“E’ un filo sottile quello su cui ci muoviamo, tra la speranza e la voglia di mollare. Ma domani saremo ancora qui, e oggi pomeriggio saremo in piazza”. Dopo il primo giorno di lavori, il Forum Sociale Iracheno si ferma momentaneamente. Da Baghdad, il racconto di Osservatorio Iraq.
“La ragione è semplice, e la dà lo slogan: un altro Iraq è possibile. E’ il motore che ci ha portato qui, tutti, al Forum Sociale. Non possiamo permetterci di aspettare che il governo faccia qualcosa per il nostro futuro. Tocca a noi scriverlo”.
Hamzuz ci saluta velocemente. Ha un altro incontro, il tema è ‘Le migrazioni e l’Iraq: partire o restare?’. Poi subito a casa, a ricaricare il cellulare e il caricabatterie portatile. La diretta streaming e le le 4 ore del primo giorno del Forum Sociale richiedono questo.
“Non possiamo permetterci di sbagliare per un appuntamento così importante”, dice, prima di rispondere al telefono, di nuovo. Amici e colleghi dell’Iraqi Network for Social Media si stanno preparando allo stesso modo, con telefoni e caricabatterie.
Habib, Ali, Mazin arrivano invece stremati, ci ‘scortano’ per il pranzo, si fanno in 4 per i nostri spostamenti, e sono visibilmente emozionati. Hanno lavorato tutta la mattinata, oltre alle ultime 3 settimane, per accogliere oltre 400 persone, da Baghdad, dalla provincia e dal sud dell’Iraq. Ma anche dall’Italia, dallo Zambia, dalla Tunisia e dalla Germania.
Sono le 5.30, già in ritardo di mezz’ora. Ma solo gli organizzatori sembrano risentirne, tutti gli altri si registrano, si salutano, scherzano, preparano le ultime cose per i loro stands, i tecnici audio controllano che sia tutto a posto.
E poi i volontari. Tanti, circa 150, che ci accolgono e si offrono di accompagnarci durante tutto il Forum per tradurre quello che succede.
Parte l’inno nazionale, da un piccolo palco dietro cui vigilano le statue di Sharazade e Shahrayard, sereni, felici, belli, come ce li hanno fatti sognare “Le mille e una notte”. Il pubblico è tutto in piedi, si ascolta in silenzio, si applaude: il secondo Forum Sociale dell’Iraq ha inizio.
“Dopo il 2003, tutti hanno pensato che fosse arrivata una nuova vita. Ma così non è stato, e ci siamo illusi. Ci hanno insegnato che ci sono solo nemici. Oggi è un’altra occasione per smentire tutto questo. E’ tempo di sorridere, di amare la vita, di mostrare la vita ordinaria degli iracheni, che vivono, lavorano, si impegnao, disegnano…insomma, apprezzano la vita come viene!”.
Shanaz, di Radio al-Nas, è qui per riportare l’evento, “perché è importante dare spazio a queste iniziative, che dal solo titolo vanno controcorrente”.
Lei, controcorrente, ci va ogni giorno. Il giornalismo indipendente è in teoria impossibile in Iraq, ma lei, come tanti, crede che sia l’unica via possibile. “E’ molto difficile. Non puoi sempre dire quello che pensi, ci sono alcuni, potenti, che traggono benefici dall’ignoranza e dal silenzio della gente. Ma provarci è come vedere la luce dopo l’oscurità”.
Non sono soli, gli iracheni. C’è un’associazione, al loro fianco da 25 anni, da quel lontano 1991 in cui importare datteri in Italia era considerato illegale a causa di un embargo che colpiva tutti, senza distinzione. “Siamo qui oggi per portarvi la nostra solidarietà. Siamo qui in coordinamento con altri internazionali riuniti nell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI), una piattaforma globale attraverso la quale sosteniamo le vostre azioni e campagne per la giustizia sociale e i diritti umani”.
Alessia, responsabile per Un ponte per… dei programmi dell’associazione in Medio Oriente, legge emozianata, salutando e chiudendo il discorso in arabo, scandendo in modo preciso che “non solo un altro Iraq è possibile. Ma esiste già!”.
Ghershom arriva da Lusaka, Zambia, con un volo di circa 20 ore, tre scali, e un visto ottenuto dall’ambasciata all’utimo secondo. Fa parte dello Zambia Social Forum, e ha deciso di portare solidarietà agli iracheni dopo averli incontrati a Tunisi, durante lo scorso Forum Sociale Mondiale.
“Non ci sono differenze di fronte alle ingiustizie, dall’Africa al Medio Oriente se ci uniamo siamo più forti, possiamo imparare e crescere insieme”. Gli fa eco Yousif, che dalla Palestina sotto Occupazione porta la sua solidarietà, ricordando che “le lotte che stanno combattendo palestinesi, siriani ed iracheni, sono quelle di tutti: per i diritti”.
Il pubblico apprezza, non fosse per le zanzare e le mosche attratte dall’umidità di un Tigri che risente dell’acqua trattenuta in Turchia (si dia uno sguardo alla campagna Save the Tigris) sarebbe una serata perfetta. Nonostante il checkpoint sul marciapiede adiacente e il relativo filo spinato.
