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Tunisia, Chaambi: l’altra faccia del terrorismo

Il monte Chaambi, uno dei posti più temuti, il cui nome è associato a  morte e terrorismo, trascorre il suo primo inverno sotto i bombardamenti dei militari e delle forze speciali.

 

Nel frattempo, nella vicina città di Kasserine, la popolazione e la storia stanno cambiando in virtù di questa nuova connotazione – “terrorista” – che le è attribuita. Il cambiamento è rapido, ma non sembra essere percepito né dal resto della popolazione né dalle autorità.

Ai piedi del monte Chaambi, avvolte nel freddo, nel silenzio e nella nebbia sorgono sparpagliate alcune casupole. L’atmosfera è incredibilmente triste e tesa, nonostante la bellezza del paesaggio naturale, il verde scintillante degli olivi e l’aria pura. Davanti ad una di queste casupole, una giovane donna seduta sull’uscio in compagnia di qualche montone e dei suoi due cani ci invita ad entrare.

La famiglia della giovane “Noura” è riunita in una stanza attorno ad un misero focolare. Qui i genitori, i bambini, e i due zii con le rispettive consorti, condividono tutto: l’umile dimora e la grande miseria. Le donne sono disoccupate, mentre gli uomini sono impiegati saltuariamente nel settore agricolo ed edile con remunerazioni che non gli consentono nemmeno di sbarcare il lunario.

Senza acqua corrente, né elettricità, né accesso al sistema scolastico questa zona è praticamente isolata dal resto del paese. In città, i discorsi si limitano all’alcool (per riscaldarsi) e alla religione, la politica invece è quasi completamente assente; le poche considerazioni in merito sono scandite dal triste ritornello  “i politici sono tutti uguali, nulla è cambiato dal tempo dei beys”.

Come molte altre, questa famiglia vive in montagna da sempre. I più anziani, costretti a fare la spola tra il paese e le alture, conoscono a memoria ogni minimo dettaglio della complessità geografica che li circonda.

Nonostante ciò, da sette mesi a questa parte, in seguito all’emergenza del focolare terrorista, si sono visti negare l’accesso al “loro monte”, senza che i militari di presidio si preoccupassero di interpellarli per ottenere informazioni preziose sulla conformazione del territorio.

“Impazzisco quando vedo i militari braccati dai terroristi, mentre la gente del posto è costretta a rimanere a guardare. Noi che sappiamo muoverci tra le grotte romane, tra i tunnel costruiti dai francesi e dagli italiani per l’estrazione del piombo, avremmo potuto essere dei preziosi alleati in questa battaglia” afferma Alì il capofamiglia. Lui si scontra ogni giorno con le guardie che gli impediscono l’accesso alla montagna per l’approvvigionamento del legno.

“Il terrorismo esiste sullo Chaambi, altrimenti perché i militari bombardano regolarmente la zona e la pattugliano costantemente? Tuttavia noi non abbiamo mai visto questi famigerati terroristi, né da vicino né da lontano” ci spiega la madre.

Il vero problema delle persone che popolano i villaggi è che spesso loro stessi vengono trattati alla stregua di terroristi. Come racconta Alì “una guardia forestale un giorno me l’ha confermato proprio di fronte ai soldati. – Chi altro a parte voi ha visto i terroristi squagliarsela verso la montagna?! – ..è ciò che mi ha chiesto dimenticandosi forse che spetterebbe a lui controllare la montagna, e che le armi hanno attraversato la frontiera sotto gli occhi delle autorità”. La gente del posto non ha altra colpa se non quella di vivere su questa montagna.

Per abitudine gli abitanti del luogo accettano il loro destino. In un mondo in cui la povertà è stata criminalizzata, loro vivono ai margini cercando di adattarsi alla situazione e di convivere con questa nuova identità di “potenziali terroristi” che gli è stata affibbiata senza troppe spiegazioni. “Non è questo il vero problema. Ciò che temiamo è un intervento militare straniero!” confessano Alì e la moglie.

A Kasserine invece, l’atmosfera è immutata. Da anni la città è vittima di una depressione collettiva.  Questo stato d’animo diffuso che impedisce agli abitanti di divertirsi, di dimenticare la miseria e di sperare in futuro migliore, è divenuto quasi ereditario.

Un giornalista locale – Rabii Gharssali, 31 anni – ci ha raccontato dettagliatamente quella che lui definisce come “l’altra faccia della città”, quella che non ha nulla a che fare con il terrorismo. “Quale sarà il destino delle centinaia di ragazzi che vivono nelle periferie e nelle bidonville? Il loro futuro è già segnato, le uniche alternative sono il terrorismo o la delinquenza” ci confida Rabii, senza voler con questo giustificare i recenti reclutamenti di Ansar Al Shari’a nella zona.

In realtà, i giovani di Kasserine che negli ultimi mesi hanno rimpinguato le fila dell’organizzazione islamista sono per lo più brillanti studenti di liceo provenienti dai quartieri più disagiati della città e dell’intera Tunisia. Cité Zouhour, cité Nour e le loro periferie costituiscono ormai le roccaforti del salafismo jihadista.

Dopo essere stati al centro di una rivolta popolare, queste zone sono divenute il fulcro della contro rivoluzione. Anwer Nsibi, un giovane di 17 anni è scomparso nelle grotte dello Chaambi sette mesi fa, dopo aver lasciato un messaggio ai genitori: “Vi voglio bene. Perdonatemi per quello che vi farò nei prossimi giorni!”.

