande blocco sunnita all’interno del movimento trasversale e aconfessionale di Iraqiya.
E’ noto per le sue posizioni fermamente contrarie al federalismo e alla de-bahatificazione delle forze di sicurezza irachene, così come per la continua richiesta di una negoziazione dei proventi del petrolio in base alla popolazione.
“La mia incriminazione non è stata una decisione giudiziaria emessa da un qualsiasi tribunale ma è un’espressa volontà politica di al-Maliki di non rispettare l’art. 93 della Costituzione, che mi offre l’immunità”.
Così, in una recente intervista rilasciata ad Asharq Al-Awsat, Hashimi punta il dito contro un ‘chiaro intervento siro-iraniano teso a rovinare la sua reputazione politica’, e i ‘metodi dittatoriali’ del premier al-Maliki.
Per il vicepresidente “l’Iraq di oggi è in una posizione estremamente difficile, la sua libertà come entità nazionale è sempre più offuscata dall’ombra di ingerenze esterne, e la questione aperta da al-Maliki nei miei confronti ha fatto esplodere una grave crisi nazionale dalla quale sarà molto difficile venirne fuori”.
“Per l’opinione pubblica irachena è chiaro come il dossier sul mio conto sia diventato una questione personale”, afferma Hashimi, che incalza: “è stato lui (Maliki, ndr) a far esplodere il problema e a minacciare anche l’autorità curda per avermi assicurato protezione”.
D’altronde, l’eccessivo accentramento del potere da parte del premier sciita non preoccupa più solo i sunniti, ma anche i curdi che stanno sostenendo Iraqiya proprio per arginare il crescente potere del primo ministro, e soprattutto per sostenere le proprie richieste relative al diritto di estrarre petrolio in piena autonomia e in collaborazione con le società straniere.
Alla domanda su come l’attuale crisi abbia incrinato i rapporti tra Baghdad ed Erbil, Fuad Hussein, capo-staff di Barzani, risponde che “i curdi hanno fino ad ora considerato il premier come parte dello Stato. Il presidente dell’Iraq e il ministro degli Esteri sono curdi, così come molti parlamentari. Tuttavia, se i gravi problemi attuali non saranno completamente risolti, molto probabilmente la nazione comincerà a sgretolarsi”.
A ricarare la dose, la deputata (curda) Mehdi Haji, secondo la quale “I curdi sono sotto pressione su tutti i fronti e la marginalizzazione del capo dell’esercito Babakr Zebari, l’esclusione da parte di Maliki del consigliere Adel Berwari, e l’arresto del capo della commissione elettorale Faraj al-Haidari sono tutti atti ingiustificabili che aggravano in maniera seria la situazione generale del paese”.
“E’ crisi dopo crisi”, sentenzia il vice primo-ministro Saleh al-Mutlaq: “Nessuno dei partiti politici vuole un premier in questa posizione di forza, ma Maliki controlla tutto attraverso polizia, esercito e misure di prevenzione contro il terrorismo. Adesso tutti hanno paura”.
Della stessa opinione anche Reidar Visser, esperto di politica irachena presso il Foreign Affairs, che evidenzia come “ogni leader politico sunnita sembra essere diventato l’obiettivo privilegiato di questa campagna intimidatoria portata avanti da Maliki. Si ha l’impressione che ogni musulmano sunnita o laico possa liberamente essere accusato di essere un baathista o un terrorista: è un clima da caccia alle streghe”.
Oltretutto, la situazione è resa ancora più complicata dalle palesi ingerenze esterne da parte di nazioni che cercano di interferire nella libera sovranità della nazione irachena.
Non è un mistero che Arabia Saudita, Turchia e i piccoli emirati del Golfo, che adesso appoggiano le richieste sunnite di avere maggiore centralità all’interno del nuovo Iraq, siano gli stessi che da mesi propongono in sede internazionale un intervento armato a favore dei ribelli siriani (senza contare quanto è accaduto in Libia e in altri paesi dell’area).
E il viaggio (o fuga, a seconda dei punti di vista) di Hashimi in Qatar, in un momento così delicato per il paese, riporta alla mente un copione già visto.
La visita ufficiale del vicepresidente sunnita potrebbe essere interpretata come l’ennesima dimostrazione del progressivo ed inesorabile slittamento della sovranità nazionale dell’Iraq verso altre capitali, nell’ambito di una dichiarata guerra fredda regionale tra sunniti e sciiti.
In Arabia Saudita, il vicepresidente iracheno ha addirittura dovuto declinare l’invito a fermarsi nel paese fino a quando Maliki non avesse esaurito il proprio ruolo istituzionale come premier: “I miei incontri sono finalizzati a discutere dei recenti sviluppi nella regione e a trattare questioni di interesse comune tra l’Iraq e i vicini paesi arabi. Sono pronto a ritornare in Kurdistan una volta terminato il mio tour”, ha spiegato ai cronisti il vicepresidente.
Attualmente, Hashimi si trova in Turchia dove, dopo le consultazioni con il premier Erdogan (e l’affitto di due appartamenti), ha incontrato il leader curdo Masoud Barzani per fare il punto della situazione attuale ed impostare una strategia comune nei confronti di Maliki.
La tensione politica tra Baghdad ed Erbil continuerà quindi a tenere banco anche nei prossimi giorni (e forse mesi), soprattutto perché a differenza delle altre crisi, la querelle in corso tra i due leader si sta ‘regionalizzando’, con i paesi vicini che stanno cercando di trarre vantaggi strategici dall’impasse politica irachena.
L’estrema vicinanza del governo Maliki alla Repubblica islamica dell’Iran rispetto al dossier siriano ha irritato fortemente il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, e anche la Turchia. E la vicenda Hashimi è soltanto l’ultima delle scuse per fomentare questa competizione muscolare regionale.
April 27, 2012
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