Segni di una situazione di stabile tensione, quotidiana violenza e insicurezza, a cui gli iracheni del Forum Sociale sembrano non fare troppo caso. “Quando avviene un attentato in un punto della città, per una settimana circa lì non ci va più nessuno, ma poi tutto torna come prima”, dice sorridendo Taef.
Sarà anche un mondo a parte, quello del Forum. Fatto di organizzazioni che promuovono il rispetto per l’ambiente, sindacati che lottano per i diritti dei lavoratori, associazioni che ricostruiscono le case distrutte dalla guerra o dagli attentati, dando priorità alle vedove, e raccogliendo fondi solo dai privati.
Realtà portate avanti però dalle stesse persone che vivono oltre quel filo spinato, ogni giorno. Maryam ha vent’anni, studia traduzione, ha un inglese perfetto, non esce spesso e non lo fa mai da sola, “perché non mi sento sicura, e perché sono una ragazza”. E’ una delle tante, preziose risorse volontarie del Forum.
“Ma oggi sono qui perché volevo vivere un Iraq diverso. C’è tanta gente, c’è la musica, volevo essere parte di questa esperienza. Da quando ho 8 anni vedo principalmente solo violenza, guerra, bombe e paura. Sapevo che esisteva dell’altro, e lo vedo oggi con i miei occhi”.
Parliamo mentre sul palco vanno in scena gruppi hip-hop, rock e pop. Alcuni si esibiscono per la prima volta. Altri sono noti. Ci sono anche pittori, comici e c’è Sary, che partecipa per presentare uno spettacolo sulla libertà. “Per tutta la giornata sono stato vestito da clown, perché così mi sentivo di esprimermi oggi, e poi quando è toccato a me sono salito sul palco e mi sono messo a disegnare, a testa in giù”.
“Volevo vedere la reazione delle persone, percepire il loro stupore. Ero anche arrabbiato, ho ricevuto insulti, ma questo mi ha motivato per disegnare al meglio parte della scultura di piazza Tahrir, che per molti iracheni è un grande simbolo di libertà”.
Lo è ancora oggi, con le proteste che stanno per iniziare, al loro nono venerdì, dopo la pausa per le festività dell’Eid al-Ahda. Le strade blindate, l’ordine di rimanere in hotel. “Meglio così”, rassicurava ieri Noof, che fino ad ora vi ha sempre partecipato, ma consapevole che “domani qualcosa cambierà, probabilmente per il peggio”.
“Gli islamisti hanno annunciato che non faranno sconti e vorranno fare capire al governo che il tempo è scaduto. Questo non è affatto condiviso dal resto della piazza, quello che rappresenta noi laici e che ha manifestato fino ad ora sempre e solo con la bandiera irachena”.
Non parteciperà neanche lei, Noof. “Non voglio essere contata tra quelli che domani, forse, rovineranno tutto”.
Segnali di simile tensione sono arrivati oggi, alla fine.
“Va bene, è andata così. Sabato riprendiamo, però ora andiamo via”.
Lo dice tra lo sconsolato e l’incredulo Habib, uno degli organizzatori e animatori del Forum Sociale, che ci segue instancabilmente dall’altro ieri.
L’ordine non dà spazio ad azioni alternative: il Forum è sospeso, e bisogna andare via entro 10 minuti.
I workshop sulla solidarietà internazionale, le proteste e la pace sociale riprenderanno domani. La decisione del governo girava già da ieri sera, con la conferma della cancellazione della maratona per la pace. In occasione delle manifestazioni di oggi pomeriggio, le autorità hanno optato per questa scelta a causa di un livello di sicurezza diminuito.
Il partito di Moqtada al-Sadr ha annunciato che alzerà i toni, a quanto ci raccontano tutti. Si prevede una presenza di circa 70mila persone, soltanto della loro compagine, che ricorderà al governo che il tempo sta per scadere. O le riforme, oppure la piazza non sarà più così di sostegno. Ma non tutti la pensano così.
“Questi sono i momenti in cui pensi di lasciare tutto. Ce ne sono tanti, di questi momenti. Quelli in cui pensi sia meglio ricostruire tutto da capo in Germania, o negli Stati Uniti, da richiedente asilo. Ad un certo punto, quando vedi che intorno a te la mentalità è sempre la stessa, bianco o nero, senza intermezzi, pensi che tu debba solo salvarti. Il Forum Sociale però mi dà speranza, energia, serve a ricordarmi che c’è qualcosa di diverso. Non so… credo di parlare a nome di tanti giovani. Ora abbiamo la possibilità di dire la nostra, è il nostro momento. Tutti noi potremmo raccogliere i soldi necessari per partire, in circa un mese ce la facciamo. Perché non lo fanno tutti allora, perché?”
“E’ un filo sottile, quello su cui ci muoviamo, tra la speranza e la voglia di mollare. Ma domani saremo ancora qui, e oggi pomeriggio saremo in piazza”, racconta l’altro Iraq.
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October 02, 2015di: Stefano Nanni da BaghdadIraq,Articoli Correlati:
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