Il laconico messaggio è stato consegnato alla famiglia dal cugino di Anwer, Mohammed Ali Nessibi, attualmente in stato di fermo. La triste vicenda ha innalzato un muro tra le due famiglie: i genitori di Mohammed Alì  hanno finito per addossare al padre di Anwer la responsabilità dell’arresto del figlio.

In casa di Anwer, la madre in lacrime cerca di giustificarsi: “io non sapevo che sarebbe andato sullo Chaambi. Non riesco a capacitarmi della sua scelta, le cose andavano bene qui..”. Dopo un primo rifiuto, il padre del ragazzo, Hleili, accetta di rilasciare qualche dichiarazione: “Delle volte ho l’impressione che questa storia del terrorismo sia stata costruita a tavolino. Ammesso che questi terroristi esistano davvero, lo Stato dovrebbe darci la possibilità di affrontarli .. lo farei con piacere per il bene del mio paese. Ci andrei armato di bastoni o pietre, poco importa.”

I membri della famiglia Nsibi sono controllati a vista dai vicini, dai cugini che li considerano responsabili dell’arresto di altri ragazzi del quartiere, e dalla polizia che li sospetta di nascondere delle informazioni sul figlio jihadista.

A questa difficile situazione va aggiunto il rimorso dei genitori che si rimproverano di non aver saputo comunicare con il proprio ragazzo, di non essere stati in grado di comprenderlo. L’adolescente infatti aveva commesso l’errore di avvicinarsi alla moschea di Rahma, controllata dall’ala più radicale dei salafiti di Kasserine.

“I bombardamenti, le minacce non sono una soluzione praticabile. Si tratta di ragazzini! Lo Stato è responsabile! Se mai lo Stato desse la possibilità a mio figlio ed ai suoi compagni di reintegrarsi nella società, sono sicuro che farebbero marcia indietro. Qui la vita, la dignità, la speranza sono andate perdute.. è questa la ragione che spinge i giovani a rimanere là dove tutti, animali compresi, si sono rifugiati…” spiega Hleili, in un impeto di rabbia che sembra fargli dimenticare che suo figlio ed i suoi amici, da un mese a questa parte, sono considerati dei nemici della nazione.

Sono proprio questi nemici invisibili che hanno legato le sorti della montagna e dell’intera città al terrorismo. Eclissando il volto umano dello Chaambi, il potere centrale ha finito per banalizzare la causa scatenante: la povertà. 

Rabii Gharssali ci accompagna per le vie della città mostrandoci le sue bellezze e la vista panoramica sulle montagne circostanti. Rabii è un giornalista locale che spesso si è occupato dei problemi degli abitanti dei villaggi e dei poveri di Kasserine.

Da tre anni a questa parte ha creato una pagina facebook, che ha riscosso molto successo in città, in cui da conto di ciò che accade in un territorio, il suo, spesso dimenticato dal resto del paese. Questo portavoce delle miserie di Kasserine è stato arrestato dalle autorità diverse volte. “Mi hanno proibito di fare delle riprese e di raccontare gli avvenimenti sullo Chaambi” spiega Rabii.

Il giovane giornalista autodidatta si lamenta di fronte ai colleghi del fatto che “la stragrande maggioranza dei media stranieri e nazionali nominano oramai Kasserine solo per vicende legate al terrorismo. La vera fonte di tutti i mali, l’abbandono economico e sociale, non trova spazio nei loro reportages.. non cercano di comprendere la realtà locale, non fanno alcuno sforzo d’analisi..”.

Che fare dunque? Sebbene non abbia un piano ben preciso per affrontare questa nuova situazione, Rabii ha una certezza: “Chaambi ha un’altra storia da raccontare, un altro volto oltre al terrorismo. Il mio dovere è di svelarlo al  mondo”.

Rabii, giovane abitante di Kasserine, ha visto il suo migliore amico cadere al suo fianco, ucciso durante la manifestazione del 9 gennaio 2011. Secondo lui le verità sono più sfumate di quanto si voglia far credere. Il terrorismo esiste ma ciò non significa che Chaambi sia terrorista. “Le autorità non dicono sempre la verità. Già tre anni fa hanno ucciso i nostri fratelli trattandoli da terroristi”.

Confuso e preoccupato, il giovane non ha potuto parlare liberamente con i reporter e gli inviati giunti fin qui. La settimana scorsa infatti, dopo aver rilasciato un’intervista a volto scoperto ad una rete televisiva francese per un’inchiesta sui salafiti, ha subito diverse minacce in città. Ora anche la sua immagine, come quella di molti altri abitanti, è associata al fenomeno eversivo.

Rabii e molti altri cittadini a Kasserine avrebbero voluto parlarci di ciò che vivono e vedono nella città. Tuttavia non hanno potuto; le testimonianze che abbiamo raccolto sono caratterizzate da lunghi silenzi, carichi di paura e di incertezza.

Durante tutto il nostro soggiorno siamo stati seguiti da alcuni individui della “polizia civile” che ci hanno fatto comprendere come la paura e la repressione siano dietro l’angolo non solo a Kasserine ma in tutta la Tunisia.

 

 

* Per la versione originale dell’articolo, tratto dal blog di Henda Chennaoui, clicca qui. La foto è di Bruno Giuliani. La traduzione a cura di Giulia Fagotto.

 

January 17, 2014di: Henda Chennaoui*Tunisia,Articoli Correlati: 

Redazione

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